Il fatto
Poco meno di due settimane fa venivano ricoverati a Salisbury, nel sud dell’Inghilterra, l’ex colonnello dell’intelligence russa Sergei Skripal e una donna, la cui identità si sarebbe scoperta appena dopo il ricovero. Skripal e la figlia Yulia stavano passando del tempo in uno spazio aperto della cittadina quando una fuoriuscita di una sostanza sconosciuta contamina loro e altri fra passanti e soccorritori della coppia tra i quali un poliziotto finito in coma. Dopo appena quattro giorni dal fatto, la premier britannica Theresa May chiede l’aiuto di 180 militari del dipartimento armi chimiche, biologiche e nucleari, gli unici in grado, secondo il governo inglese, di riuscire ad indagare in maniera appropriata sulla sostanza sprigionata e decontaminare adeguatamente la zona colpita.
La ricostruzione finale
Lo scenario più accreditato dagli inquirenti per la risoluzione del caso Skripal sembra essere quello che vede la stessa figlia dell’ex spia russa come portatrice inconsapevole del gas nervino responsabile della contaminazione. Ella sarebbe arrivata sabato 3 marzo a Salisbury per fare visita al padre veicolando fra i propri bagagli qualcosa tra cibo, bevande o profumo che era stato contaminato col gas solo in precedenza, in madrepatria. Proprio questa impostazione ha sancito l’attribuzione della responsabilità alla Russia nell’avvelenamento e l’inizio della conseguente catena di reazioni diplomatiche fra i due Paesi.
La catena di reazioni
Il 12 marzo May lancia un ultimatum a Mosca, chiedendo a muso duro ad uno Stato sovrano di chiarire sulla vicenda in appena 24 ore. Ciò che arriva ineluttabilmente in risposta dal Cremlino e dal ministro degli Esteri russo è soltanto disprezzo e scherno. A questo punto comincia a consumarsi la catena di reazioni: il Regno Unito espelle 23 diplomatici russi presenti sul territorio accusandoli di essere agenti sotto copertura: essi lasceranno il suolo inglese il 20 marzo. Ma non è tutto. Theresa May annuncia anche ritorsioni patrimoniali contro tutti gli uomini d’affari russi che in qualche modo verranno collegati all’avvelenamento. Nella giornata di ieri arrivava la risposta di Mosca che invita 23 diplomatici britannici a lasciare la Russia entro una settimana, proibisce l’apertura del consolato generale britannico a San Pietroburgo e interrompe le attività del British Council.
La comunità internazionale
A questo punto è ovvio che il discorso non possa coinvolgere più soltanto i due grandi Stati ma l’intera comunità internazionale. Espressioni di solidarietà a vario titolo arrivano al Regno Unito e a Theresa May da parte di Francia, USA, Germania e Italia oltre che dalla NATO e dalla Commissione UE, mentre Mosca si rivolge all’ONU. Proprio l’ambasciatore russo ha dichiarato alle Nazioni Unite “Ci è stato dato l’ultimatum di ammettere che abbiamo commesso un crimine. Noi non parliamo il linguaggio dell’ultimatum, e non lasciamo che ci si parli con questo linguaggio“. Secondo il presidente francese Macron il coinvolgimento della Russia nell’avvelenamento appare l’unica spiegazione plausibile mentre il premier Paolo Gentiloni in una telefonata con May condanna l’attacco per l’uso di armi chimiche ed esprime solidarietà alle autorità britanniche. Proprio Macron, insieme ad Angela Merkel, starebbe pensando ad una soluzione diplomatica che possa coinvolgere l’Europa.
Gli USA
Ben più pesanti sono le dichiarazioni dell’ormai ex segretario di Stato americano Rex Tillerson che accusò apertamente Mosca appena un giorno prima di essere licenziato dal presidente Trump: “Siamo d’accordo che i responsabili – sia coloro che hanno commesso il crimine che quelli che l’hanno ordinato – devono affrontare conseguenze adeguatamente gravi: siamo solidali con i nostri alleati nel Regno Unito e continueremo a coordinare da vicino le nostre risposte” che ha aggiunto “la Russia continua a essere una forza irresponsabile di instabilità nel mondo, agendo con un generale disprezzo per la sovranità degli altri stati e la vita dei loro cittadini“.
Un’analisi
A prescindere dalla retorica da guerra fredda e dalle rispettive accuse che Regno Unito e Russia si muovono l’un l’altra -una parte è convinta che il gas nervino abbia fatto la propria comparsa proprio in Russia 40 anni fa, mentre il Cremlino sospetta che esso sia stato creato in laboratori britannici- due aspetti di questa vicenda si ripropongono prepotentemente. Uno di questi è l’ennesima dimostrazione di incapacità della comunità internazionale nel gestire una crisi diplomatica fra due o più parti. Sembra che nessuno abbia pensato di andare oltre alle minacce e alle ritorsioni, veicolate da un linguaggio tipicamente di guerra. Fanno pensare a tal proposito, oltre alle parole di Tillerson e Boris Johnson, le dichiarazioni della stessa Theresa May che ha detto “molti di noi avevano guardato alla Russia post- sovietica con speranza” suggerendo appunto che l’aver auspicato il superamento dei due blocchi, quello Occidentale e quello Sovietico, sia stata soltanto una vana utopia. Il secondo aspetto riguarda sicuramente le modalità cieche e unilaterali che i media hanno “adottato” nella descrizione, nella comprensione e divulgazione del fatto.
Il punto di vista
C’è un problema di fondo che molti si ostinano a reputare secondario, guardando soltanto a quello che succede al momento, senza l’adozione di un adeguato punto di vista critico che guardi alla complessiva ampiezza del fatto nell’ambito geopolitico internazionale. Ebbene, appare ovvio che della spia avvelenata non si possa parlare in maniera isolata e isolante, senza tenere conto di alcuni punti cardine della politica globale degli ultimi mesi. Parlare di questo tragico avvenimento senza fare riferimento alle minacce di Trump sui dazi, fatto intrinsecamente connesso al ruolo della NATO -che esce rinvigorita dal caso Skripal-, alle elezioni in Russia che si tengono oggi e all’annosa questione della Brexit non significa altro che proporre la notizia in maniera parziale e anti-critica.
Giorgio Russo