La civiltà che viviamo è un bacino gremito di processi sociologici, linguistici e culturali che concorrono al mantenimento delle disparità di genere. Tra questi, i fenomeni linguistici assumono una responsabilità determinante all’interno delle dinamiche di sostentamento e costruzione ideologica della superiorità valoriale maschile.
A occuparsi di questi fenomeni è la sociolinguistica, una branca della linguistica che studia la dimensione sociale del linguaggio mettendo in relazione l’organizzazione e il funzionamento della società umana e l’organizzazione e il funzionamento del linguaggio verbale umano.
Assumendo un atteggiamento sociolinguistico si può asserire che la lingua rappresenta il risultato di una serie di procedimenti che prendono in causa, oltre a quelli tecnicamente linguistici, i processi sociali e culturali. Dunque, la lingua, il vocabolario, e in modo particolare l’ampio ventaglio di “detti” ed espressioni di cui dispone una comunità, è – utilizzando la definizione di Von Humboldt – “il prodotto della cultura e del pensiero di coloro che la parlano”.
E quindi, ogni espressione utilizzata da un popolo pone le sue radici nella storia, negli eventi e nel modo in cui tali eventi sono stati osservati, dalla postura con cui sono stati percepiti, e dall’identità storica e culturale della collettività.
“Nella civiltà occidentale”, scrive Chiara volpato – sociologa – , “gli uomini hanno continuato e continuano a incarnare il canone, il prototipo, la norma”. Essi sono percepiti e considerati come il modello, la misura di giudizio sulle cose, il parametro di confronto. A convalidare questa valutazione sono anche i fenomeni linguistici: l’esistere, ed il permanere, di una tipologia specifica di espressioni che riferisce il proprio significato e rapporta il proprio modello al genere maschile.
Un’esemplificazione sociolinguistica: “avere le palle”
Presente in egual modo nei più diversi ambiti è l’espressione “avere le palle”. Siffatta formula alquanto colorita, rappresenta l’esemplificazione di un mondo misurato al canone del maschio, poiché, per “palle”, nella società attuale, si intende l’organo sessuale maschile. “Avere gli attributi (maschili)” è un modo di dire impiegato diffusamente per indicare il concetto di coraggio. Ma perché possiamo considerare l’espressione “avere le palle” come lo specchio di una società maschilista, in cui la supremazia valoriale dell’uomo rimane intaccata?
Utilizzata sia in rapporto a uomini che donne, tale formulazione, suppone che per raggiungere lo status di persona coraggiosa si debba necessariamente acquisire una qualità prettamente maschile, in questo caso gli organi genitali maschili, nonché simbolo di virilità. Si presuppone dunque che la qualità del coraggio sia prerogativa del soggetto caratterizzato dai cromosomi XY.
Questo fenomeno linguistico implica una chiara ed accettata tendenza a percepire la donna come un ente inferiore, che per conseguire un determinato grado valoriale all’interno della società deve acquisire attributi propri del genere maschile, in quanto questi, al contrario, rappresenta il modello, il parametro ultimo da raggiungere.
Si tratta di un aspetto sottile e nascosto che, spesso, solo attraverso una attenta riflessione a posteriori o una marcata e preesistente consapevolezza può essere colto. Occorre essere profondamente consapevoli che la donna, per acquisire valore non necessita di somigliare all’uomo. Entrambi i generi posseggono il proprio valore intrinseco senza abbisognare dell’attribuzione dei connotati dell’altro per aumentarlo.
Come già analizzato nel paragrafo precedente, secondo la sociolinguistica, la lingua riflette la cultura, gli atteggiamenti, la postura di una comunità. Ci dice molto, dunque, la linguistica, dell’indole della società che abitiamo, e che, abitandola, nutriamo quotidianamente attraverso il nostro linguaggio. Pertanto occorre indirizzare una particolare cura e cautela nella scelta delle parole, sicché questa sarà una tutela non solo della lingua ma del modificarsi dei paradigmi della società.
Un’incomprensione storico-linguistica
Il modo corrente di dire “avere le palle” esordisce in uno spazio e un tempo a noi lontano. Si origina, infatti, dalle storie e leggende riguardanti la rinomata famiglia de Medici. Una delle teorie ipotizzate dagli storici riporta che, secondo l’araldica medioevale, le palle raffigurate all’interno di uno stemma nobiliare indicano il numero di nemici abbattuti. Un capitano di ventura della famiglia de Medici, a seguito di duri e impegnati scontri, riuscì ad avere la meglio sul nemico ben undici volte. Successivamente, orgoglioso delle sue gesta decise di inserire le sue vittorie nello stemma della casata. Un’altra teoria, invece, associa la raffigurazione delle palle al noto operato da banchieri della famiglia de Medici.
In entrambi i casi le raffigurazioni non richiamano volutamente a un concetto di virilità. Tuttavia, il salto logico-linguistico, agevolato dalla potenziale somiglianza estetica, sembra essere stato immediato: potere è uomo, dunque, le “palle”, che indicano nel medioevo il potere, divengono mezzo di rappresentazione dell’organo sessuale maschile. Avviene dunque un’associazione di immagini per similitudine, ma anche un’inconscia associazione tra virilità e potere.
Da principio, quindi, non vi è alcun riferimento alla virilità maschile. È invece, questo, opera di un processo storico e culturale, di un malinteso linguistico, modulato dall’indole della civiltà, accettato in modo diffuso riuscendo a insinuarsi e connaturarsi nel quotidiano della società moderna.
La supremazia valoriale maschile è tanto radicata all’interno della società che il fraintendimento linguistico è stato accolto e inserito all’interno del canone linguistico senza destare la collettività. Ora è il momento di dedicare qualche attenzione riguardo ai fenomeni che sottotraccia alimentano le già consistenti disparità di genere, partendo da una curata selezione delle espressioni che utilizziamo tutti i giorni.