L’epidemia del Coronavirus sta cambiando la geografia economica del mondo che conosciamo e, ben presto, probabilmente arriverà a spazzare via anche i riferimenti culturali in cui per anni abbiamo sguazzato. Abbiamo mai pensato che quello che per la nostra adolescenza sono stati gli Stati Uniti, con i film, la musica, i marchi provenienti da quella parte di mondo un giorno potrebbe perdere la sua centralità? E, magari, cedere il passo a film cinesi, musica cinese e riferimenti cinesi?
Nelle puntate precedenti alla pandemia avevamo una situazione di primato statunitense, messo a rischio dalla Cina. Complice la politica di Trump, fortemente isolazionista, e oculati investimenti cinesi in Asia e in Africa, la situazione globale era in grande trasformazione. Poi è arrivata la pandemia. La Cina ha perso terreno e credibilità, anche a causa della zavorra della dittatura, e questa sarebbe stata l’occasione per gli USA di recuperare credito agli occhi del mondo. Ma il colosso asiatico si è lanciato in una rimonta di generosità internazionale, mentre Trump ha inanellato una serie di disastri decisionali.
Innanzitutto: cos’è il soft power?
La forza economica di un Paese non è tutto, quando si parla di rapporti internazionali. Lo spiega bene qui, nel suo podcast, Francesco Costa, vicedirettore de Il Post e voce di Da Costa a Costa, blog sulla politica e la società statunitensi. Per costruire relazioni internazionali stabili, bisogna poter contare sulla capacità di convincere e attrarre le altre nazioni, non semplicemente con la forza delle armi, ma anche con la propria cultura e con il proprio modo di comunicare al mondo i valori nazionali. Per quasi tutto il Novecento, abbiamo sempre pensato a un mondo a trazione statunitense: le nazioni pendevano dalle labbra degli Stati Uniti con un consumo entusiastico dei prodotti americani, fossero essi film,hamburger o cellulari. In modo deliberato o spontaneo, la cultura americana ha attecchito dentro di noi, con i suoi valori, senza che si trattasse necessariamente di bieca propaganda nazionalista.
Soft power e basta?
Certo, se poi questo si accompagna alla lungimiranza di chi, decenni prima, aveva pensato al Piano Marshall e ai suoi 12 miliardi di aiuti alle nazioni occidentali, quasi tutti a fondo perduto, beh, il gioco è fatto. Gli Stati Uniti si sono resi indispensabili economicamente e culturalmente. Come sostiene Costa, gli USA hanno creato rapporti di gratitudine, necessari per costruirvi sopra alleanze geopolitiche e economiche. Sono stati poi la nazione a investire maggiormente in programmi per la prevenzione dell’AIDS, dell’ebola, della SARS e della zika.
Ma il soft power è ovunque, sia nel pubblico sia nel privato. I gemellaggi, il Commonwealth, gli investimenti nei Paesi in via di sviluppo, gli Erasmus, persino Netflix: tutto questo contribuisce a creare rapporti amichevoli tra gli Stati e a scegliere l’immagine che un Paese vuol dare di sé, attraverso la diffusione dei suoi valori.
Poi è arrivata la Cina
Nel 2001 la Cina è entrata a far parte del World Trade Organization, in Italia nota come OMC, l’Organizzazione mondiale del Commercio, un ente creato allo scopo di supervisionare numerosi accordi commerciali tra gli stati membri. Nel frattempo, Bush aveva vinto le elezioni USA con una campagna elettorale basata sulla necessità, per gli USA, di farsi un po’ più i fatti propri. Non aveva fatto i conti, però, con l’11 settembre: da lì, infatti, il Presidente ha fatto tutto il contrario di quanto promesso. Si è dimenticato del soft power e, imbracciate le armi per la lotta al terrorismo, ha condotto una politica estera estremamente aggressiva. Agli occhi del mondo, quindi, l’esportazione di democrazia statunitense ha iniziato ad assumere una piega non troppo rassicurante.
La Cina, nel frattempo, ha continuato a seminare, con investimenti in Asia e in Africa. Ha gettato le basi per la nuova Via della Seta, investendo ovunque per costruire (e poi controllare) vie di comunicazioni in tutto il mondo. Si è resa, insomma, un interlocutore sempre più essenziale per un numero crescente di nazioni. Gli USA, con Obama, si sono accorti che mentre bombardavano in Medio Oriente, la Cina cercava di erodere il loro primato. Gli americani hanno a quel punto varato il cosiddetto “Pivot to China”, ma senza grandi risultati, anche a causa della crisi del 2008.
Che ruolo hanno gli aiuti durante la pandemia?
La timida ripresa, Obama, il 2016, Donald Trump e infine la pandemia. Tutto il mondo si è mosso in ritardo, anche a causa dell’oscurantismo cinese. Mentre però alcuni Stati, dopo le sottovalutazioni iniziali, si sono immediatamente adeguati, gli Stati Uniti si sono crogiolati in una sottovalutazione ostinata. Pur con tutta la prudenza possibile riguardante i dati, in Cina ora le cose stanno migliorando, anche grazie alle rigidissime misure di quarantena a cui il Paese ha sottoposto almeno 50 milioni di cittadini. Negli Stati Uniti, invece, beh: negli Stati Uniti no.
Xi Jinping si è posto infatti l’obiettivo cruciale di riabilitare la propria immagine agli occhi del mondo: tra marzo e aprile, la Cina ha spedito nel mondo circa 4 miliardi di mascherine, oltre a medici e consulenti cinesi in supporto ai sistemi sanitari delle nazioni colpite. Sempre Francesco Costa, sottolinea che le mascherine non sono un regalo (sono vendute a prezzo di mercato) e che il materiale medico, di prevenzione e di diagnosi, è stato giudicato spesso scadente e inefficace da parte dei Paesi riceventi. Ma la generosità cinese è stata comunque vista come una disponibilità che non verrà facilmente dimenticata. I giornalisti americani, intanto, commentano le foto degli aiuti cinesi in giro per il mondo dicendo “Una volta lo facevamo noi, ora non più”.
I media di stato cinese hanno inziato a parlare di queste operazioni umanitarie con grande entusiasmo. Diplomatici e ambasciatori cinesi in Europa sono diventati più attivi sui social network, allargando la cassa di risonanza degli aiuti da Pechino. Che cos’è questo, se non soft power? Anche l’Italia lo porta avanti. Rientra tra queste attività collaterali anche ad esempio la visita che Mattarella aveva fatto a una scuola elementare romana ad alta frequenza cinese, quando iniziavano a moltiplicarsi gli episodi di discriminazione.
Trump sta facendo un favore alla Cina
I telegiornali cinesi, poi, non stanno criticando le eventuali criticità nella gestione dell’emergenza degli altri Paesi. Solamente gli USA vengono messi alla gogna, insieme al loro presidente. Un caso? Ehm, no.
Gli USA hanno per ora il maggior numero di contagiati e di morti, a causa anche della sottovalutazione del problema. Trump, più volte sollecitato sul punto, ha sempre tradito preoccupazione per la sua rielezione. Il presidente, infatti, cerca di spostare le domande della stampa sulla responsabilità degli altri e non sulla propria inesistente strategia. Fino a qualche giorno fa parlava di “chinese virus”, addossando al rivale Joe Biden la colpa di essere troppo morbido con la Cina. In più, ha accusato l’OMS di essere sotto l’influenza cinese, tagliando i contributi statunitensi all’ente. Sì, nel bel mezzo di una pandemia. La Cina, dal canto suo, ne ha approfittato per elargire una donazione di 30 milioni di dollari. Così, per altruismo?
Donald Trump non si è reso conto che “la politica estera rifiuta il vuoto”, afferma Francesco Costa. Il terreno che uno cede, infatti, verrà presto occupato da qualcun altro. Trump ha specificato che ha inviato “cose” all’Italia di cui gli USA non avevano bisogno. A marzo, però, sempre Trump ha tagliato gli aiuti all’Africa, motivando la decisione sulla base delle necessità interne. Mah. La Cina, intanto, continua a seminare anche qui e allevia il debito che i Paesi africani hanno nei suoi confronti.
Molti ancora i punti di domanda
Al di là della pandemia, bisogna prendere atto di una fase di transizione che dura da anni e su cui ci sono ancora molti punti di domanda. Questa pandemia, cinicamente parlando, avrebbe potuto comportare uno stop forzato alla cavalcata cinese. E, invece, colpo di scena: con il soft power sta recuperando terreno. Il mondo sarà presto trainato dalla Cina? Non si sa, è ancora troppo presto. Oggi sembra in vantaggio, ma ci sono ancora molte carte da scoprire, come la magagna dei dati ufficiali cinesi sul coronavirus. La crisi economica potrebbe investire pesantemente anche la Cina. Dall’altra parte dell’oceano, poi, Trump potrebbe perdere le elezioni e Biden magari riuscirebbe a recuperare la credibilità statunitense in campo internazionale.
O è già troppo tardi?
Elisa Ghidini