Soldati israeliani uccidono un bambino, Mohammed al-Tamimi è l’ennesimo “Incidente” senza colpevoli?

israeliani uccidono un bambino

 

In uno scontro a fuoco i soldati israeliani uccidono un bambino.  Mohammed al-Tamimi con ogni probabilità non riceverà mai la  giustizia che merita.


Un bambino palestinese di due anni e mezzo è morto in ospedale quattro giorni dopo essere stato sparato in testa, da soldati israeliani, mentre viaggiava con il padre nei pressi dell’insediamento di Neve Tzuf, in Cisgiordania.

Mohammed al-Tamimi dopo lo scontro di giovedì sera, è stato ricoverato all’ospedale Sheba, vicino a Tel Aviv, ed è rimasto in condizioni critiche fino a quando i medici hanno annunciato la sua morte ieri, 5 giugno 2023.
Suo padre, Haitham al-Tamimi(40 anni), è ancora in cura in un ospedale palestinese. Le sue ferite non sono considerate così gravi e non lo mettono in pericolo di vita.

Secondo le Forze di Difesa Israeliane (IDF), i soldati hanno iniziato a sparare vicino al villaggio di Nabi Saleh dopo che uomini armati palestinesi hanno aperto il fuoco contro il posto di guardia. Tamimi ha dichiarato ai giornalisti che non sono stati sparati altri colpi e che suo figlio stava allacciando la cintura di sicurezza dell’auto per andare a casa dello zio quando la sua auto è stata colpita.

I funzionari dell’IDF, che inizialmente avevano incolpato il fuoco incrociato palestinese per le ferite di padre e figlio, hanno poi dichiarato che non era chiaro chi avesse aperto il fuoco e che era in corso un’indagine, per poi affermare che la coppia era stata ferita dal fuoco dell’esercito israeliano. L’IDF ha dichiarato in un comunicato che:

“si rammarica per il ferimento di non combattenti e farà del suo meglio per prevenire simili incidenti. Faremo tutto ciò che è in nostro potere per prevenire tali incidenti”.

A questo punto come non considerare che le indagini dell’IDF sugli incidenti in cui i palestinesi o le loro proprietà sono stati danneggiati dai soldati, raramente sfociano in procedimenti giudiziari o accuse. Secondo i dati militari analizzati dall’organizzazione israeliana per i diritti umani Yesh Din, tra il 2017 e il 2021, solo il 21,4% delle denunce è sfociato in indagini. E solo 11 indagini su 248 hanno portato a un’azione penale, un tasso dello 0,87%.

A comprovare questi dati c’è l’uccisione, lo scorso anno, della giornalista di Al Jazeera Shireen Abu Akleh. In quel caso, l’IDF alla fine ha ammesso che c’era una “alta possibilità” che la giornalista fosse stata colpita da un proprio soldato, ma ha sempre sostenuto che la vicenda è accaduta accidentalmente senza mai giustificare un’indagine penale.


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Mohammed, neanche tre anni, è l’ultima vittima della spirale di spargimento di sangue nel conflitto israelo-palestinese, una dramma che solo nel 2023 ha segnato la fine di 37 martiri bambini. Sempre durante l’anno in corso, le forze israeliane hanno ucciso almeno 156 palestinesi in Israele, nella Cisgiordania occupata e nella Striscia di Gaza.
Circa la metà delle vittime erano civili.

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