Soldati israeliani accusati di usare palestinesi come scudi umani nei tunnel di Gaza

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Andrea Umbrello

Direttore Editoriale di Ultima Voce


Secondo quanto riportato dal quotidiano israeliano Haaretz il 13 agosto, diversi soldati israeliani avrebbero confermato la pratica che prevede l’utilizzo di civili palestinesi nella Striscia di Gaza come scudi umani, rivelando dettagli inquietanti su come questi civili, inclusi adolescenti e anziani, siano stati costretti a rischiare la vita per proteggere i militari israeliani. Scudi umani. Carne viva, corpi tremanti, usati come barriera contro il piombo. L’esercito israeliano si trasforma sempre di più in carnefice, calpestando la dignità umana come se fosse fango sotto gli stivali.

Le testimonianze dei soldati sull’utilizzo di civili come scudi umani

Secondo Haaretz, i soldati israeliani coinvolti nelle operazioni militari nella Striscia di Gaza hanno raccontato che civili palestinesi vengono sequestrati e costretti a ispezionare i tunnel utilizzati dai combattenti di Hamas. L’obiettivo di questa pratica sarebbe quello di individuare trappole esplosive o combattenti nascosti, minimizzando il rischio per i militari israeliani. “Le nostre vite sono più importanti delle loro“, è stata la giustificazione data ai soldati, come riportato da uno di loro.

I palestinesi, una volta sequestrati, vengono trattati in maniera disumana. Costretti a indossare uniformi militari, con le mani ammanettate dietro la schiena e i volti segnati dal terrore, sono spinti a entrare nei tunnel e nelle case distrutte, esponendosi a un pericolo mortale. Questo trattamento brutale, che viola chiaramente i diritti umani, viene perpetrato con la consapevolezza e l’approvazione dei vertici militari israeliani, incluso il capo di stato maggiore Herzi Halevi e il maggiore generale del Comando meridionale Yaron Finkelman.

Un sistema radicato e approvato

La pratica di usare civili palestinesi come scudi umani non è nuova per l’esercito israeliano. Durante l'”Operazione Muro Protettivo” del 2002, l’esercito israeliano adottò una tattica simile, nota come “Procedura del Vicino”. All’epoca, questa procedura prevedeva l’uso di civili palestinesi per avvicinarsi alle case sospettate di ospitare combattenti armati o materiali esplosivi, con l’intento di proteggere i soldati israeliani da eventuali attacchi.

Secondo le testimonianze raccolte da Haaretz, questa pratica è tuttora in uso, con alcune varianti. I soldati israeliani sono incaricati di identificare e rapire palestinesi “idonei” da utilizzare come scudi umani. Questi civili, noti come “shawish”, vengono scelti in base a criteri che li rendono particolarmente utili per le operazioni militari in corso. Una volta sequestrati, vengono equipaggiati con uniformi e giubbotti antiproiettile, ammanettati e costretti a entrare nei tunnel e nelle case distrutte, per primi, per esporre eventuali minacce prima che lo facciano i soldati israeliani.

Un soldato coinvolto in queste operazioni ha dichiarato: “C’è un certo orgoglio in questo“. La sua affermazione riflette una cultura militare che, in alcuni casi, sembra giustificare l’uso della forza e la violazione dei diritti umani in nome della protezione delle truppe israeliane.

La conferma di Al Jazeera

Le rivelazioni di Haaretz hanno trovato conferma in un precedente rapporto di Al Jazeera, pubblicato due mesi prima. In quel rapporto, venivano mostrati filmati in cui si vedevano soldati israeliani che vestivano civili palestinesi con uniformi e giubbotti antiproiettile, ammanettandoli e inviandoli nelle zone pericolose per esplorare tunnel e case distrutte. Un soldato di una brigata regolare, intervistato da Haaretz, ha confermato di aver riconosciuto la pratica descritta da Al Jazeera: “Quando ho visto il rapporto di Al Jazeera, ho pensato: ‘Oh, sì, è vero’“.

Questo soldato ha inoltre affermato che la risposta ufficiale dell’esercito israeliano, che negava l’esistenza di tali pratiche, non rifletteva affatto la realtà. Ha sottolineato che l’uso dei palestinesi come scudi umani non è il risultato di decisioni isolate prese da giovani soldati inesperti, ma una tattica sistematica conosciuta e approvata dai vertici militari.

Conseguenze umanitarie e legali

L’uso di civili come scudi umani è una violazione grave del diritto internazionale umanitario, in particolare delle Convenzioni di Ginevra, che proibiscono esplicitamente l’utilizzo di persone protette come scudi per le operazioni militari.

Le testimonianze raccolte da Haaretz potrebbero portare a nuove indagini da parte di organizzazioni internazionali per i diritti umani e aumentare la pressione sulla comunità internazionale affinché prenda posizione contro queste violazioni. Tuttavia, il percorso verso la giustizia per i palestinesi coinvolti rimane incerto, dato il complesso contesto politico e militare della regione, oltre all’accettazione occidentale delle azioni israeliane.

Conclusioni dei soldati israeliani

Alla fine, i soldati coinvolti in queste operazioni sono stati costretti a fare i conti con la realtà di una guerra che impone scelte morali inaccettabili. Alcuni di loro hanno cercato di razionalizzare l’uso dei civili palestinesi come scudi umani, convincendosi che fosse necessario per proteggere la vita dei propri compagni. Tuttavia, come hanno ammesso in seguito, questa giustificazione non può mitigare il senso di colpa e il disagio morale provocati dalle loro azioni.

Un soldato, tra le pochissime mosche bianche, ha descritto l’angoscia di dover sorvegliare un ragazzo di 16 anni ammanettato e con gli occhi coperti, costretto a rimanere con loro per giorni, mentre veniva utilizzato per esplorare tunnel e case distrutte. Dopo essere stato sfruttato, il ragazzo è stato rilasciato a un posto di blocco nella Striscia di Gaza e gli è stato semplicemente ordinato di andare a sud. “Abbiamo finalmente capito che non si trattava di veri terroristi, ma di civili presi apposta per quelle attività“, ha concluso il soldato, evidenziando l’inutilità e la crudeltà di tali azioni.

Queste testimonianze aprono una finestra su una delle pratiche meno conosciute dell’attuale conflitto israelo-palestinese. E oltre l’approvazione, oltre il silenzio complice dell’Occidente di fronte alle pratiche israeliane, cosa resta? Restano le macerie, i corpi dilaniati, le vite interrotte. Restano le domande che nessuno osa fare, le domande scomode che graffiano le coscienze: è questa la pace che vogliamo? È davvero questo il prezzo che giustifichiamo in nome della presunta sicurezza di Israele? E quale destino attende i palestinesi, schiacciati da un’occupazione che sembra non avere mai fine?

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