Slow Fashion, ovvero l’altra faccia della moda: vestire ecosostenibile senza rinunciare allo stile non è più solo un’utopia.
La società contemporanea ha sempre più consapevolezza del mondo che la circonda e dell’importanza di compiere scelte etiche per il futuro del nostro pianeta, in questo quadro rientra la Slow Fashion: una risposta ecologica, etica e sostenibile alla Fast Fashion.
Fast Fashion, quando la moda inquina
New York, Milano e Parigi hanno visto sfilare le collezioni dell’autunno inverso 2020-21, tra glamour, Haute Couture e Prêt à porter è facile restare incanti da tanto sfarzo e dimenticare l’inconfutabile realtà che vuole l’industria tessile è la seconda al mondo per inquinamento.
L’industria della moda è in continua evoluzione, i tessuti e le texture indossate fino al mese scorso sono già passate di moda e la tentazione di mettere mano al portafogli per restare al passo è tanta, aiutata dai rinomati nomi della grande distribuzioni che permettono di essere fashion e attuali senza spendere un patrimonio. Ma a quale prezzo?
Il costo ecologico della moda è alto non solo per il modo in cui vengono prodotti gli alimenti ma anche per la scarsa riciclabilità dei materiali ma anche per la scarsa riciclabilità dei materiali, i prodotti chimici impiegati nella filiera e l’alta produzione di rifiuti, senza tralasciare lo sfruttamento delle risorse ambientali e della forza lavoro.
In questo drammatico quadro è andata a svilupparsi negli ultimi anni la Slow Fashion, un movimento alternativo che strizza l’occhio a una moda più sostenibile ed etica.
Da Slow Food a Slow Fashion
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Prima di parlare di Slow Fashion bisogna fare un passo indietro fino al 1986 quando da un’idea di Carlo Pertini nasce lo Slow Food un vero e proprio movimento culturale volto a “promuovere il diritto al piacere, difendere la centralità del cibo e il suo giusto valore.”
Lo Slow Food ebbe l’ambizioso obiettivo di contrastare il prepotente sviluppo dei Fast Food nati per rispondere ai vorticosi ritmi della vita moderna. L’idea di Carlo Pertini fu quella di studiare, difendere e divulgare le tradizioni enogastronomie e agricole di ogni parte del mondo, con particolare attenzione alla difesa della biodiversità.
All’agricoltura massima e alle manipolazioni genetiche l’onlus fondata da Pertini rispondeva diffondendo in prima linea la biodiversità e i diritti dei popoli alla sovranità alimentare.
Circa trent’anni dopo qualcosa nell’industria alimentare, non solo si è più attenti al cibo che si porta in tavola ma sono nate realtà come il Salone del Gusto e l’Università di Scienze Gastronomiche.
La moda lenta conviene?
Il cammino per la Slow Fashion ancora all’inizio, basti pensare che il neologismo fu creato solo nel 2007 da Kate Fletcher innaugurando un movimento di moda sostenibile che strizza l’occhio allo Slow Food. La moda lenta è un modo di “identificare soluzioni di moda sostenibili” promuovendo al tempo stesso un modo più etico e sostenibile di vivere e consumare.
Tra gli elementi alla base della filosofia della moda lenta ci sono la riprogettazione di abiti vecchi, l’acquisto di capi vintage, lo shopping da piccoli produttori e la produzione in casa di abiti e accessori.
Proprio per la varietà degli elementi che la compongono è difficile dare una definizione univoca della Slow Fashion. Le aziende che rientrano nella filosofia della moda lenta si impegnano a una maggiore trasparenza nei processi produttivi (eco-compatibili), nella scelta dei materiali e nei disegni senza tempo che compongono le loro linea.
Acquistare un capo di abbigliamento slow fashion è sicuramente dispendioso, tuttavia si tratta di un vero e proprio investimento: sebbene il prezzo sia un fattore dissuasivo, a lungo termine, un capo di abbigliamento ben prodotto e poggetto sopravviverà a qualsiasi altro capo low cost.
Emanuela Ceccarelli