Il sit-in 504: quando un gruppo di cittadini disabili occupò un edificio federale

San Francisco, 5 aprile 1977: ha inizio la più grande azione di disobbedienza civile nella storia dei movimenti per i diritti delle persone con disabilità

Volantino per il sit-in 504

Il sit-in 504 è stata la più grande azione di disobbedienza civile nella storia dei movimenti per i diritti delle persone con disabilità e la più lunga occupazione di un edificio federale statunitense. Oltre 150 persone disabili presero possesso della sede del Dipartimento della Salute di San Francisco e ne fecero la propria casa per un mese.

Negli anni ’70 molti paesi occidentali hanno riscritto le proprie società: rivoluzioni sindacali, proteste studentesche, conquiste di diritti civili e sociali per tutti. C’è una lotta, però, che viene spesso dimenticata ed è quella per i diritti delle persone con disabilità. Raccontiamo spesso le storie delle persone coraggiose che si sono battute affinché le donne potessero abortire, le persone divorziare, i neri avere gli stessi diritti dei bianchi, ma sappiamo molto meno di quelle che hanno permesso alle persone con disabilità di essere finalmente considerate cittadine. La storia del sit-in 504 è una di queste storie. E merita di essere raccontata.

I motivi della protesta: la sezione 504

Nel 1973, dopo avervi imposto il veto per due volte consecutive, Richard Nixon firmò la prima legge che garantiva diritti e protezione alle persone con disabilità: il Rehabilitation Act, che stabilì un precedente per tutta la legislazione successiva, negli Stati Uniti e in Europa.

Tuttavia, la sezione più importante della legge, la 504, richiedeva un ulteriore step prima di essere implementata: la firma del Segretario del Dipartimento della Salute, Educazione e Welfare (HEW). La sezione 504, tre le altre cose, disciplinava i requisiti di accessibilità per gli enti pubblici, negando i fondi federali in caso di inadempienza. Obbligava inoltre i datori di lavoro, anche degli enti privati, a offrire supporti adeguati ai propri dipendenti e regolava il diritto allo studio degli studenti con disabilità.


Preoccupati dal costo economico della misura e dalle attività di lobbying dei contrari, prima la presidenza Nixon, poi quella Ford, rallentarono la firma per anni, nonostante una causa legale li obbligasse a non indugiare oltre. Durante la sua campagna elettorale Jimmy Carter promise che avrebbe fatto approvare la sezione 504 non appena insediato. La promessa acquisì un certo simbolismo perché venne fatta durante un comizio a Warm Springs, luogo della residenza accessibile del presidente Roosevelt, disabile a sua volta.

Diventato presidente nel gennaio del 1977 Carter non mantenne la parola, rimbalzò la questione al segretario dell’HEW Joseph Califano e insieme misero in piedi una task force che avrebbe dovuto stabilire i costi della legge. Nessun membro delle associazioni che si occupavano di disabilità venne invitato.

Durante le consultazioni circolarono all’esterno stralci dei cambiamenti imposti alla sezione 504, come la dicitura “separati ma uguali”, che avrebbe dovuto sostituire la “piena integrazione” delle persone con disabilità, ordinata dalle versioni precedenti. Fu l’ultima goccia che fece traboccare un vaso che si riempiva da anni.

5 aprile 1977: le reazioni

Il 5 aprile 1977, raggiunto il limite di tempo massimo concesso per firmare la legge, iniziarono le proteste fuori dalle sedi dell’HEW. Centinaia di persone si presentarono fuori dagli uffici di Atlanta, Boston, Chicago, Denver, Los Angeles, New York, Philadelphia e Seattle. Furono però Washington DC e San Francisco a ospitare le proteste maggiori.

A Washington marciarono in 300, guidati da Frank Bowe, attivista sordo a capo della Coalizione Americana dei Cittadini con Disabilità (ACCD). Il segretario Califano incontrò i manifestanti fuori dal suo ufficio ma negò la firma. Il sit-in durò 28 ore e si interruppe per la difficoltà delle persone di resistere in assenza di supporti adeguati. A San Francisco, invece, le cose andarono diversamente.

Il sit-in 504 a San Francisco

San Francisco era una città giovane e progressista, animata dalle proteste per i diritti civili e contro la guerra in Vietnam. Un ambiente fecondo per i movimenti sociali, dove nascevano alleanze e si faceva rete tra gruppi interessati al cambiamento sociale. Furono tre donne disabili a far entrare i movimenti per la disabilità tra le lotte degli altri movimenti progressisti: Judy Heumann, Mary Jane McKeown Owen e Kitty Cone. Già impegnate nella giustizia sociale da anni, organizzarono, seguendo i consigli del movimento studentesco, la più lunga occupazione di un edificio federale della storia.

Cone era nella lista degli osservati speciali dell’FBI per i suoi interessi Marxisti all’Università; Heumann fu la prima insegnante in sedie a rotelle di New York, dopo una causa di discriminazione vinta contro la scuola che aveva cercato di toglierle il posto; McKeown Owen era impegnata da anni contro la guerra in Vietnam. Tre donne straordinarie a cui non bastarono i successi individuali ottenuti, ma che pretesero che le possibilità e i diritti venissero estesi a tutti. E nel farlo, fecero la storia.

L’organizzazione del sit-in 504

Occupare un edificio federale non deve essere cosa facile per nessuno, ancora più difficile se ci si muove con una sedia a rotelle o se si è ciechi, data l’inaccessibilità degli edifici (punto che sarebbe stato risolto con l’adozione della sezione 504). Occupare il palazzo parzialmente, entrando e uscendo ogni giorno alla chiusura era fuori discussione per motivi logistici, si doveva fare di più: ci si doveva trasferire dentro. Il piano non poteva essere rivelato in anticipo, perché avrebbe portato i dirigenti a barricarsi dentro. Si doveva lavorare di astuzia.

Una marcia di 500 persone tra disabili, alleati e assistenti si diresse verso la piazza centrale, dove vennero spiegate le ragioni della protesta ai passanti e dove i giornalisti e le televisioni si concentrarono per riprendere il confronto con Maldonado, il responsabile dell’ufficio dell’HEW di San Francisco. Maldonado si dichiarò all’oscuro del rifiuto del suo superiore, il segretario dell’HEW Califano, di firmare la sezione 504.

Nel mentre, 150 attivisti entrarono nel Federal Building al numero 50 di United Nation Plaza e occuparono l’ufficio di Maldonado al quarto piano. Ci riuscirono sfruttando a loro vantaggio i pregiudizi che la società aveva verso le persone disabili, ritenute incapaci di portare avanti azioni di disturbo e meritevoli solo di pietà. La polizia temeva che fermandoli si sarebbe attirata le ire dell’opinione pubblica e così i 150 poterono barricarsi dentro. Ne usciranno quasi un mese dopo.

L’occupazione degli uffici dell’HEW

Per non attirare troppo l’attenzione, i manifestanti avevano portato con sé solo le medicine e gli spazzolini da denti e per resistere più di un giorno dovettero contare sul supporto di associazioni e politici alleati. Il partito Black Panther consegnò pasti caldi ogni giorno nonostante i tentativi dell’FBI di fermarlo, il sindaco di San Francisco fece installare una linea telefonica dopo che il Dipartimento della Salute staccò la sua, l’Esercito della Salvezza procurò materassi e coperte.

Gli occupanti con creatività risolsero il problema dei medicinali attaccando una scatola all’aria condizionata, sigillandola così da simulare una piccola cella frigorifera. Comunicarono con l’esterno attaccando striscioni alle finestre e utilizzando la lingua dei segni da lontano. Si racconta anche di un ascensore utilizzato dalle coppie per avere un po’ di privacy.

Le persone con disabilità motorie si facevano aiutare da quelle cieche e queste ultime utilizzavano gli occhi dei compagni per leggere. Passarono la Pasqua all’interno dell’edificio, festeggiando con una caccia alle uova e funzioni sia cristiane che ebraiche. Alcuni di loro portarono avanti uno sciopero della fame per evidenziare l’urgenza del provvedimento.

I racconti dei testimoni riportano un’atmosfera di aiuto reciproco e solidarietà, un gruppo di giovani, guidato da donne e persone queer, davvero intersezionale. Molti dormirono fuori casa da soli per la prima volta, fu un’occasione per incontrare persone che vivevano condizioni simili alla propria e per imparare quelle di chi viveva con disabilità differenti. Un’esperienza che rafforzò l’autostima di tutti e che mostrò loro che uniti avrebbero potuto raggiungere ogni risultato.

L’originale protesta attirò l’attenzione dei media, i manifestanti vennero intervistati e fornirono approfondimenti sulla propria disabilità, così da educare gli spettatori alla diversità e spiegare loro le sfaccettate discriminazioni che erano abituati a subire: il basso tasso di occupazione, l’istruzione scadente, i problemi abitativi.

Alla seconda settimana di occupazione i manifestanti si resero conto che avrebbero dovuto attirare ancor di più l’attenzione nazionale e così formarono una delegazione di 25 persone, rappresentanti ogni disabilità e condizione sociale, da mandare a Washington. Lì protestarono fuori dalla casa di Califano, dalla chiesa di Carter e fuori dalla Casa Bianca dove si riversarono centinaia di persone in loro supporto cantando “firma la 504” sulle note di “We shall overcome”, inno delle lotte per i diritti civili degli afroamericani. Califano, sconfitto, firmò la sezione 504 il 28 aprile 1977.

La storia del sit-in 504 mostra come il cambiamento sociale richieda collaborazione, comprensione dell’altro, solidarietà. La rete intessuta dalle organizzatrici fu fondamentale, così come l’esperienza delle lotte precedenti su questioni affini come la parità di genere, i diritti degli afroamericani e i moti di Stonewall della comunità LGBTQIA+.

Ad anni di distanza i partecipanti ricordano il mese del sit-in 504 come l’esperienza più incredibile della loro vita, la battaglia vinta che solidificò il movimento per i diritti delle persone con disabilità. Una battaglia vinta contro chi per loro immaginava una vita fatta solo di accettazione dell’oppressione e della marginalità, che mai avrebbe potuto immaginarli soggetti attivi del cambiamento, corpo politico capace di autodeterminarsi e di cambiare il mondo.

Sara Pierri

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