Secondo uno studio del Medical Research di Sydney, lo smart working potrebbe peggiorare la salute mentale delle persone, soprattutto se si lavora in pigiama. Questo è quanto emerso dalla ricerca australiana e preoccupa la comunità scientifica, che invita a non sottovalutare il fenomeno.
Pantofole e camicia, l’outfit del 2020
“Ma quanto è bello alzarsi una mezz’ora dopo?” oppure “Oggi resto in pigiama tanto non mi vede nessuno!” Chi di noi non ha detto, almeno una volta, queste frasi durante il lockdown? Ebbene sì, il Covid-19 ci ha costretti a stravolgere le nostre abitudini, non solo nel rispetto del distanziamento sociale, ma anche nel modo di lavorare. Infatti, milioni di dipendenti si sono trovati in smart working per la prima volta, mentre tanti studenti hanno conosciuto la DAD, ovvero la didattica a distanza. Quindi, improvvisamente niente più traffico, niente più attese per l’autobus, niente più chiacchiere con i colleghi e, soprattutto, niente più vestiti. Perché si, che fosse un completo, un tailleur o un semplice jeans, nessuno avrebbe mai pensato di sostituirlo con il pigiama, almeno non prima del 2020.
Lo studio
Pubblicato su MJA, lo studio condotto dal Woolcock Institute of Medical Research di Sydney afferma che la salute mentale degli “smart workers” tende a peggiorare nel tempo e aumentano anche i disturbi d’ansia. Inoltre, si è più invogliati a rimanere in pigiama, un’abitudine di solito riscontrata nei pazienti psichiatrici. Quindi, nonostante gli indubbi vantaggi dello smart working, non mancano gli effetti negativi, che non si osservano nell’immediato, ma sono in evidente aumento. È quanto emerso dai dati raccolti tra il 30 aprile e il 18 maggio 2020 in Australia su un campione di lavoratori piuttosto diversificato. Selezionati su base volontaria, i partecipanti hanno completato un questionario anonimo di 22 domande su età, sesso, impiego, abbigliamento tipico durante il lavoro, la presenza di bambini e/o animali domestici. Il sondaggio ha interessato esclusivamente i dipendenti del Woolcock Institute, ma i risultati hanno già trovato riscontro in altre realtà.
I risultati
Il 40% degli intervistati ha riscontrato un peggioramento della salute mentale, indipendentemente dal tipo di lavoro svolto. Inoltre, su 147 persone 63 hanno indossato il pigiama e, di quest’ultime, il 59% ha registrato squilibri psichici ancora più gravi. Tuttavia, non è possibile determinare se il pigiama sia la causa o la conseguenza del peggioramento. Invece, la presenza di bambini e/o animali non sembra aver influenzato la salute mentale dei dipendenti.
E la produttività?
In smart working la produttività aumenta, sebbene con delle differenze significative. Per certi lavori l’incremento è stato notevole, soprattutto per chi assolve compiti specifici (es. scrivere). Al contrario, i ricercatori hanno incontrato maggiori difficoltà, soprattutto per la mancanza di strumenti e spazi. Anche la presenza di bambini piccoli in casa ha influenzato molto la produttività e, in particolare, il 63% dei dipendenti ha riscontrato una produttività significativamente più bassa. Infatti, i problemi principali sono stati: mantenimento della concentrazione e il continuo coinvolgimento nell’istruzione online dei bambini. Circa quest’ultimo punto, ulteriori studi confermano che la scuola primaria affronta maggiori difficoltà nell’organizzazione delle lezioni. Infatti, in quella delicata fascia d’età gli alunni necessitano di stimoli continui per mantenere buona la concentrazione e, di conseguenza, i genitori non possono lasciarli soli durante le lezioni.
Cucina e salotto, i nuovi uffici per lo smart working
La maggioranza degli intervistati ha affermato di aver preferito la cucina e la sala da pranzo (42%); invece, un numero ridotto (3%), ma interessante, di persone ha ammesso di aver preferito il bagno. In realtà, le politiche di salute e sicurezza sul lavoro sconsigliano questi due ambienti per lavorare, ma in molti casi la scelta è stata obbligata. Infatti, in Australia il costo degli affitti è molto elevato e non tutti possono permettersi case così grandi, da avere anche delle stanze adibite a studi. Tuttavia, questo problema è “la dura realtà delle grandi città, che hanno alti costi immobiliari”, come affermano gli autori Cindy Thamrin e David Chapman.
Italia, il “per sempre” che fa paura
Dall’inizio della pandemia gli Italiani in smart working sono passati da circa 570 mila (2019) a 4 milioni (2020). Inizialmente molte persone hanno reagito bene a questa nuova modalità, poiché i vantaggi sono pressoché immediati, a differenza dei problemi e/o disagi. Quest’ultimi, difatti, si manifestano solo in un secondo momento e, spesso, la consapevolezza non è immediata. In generale, lo smart working sembra piacere al 47,2% degli Italiani, ma la percentuale cambia sensibilmente quando viene formulata l’ipotesi di mantenere tale modalità per sempre. Infatti, il 68% delle persone non vuole lo smart working come unica soluzione, ma preferirebbe, invece, un’alternanza. In particolare, sono le donne (54,3%) ad aver riscontrato maggiori difficoltà nel conciliare vita professionale e famiglia. Inoltre, lo smart working ha messo in evidenza un’importante discrepanza tra lavoratori più e meno tutelati.
Un nuovo concetto di casa
Negli ultimi decenni la funzionalità di alcuni spazi nella casa è stata completamente rivisitata. Ad esempio, si sono persi i corridoi ed è aumentata la preferenza per gli spazi unici e multifunzionali. Tuttavia, il lockdown ha cambiato molte delle nostre abitudini, così come ha evidenziato la necessità di mantenere degli spazi privati nei quali lavorare o dedicarsi a un hobby. Infatti, una problematica comune a molte famiglie è stata l’impossibilità di isolarsi per svolgere un determinato compito senza essere disturbati. Inoltre, sembra ritornata la preferenza per il locale della cucina rispetto all’angolo cottura. Probabilmente, lo smart working ha dato consapevolezza di quanto separare l’ambiente dei pasti da quello del lavoro sia psicologicamente importante, perché simula la pausa pranzo dell’ufficio. In ultimo, gli spazi aperti hanno acquistato grande valore, facendo sensibilmente aumentare la richiesta di case con giardino e/o terrazzi ampi.
“Qualsiasi modifica, anche un cambiamento per il meglio, è sempre accompagnata da inconvenienti e disagi.”
Insomma, durante il lockdown necessità e bisogni ci hanno indotto a portare il mondo nelle nostre case. E così, i giorni sono trascorsi in una dimensione spazio-temporale aliena, che ha dato una nuova forma alla nostra quotidianità. Molti hanno lavorato e studiato, qualcuno si è allenato e qualcun altro ha cantato: tutti abbiamo sognato la vita che avevamo prima. In questo contesto, lo smart working è forse stato il cambiamento più grande, continuamente in bilico tra sentimenti di amore e odio. Sebbene spesso promosso a fronte dei numerosi vantaggi, ci si augura che i dati scientifici possano essere il fondamento da cui partire per prendere decisioni consapevoli nei confronti dei dipendenti. Decisioni che non tengano conto solo della produttività, ma anche, e soprattutto, della salute mentale delle persone.
Intanto, però, anche noi sforziamoci, cercando di non cadere nella spirale della pigrizia, perché, come disse Seneca, “Il pigro è d’ostacolo a sé stesso”.
Carolina Salomoni
Quanto è vero… credo sia stata meticolosamente descritta la realtà di noi smartworker