Smithsonian OpenAccess è tra le più importanti iniziative di rilascio di contenuti gratuiti degli ultimi anni a livello globale. Con oltre 2,8 milioni tra dati ed immagini (2D e 3D) disponibili online è anche una delle più imponenti aperture.
Si sa che la vera ricchezza al giorno d’oggi è la conoscenza. E la possibilità di accedere ad essa e riutilizzarla, dovrebbe essere un diritto oltre che un’opportunità. Ma nell’era del web e della comunicazione in tempo reale, è davvero così facile e scontato poter accedere alla conoscenza?
In realtà troppo spesso il sapere viene detenuto da chi lo produce. Oppure ha un ambito di circolazione limitato agli “addetti ai lavori”.
Basta riflettere sul fatto che la ricerca (per lo meno quella delle istituzioni pubbliche) è finanziata col denaro dei contribuenti. Viene da chiedersi se non sia eticamente doveroso rilasciarne i risultati. In questo senso alcuni settori, come quello dell’esplorazione spaziale, sono già abbastanza attivi sul fronte della divulgazione.
Ma ciò non basta per poter parlare di Open Knowledge. Non è solo il risultato finale di un’attività di ricerca a meritare di essere condiviso. Ma anche i dati grezzi, cioè non elaborati, che si trovano alla base e che hanno condotto a tale risultato (documenti, foto, video, testi, fonti, numeri, ecc.). Perché questi potrebbero essere rielaborati in modo completamente diverso, per scopi completamente diversi. Condurre a nuove conclusioni. E quindi a nuova conoscenza.
È proprio questo il motivo di iniziative come quella dello Smithsonian Institution. Istituto di istruzione e ricerca con sede a Washington e che gestisce anche una ventina di musei in vari Paesi degli U.S.A. Fondato nel 1846 per la promozione della cultura e del sapere nel mondo, mantiene intatta la sua mission a poco meno di due secoli di distanza:
“rendere le collezioni accessibili facilmente a tutte le persone nel mondo, perché chiunque possa servirsene per molteplici obiettivi.”
Oltre a consentire la libera acquisizione di milioni di dati e foto, lo Smithsonian mette a disposizione anche piattaforme per trovare risorse didattiche. Ed un’applicazione per l’elaborazione dei dati (raccolti in archivi multidisciplinari).
Oltre all’accessibilità gratuita, il principio basilare per poter definire “aperto” un dato o un contenuto è proprio la libertà del suo riutilizzo. Per qualunque finalità. Anche quelle commerciali.
Esistono invece ancora moltissime resistenze legate alla detenzione del dato non elaborato o alla sua parziale apertura. Infatti, mentre negli States si viaggia verso il progressivo addolcimento del concetto di diritto d’autore, in Italia e in Europa si irrigidiscono i termini in materia di copyright. Soprattutto in merito ai contenuti informatici.
Quasi mai un autore consente il libero riutilizzo dei propri contenuti a chiunque anche a scopo commerciale. Ciò coinvolge tanto la ricerca, quanto l’arte, l’economia e spesso anche governance pubbliche e private.
Manca del tutto un quadro normativo che incoraggi l’adozione di licenze aperte. E ancor più l’apertura dei dati in funzione di Open Knowledge e Open Science. Ma non manca chi promuove idee e concreti esempi con varie declinazioni (didattica, cultura, sanità, ecc.). Seppur non molto diffusi, che praticano l’apertura o il riutilizzo di risorse già aperte.
È il caso di Wikimedia Italia (la società che gestisce Wikipedia e mille altri progetti open access), che ha attivato diversi progetti attinenti. Come quello del “wiki docente” che per quest’anno ha messo a disposizione delle scuole tre corsi di formazione riconosciuti dal MIUR (scrittura collaborativa, educazione al patrimonio culturale digitale e OpenStreetMap).
O di Wiki loves monuments il concorso fotografico più grande del mondo a tema patrimonio culturale. Ogni anno costituisce l’occasione per “liberare” i monumenti di tutto il mondo dagli intricati cavilli burocratici che ne impedirebbero gli scatti fotografici. Oggi giorno infatti è spesso complicato poter immortalare persino opere d’arte, luoghi e documenti storici.
Anche nel mondo accademico, paradossalmente uno dei più strenui osteggiatori dell’open access, compaiono i primi tentativi di liberazione dei contenuti. L’Università degli Studi di Milano ha attuato una strategia che punta a rendere ad accesso aperto almeno il 50% delle pubblicazioni del proprio archivio istituzionale entro i prossimi tre anni.
Quella dei dati è una scienza molto complessa. Le sue potenzialità crescono esponenzialmente e richiedono nuovi profili e strumenti. L’open access è percepito ormai come un bisogno sociale. Riguarda il diritto alla conoscenza. Il dovere della trasparenza. Soprattutto da parte delle istituzioni.
Dal punto di vista aziendale invece, liberare dati e informazioni equivale a produrre nuove opportunità, e a sviluppare collaboratività con ricadute potenzialmente positive per la comunità.
In buona sostanza, i dati vanno aperti perché non si sa mai quale mente brillante dall’altra parte del mondo potrà elaborarli e creare qualcosa di rivoluzionario. E quello dello Smithsonian può essere un ottimo esempio da imitare.
Maria Luisa Ancona