Violenza: la società matriarcale può costituirne una risposta?

Fonte: i1os.com

Durante le Olimpiadi di Rio de Janeiro due atlete sono state protagoniste di un siparietto romantico.

La tuffatrice cinese He Zi, mentre si recava alla premiazione dell’argento ottenuto nel trampolino da tre metri, si è trovata di fronte il fidanzato inginocchiato, anche lui tuffatore, con una lunghissima proposta di matrimonio.

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Due giorni dopo Charlotte Dujarden, campionessa olimpica per la seconda volta consecutiva nel dressage, è stata oggetto di analoga richiesta da parte del fidanzato seduto in tribuna e le foto della ragazza che lo bacia hanno fatto il giro del mondo.
Il dressage è una specialità dell’equitazione, unico sport in cui donne e uomini gareggiano assieme, e quindi la Dujarden è stata capace di battere anche i rappresentanti del c.d. sesso forte.

 Charlotte non disponeva di grandi possibilità finanziarie e ha lavorato nelle scuderie dell’allenatore e atleta Charles Hester per pagarsi le lezioni: il cavallo con cui ha vinto tutto in questi quattro anni, Valegro, appartiene ad Hester ed era destinato a lui. Ma l’affiatamento creato con la ragazza ha fatto sì che diventasse il suo partner di gara. Eppure il mondo la conosce solo per quel bacio appassionato e la simpatica proposta di matrimonio.
Sembra quasi che i sacrifici e la bravura delle sportive vadano messi in secondo piano: la nostra è una società in cui il matrimonio con l’uomo viene presentato alle donne come il successo più prestigioso.

Ho letto l’articolo di una giornalista, Abigail Haworth, dal titolo “Why straight women are marryng each other?” in cui sono venuta a conoscenza dell’usanza delle donne di una tribù del nord della Tanzania di sposarsi tra loro.
Sono i Kurya e vivono allevando bestiame.

 La famiglia delle fanciulle, per essere maritate, deve offrire all’uomo una dote in mucche. La donna è soggetta alla potestà del marito, non ha proprietà personali e spesso subisce abusi familiari che purtroppo non avvengono solo in questa zona africana.
Quando però rimane vedova o non ha figli, per consentirle di sopravvivere senza essere di peso alla collettività, può sposare una donna più giovane: è la tradizione del Nyumba ntobhu.

Fonte: www.itv

La convivenza non impedisce alla moglie più giovane di scegliere un uomo con cui avere figli ma la gestione della
casa, dei campi e della prole è in capo alle due donne che vivono assieme condividendo tutto tranne il letto.
La loro condizione attribuisce potere, libertà e vantaggi.
Possono scegliere i partner sessuali maschili individuando soggetti gentili e affidabili, riducono la violenza domestica, i matrimoni precoci e le mutilazioni genitali femminili.
Le loro figlie studiano e non si sposano in età adolescente; lavorano la terra, curano il bestiame e si dividono i compiti in casa senza che sorgano contrasti e litigi.
La violenza contro le donne viene evitata perché quelle sposate tra loro non appartengono all’uomo che non osa “toccarle” in quanto protette dalla tribù.

Le caratteristiche positive evidenziate dalla reporter mi fanno pensare al matriarcato che, per alcuni storici, fu l’organizzazione all’origine dei primi gruppi umani.
Erano strutture pacifiche ed egalitarie, basate sulla collaborazione e non sul dominio del capo.
La donna era al centro di una società che si fonda su valori femminili quali la cura, l’atteggiamento materno, l’aiuto reciproco, il ruolo di pacificatore.
Ancor oggi ne esistono alcune, sperdute in luoghi remoti: i Mosno in Cina, i Minangkabau in Indonesia, i Trobriander in isole dell’Oceano Pacifico.

Il ruolo biologico femminile di procreatrice di vita è alla base di civiltà il cui scopo è rispondere alle necessità di tutti.
Uguaglianza non significa livellare le diversità, che vengono invece rispettate, ma prestare attenzione a ognuno modulando il comportamento al pari di una mamma che tratta i figli con lo stesso affetto ma la cui azione diverge, adattandosi a caratteri e necessità.

La donna che comanda non lo fa seduta su un trono come una regina ma lavorando assieme agli altri, mostrando con l’esempio l’interesse che pone nell’attività.
Il senso della comunità è molto forte: sono società caratterizzate dall’assenza di violenza dato che il gruppo giudica negativamente ogni forma di aggressività che non è punita con regole repressive ma con il biasimo. Gli autori sono infatti oggetto di riprovazione e il loro comportamento è considerato qualcosa di cui vergognarsi.
La famiglia viene costruita al di fuori del rapporto di coppia: uomo e donna stanno insieme perché uniti dall’amore e se il sentimento si esaurisce non ci sono più ragioni per rimanere assieme. La comunità si prende cura dei membri e non la coppia, che può anche sciogliersi.

Il loro concetto religioso è illuminante.
La donna è rispettata perché dà origine alla vita: dopo la morte dei singoli la continuità è garantita, come insegna il ciclo naturale delle stagioni, attraverso le nuove nascite. La donna corrisponde al ruolo della Grande Madre, la Terra, che dà nutrimento a tutti.
Amare la natura e vivere in pace con essa assicura benessere, così come organizzare la vita sulla soddisfazione dei bisogni naturali e non superflui, che rende la società matriarcale pacifica.
Nella Grande Madre ogni creatura e ciascun elemento hanno uguale valore, così come l’uomo e la donna, perché il divino è in ognuno di loro, senza differenze. Non esiste una visione dualistica che comporta la superiorità del primo alla seconda, inducendo a considerare la natura una mera risorsa da sfruttare.
Nelle culture patriarcali il numero alla base è l’uno, simbolo di supremazia, e quando si ha a che fare con due elementi sono sempre in competizione tra loro.
In quelle matriarcali esiste il concetto di unità come insieme di parti che si scambiano conoscenze e si compenetrano fra loro, arricchendosi.

Negli insediamenti sacri delle tribù irochesi le forme simboliche che rappresentano queste concezioni sono visibili solo dall’alto, a conferma delle credenze indiane secondo cui sarebbero state costruite da antenati capaci di volare.
Abbiamo a che fare con extra-terrestri o semplicemente con persone dotate di mente aperta con cui elevarsi e “volare”?
Conoscere la struttura dei gruppi matriarcali può insegnare qualcosa di utile a chi vive nella nostra civiltà, che a volte pare impazzita o alienata, mostrando che forse sono possibili alternative agli schemi dualisti che conducono alla violenza perpetrata nei confronti dei soggetti più indifesi.

Paola Iotti

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