La fondazione dell’UNRWA
Pulizia etnica o pulizia del territorio sono i termini che nel contesto della guerra in Jugoslavia cominciano a entrare nel linguaggio della comunicazione mediatica a partire dagli anni 90.
Laddove un gruppo etnico predominante vuole preservare identità, “purezza” o integrità territoriale, si ricorre alla violenza, spesso militare o autorganizzata per rimuovere forzatamente una minoranza da un dato territorio.
Se non fosse che nel 1948, anno della Nakba, ovvero la Catastrofe, la popolazione vittima di questa pratica da parte dei coloni del neonato stato israeliano era la maggioranza, pulizia etnica descriverebbe alla perfezione ciò che accadde.
Più di 530 villaggi palestinesi distrutti, intere comunità di contadini e pastori inermi massacrati o costretti a fuggire. Più di 13,000 persone uccise, spesso tramite esecuzioni sommarie di civili sospettati di appartenere a gruppi resistenti all’avanzata del piano sionista di impossessarsi della Palestina storica.
Oltre ai caduti, 750,000 palestinesi furono costretti a scappare per rifugiarsi nei paesi limitrofi divenendo dei profughi. Passarono gli anni, coloro i quali erano fuggiti oltre frontiera non fecero più ritorno. Era parte del piano, bisognava fare pulizia per possedere il territorio.
La terra è tutto per chi la coltiva. La terra per un contadino è casa, lavoro, vita, famiglia, origine, appartenenza e discendenza.
Meno di sei mesi bastarono a scolvolgere per sempre le vite di centinaia di migliaia di persone e far cadere l’intera popolazione palestinese in uno stato di torpore esistenziale causato dall’impossibilità di credere che tutto ciò stesse accadendo realmente.
Non Può essere vero! Deve essere un sogno, un illusione, un coma. È proprio il coma l’espediente narrativo che lo scrittore libanese Elias Khoury utilizza per descrivere metaforicamente il grande sonno che colse la popolazione palestinese a seguito della Nakba nel suo grande romanzo “Bab Al Shams” (La Porta del Sole). La resistenza dei gruppi ribelli armati, la convivenza coi colonizzatori sionisti di chi rimase, la vita nei campi profughi di chi scappò.
È in questo contesto che la neonata Organizzazione delle Nazioni Unite fondò l’UNRWA, (Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi nel vicino oriente) con lo scopo di porre rimedio al fallimento di non essere stata in grado di prevenire l’ennesima guerra, gli ennesimi massacri, gli ennessimi fallimenti umani di fronte al rinnego dei diritti dell’uomo più debole al cospetto del più forte.
Lo scopo è di fornire soccorso, sviluppo, istruzione, assistenza sanitaria, servizi sociali e aiuti di emergenza a oltre cinque milioni di rifugiati palestinesi che vivono in Giordania, Libano, Siria, Cisgiordania e Striscia di Gaza. Vi è un’altra agenzia ONU che si occupa di tutto questo, la differenza è che lo fa per tutti gli altri profughi del mondo, i figli di tutti gli altri conflitti, ovvero l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, UNHCR.
Le accuse israeliane contro l’UNRWA e le conseguenze per la popolazione civile
L’attacco di Hamas del 7 ottobre ha riacceso il conflitto aperto, mai del tutto sopito, che continua da oltre 76 anni. La guerra per quanto assurda segue delle logiche, Israele le ha violate tutte. Non si uccidono i civili inermi, non si attaccano le strutture ospedaliere, si deve permettere alle organizzazioni umanitarie e alla stampa di aver eccesso al campo di battaglia nelle massime condizioni di sicurezza possibili. Tutto ciò, per poter garantire assiastenza alla popolazione civile vittima del conflitto e per assicurare che attraverso l’informazione tutte queste premesse siano rispettate.
Se lo scopo fosse attaccare e sconfiggere un gruppo armato rivale, Hamas in questo caso, non servirebbe operare in maniera da punire intenzionalmente tutta la comunità palestinese. Questa è pulizia etnica, questo è un genocidio.
L’accusa che Israele ha indirizzato all’UNRWA nel gennaio 2024 include l’aver fornito strutture e logistica per rendere possibile l’attacco del 7 ottobre. Inoltre nel dossier di sei pagine presentato da Israele come accusa diretta contro L’UNRWA, 12 membri dello staff dell’organizzazione sono incolpati di aver partecipato attivamente al massacro, mentre altri 190 di aver fornito supporto e logistica agli attentatori.
A seguito dell’accusa di Israele il risultato è stato la sospensione dei fondi all’UNRWA da parte di 18 paesi tra i quali gli Stati Uniti, i principali finanziatori, la perdita economica ammonta a circa 450 milioni di dollari in un momento di massima necessità da parte delle popolazione civile palestinese.
Il 13 febbraio 2024 un team composto da tre istituti di ricerca ovvero, il Raoul Wallenberg Institute of Human Rights and Humanitarian Law con sede in Svezia, il Chr. Michelsen Institute, norvegese, e il Danish Institute for Human Rights, coordinati da Catherine Colonna, ex ministro della repubblica Francese ha iniziato le indagini sulle accuse prodotte da Israele.
Il 22 aprile il report di questa inchiesta è stato pubblicato, esso indica con evidenza come Israele non sia stato in grado di fornire evidenze a supporto delle accuse contro l’UNRWA.
Diversi paesi hanno anticipato il rifinanziamento dell’organizazzione ONU prima dell’uscita di questo rapporto, evidenziando la scarsa fiducia verso le posizioni d’accusa Israeliane, altri, tra i quali Italia, Germania, Stati Uniti, Austria, l’Olanda e il Regno Unito non hanno ancora ripreso le donazioni, mentre l’Unione Europea ha aumentato i fondi da devolvere all’UNRWA.
Juliette Touma, portavoce dell’organizzazione per i rifugiati palestinesi, oltre a sottolineare le condizioni di estrema necessità che la popolazione di Gaza sta affrontando ha dichiarato che i fondi garantiscono la piena attività solo sino a giugno.
La portavoce ha denunciato la morte di 177 suoi colleghi dell’UNRWA che hanno perso la vita durante questo conflitto sin dal 7 ottobre. Rappresenta il maggiore numero di operatori umanitari morti, più che in ogni altro conflitto o disastro naturale nella storia dell’ONU.
Decine di migliaia di vittime civili, in maggioranza donne e bambini, 97 giornalisti uccisi, più di 350 tra medici e infermieri uccisi e oltre 520 feriti e spesso non più in grado di operare.
Questi i dati secondo le stime espresse da Tlaleng Mofokeng, incaricata speciale dell’ONU per il diritto alla salute, numeri che sono considerati fortemente al ribasso.
La tragedia continuerà nel tempo, si sta compromettendo il diritto alla vita dei Gazawi per generazioni. Sono 26 gli ospedali distrutti, nella striscia si muore nell’impossibilità di far fronte alle più comuni operazioni chirurgiche e si muore per la fame.
Alla luce della sospensione dei fondi da parte di molti paesi l’Italia, tramite un Twitt di Antonio Tajani, ha fatto sapere che i fondi devoluti dal nostro paese all’UNRWA erano già stati sospesi all’inizio dello scoppio del conflitto, proprio nel momento di maggior necessità, con il pretesto di volersi impegnare “nell’assistenza umanitaria della popolazione Palestinese tutelando la sicurezza di Israele”.
Un assurdità espressa quasi con vanto di fronte alla morte e alla sofferenza di civili e innocenti, il tutto mentre un inchiesta di Altraconomia che risale a fine febbraio getta ombra sulle dichiarazioni del governo di aver sospeso la fornitura di armi verso Israele dopo il 7 ottobre.