Anche nelle nostre democrazie, l’informazione è libera solo apparentemente. Infatti, come spiegano Peter Gomez e Stefania Maurizi, dietro a essa si celano potenti sistemi criminali
Di sistemi criminali dietro l’informazione hanno parlato oggi Stefania Maurizi, giornalista d’inchiesta, e Peter Gomez, direttore de Ilfattoquotidiano.it, durante la prima edizione del Festival Internazionale dell’Antimafia a Milano.
All’intervento, moderato da Laura Incantalupo, attivista e membro di WikiMafia, ha preso parte anche Chiara Piotto, inviata per la Francia di SkyTg24.
Partendo dal caso Assange – al quale Maurizi ha dedicato gran parte del proprio lavoro, per oltre 14 anni – fino alle querele temerarie che minacciano la stampa italiana, i due giornalisti hanno svelato il volto di quei sistemi criminali che minacciano la libertà della nostra informazione.
Perché necessitiamo di libera informazione: il caso Assange
Parlando di libertà di stampa e sistemi criminali, il caso del fondatore di WikiLeaks, Julian Assange, è emblematico.
Come spiega Stefania Maurizi, l’organizzazione (fondata nel 2006) è nata in un periodo molto buio della Storia.
Era passato da poco l’11 settembre, e il Presidente Bush aveva dato inizio alla “War on Terror“, in Iraq e Afghanistan, caratterizzata da crimini di guerra, extraordinary renditions e “interrogatori potenziati“.
Di tali azioni, l’establishment statunitense era pienamente consapevole.
Ma, pur avvertendo l’obbligo morale di denunciare, non esisteva alcun sistema che avrebbe garantito alle potenziali fonti il totale anonimato di cui necessitavano.
Chiedevo spesso a Julian Assange quale fosse quell’episodio che lo aveva spinto a creare WikiLeaks. E lui rispondeva sempre che era la guerra in Iraq.
Perché c’erano persone che avrebbero voluto rendere pubbliche le informazioni, ma non avevano la possibilità di farlo
Nasce così WikiLeaks, che con il suo sistema basato sulla crittografia rivoluziona il sistema dell’informazione.
Assange e il suo staff di giornalisti rendono accessibili a tutto il mondo il manuale della task force attiva nel carcere di Guantanamo, oggi tristemente noto per le torture che avvenivano tra le sue mura.
Ma anche prove di crimini di guerra, come il video Collateral Murder, migliaia di documenti segreti riguardanti la guerra in Iraq e in Afghanistan, e pagine e pagine di cablo della diplomazia statunitense.
La stampa deve servire i governati, non i governanti
Lo scoperchiamento dei segreti del complesso militare-industriale statunitense, come scrive Stefania Maurizi nel suo libro “Potere Segreto“, è costato a Julian Assange una potente campagna di diffamazione e la sottrazione di ogni libertà.
Ma la responsabilità di tutto ciò, come sottolinea Peter Gomez, non è da additare solamente all’establishment. Bensì, anche ai giornalisti.
Ci sono giornalisti che hanno fatto fortuna con gli scoop di Julian Assange, hanno guadagnato un sacco di soldi. Ma ora, invece di difenderlo, stanno zitti
Oggi, il fondatore di WikiLeaks si trova nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh, ma gli USA ne chiedono l’estradizione. Qui, il giornalista rischia una condanna a 175 anni di carcere per la pubblicazione dei file su Guantanamo, Iraq e Afghanistan.
Ad oggi, le autorità non hanno ancora preso una decisione.
Ma Peter Gomez nutre ancora una speranza.
Ho ancora la speranza che, se Assange dovesse essere estradato, la Corte Suprema si ricordi della sentenza di Daniel Ellsberg (ex marine e analista d’intelligence che, nel 1971, pubblicò i Pentagon Papers, ndr.). In quella sentenza, del giudice Hugo Black, si legge: “La stampa deve servire i governati, non i governanti”.
Ed è qui che si vede davvero la democrazia
Sistemi criminali dietro l’informazione: le minacce italiane
In Italia, la maggior parte degli editori sono anche imprenditori. Questi possiedono giornali non per amore dell’informazione, ma per utilizzarli come mezzo d’ingresso nella politica. In questo modo, i giornali perdono la loro funzione principale di watchdog dell’autorità, seguendo gli interessi particolari dell’editore.
Una delle grandi minacce, in Italia, è rappresentata dalle querele temerarie.
Come spiega Gomez, si tratta principalmente di questioni riguardanti la diffamazione.
La legge sulla pubblicazione degli atti processuali, tuttavia, appare poco chiara e “bizantina“.
Secondo l’art. 114 della procedura penale, un giornalista può riportare passi di atti giudiziari solo una volta concluse le indagini preliminari, con la caduta del segreto istruttorio. Infine, questi non possono essere riportati integralmente, ma soltanto in forma di riassunto.
Una legge che, secondo il direttore, serve a proteggere l’immagine dei personaggi politici, e non il pubblico.
Dicono di farlo per noi, ma in realtà lo fanno per loro
Questo, tiene a precisare, non significa però che i giornalisti debbano avere la libertà di lucrare sulla diffamazione, che deve rimanere un reato.
Il reato spinge il giornalista a impegnarsi per far sì che non ci sia diffamazione.
Ma bisogna distinguere tra una diffamazione avvenuta per negligenza e in buona fede, e una fatta apposta. In questo caso, la pena per detenzione è corretta
Infine, il giornalista si è interrogato sul caso della chiusura di Non è l’Arena, programma condotto dal giornalista Massimo Giletti e arrivato alla sua sesta edizione su La7.
La sospensione è arrivata all’improvviso, a sole nove puntate dalla fine della stagione, senza alcuna spiegazione ufficiale.
Inoltre, prosegue Gomez, Giletti stava preparando una puntata dedicata a Marcello Dell’Utri.
Marcello Dell’Utri in Italia, rispetto all’informazione televisiva, è una sorta di tabù. Quando si parla di Dell’Utri, mafia e Berlusconi le trasmissioni televisive saltano o chiudono
Il giornalismo del futuro: cosa ci attende?
In tutto il mondo, la crisi della carta stampata rende difficile il lavoro dei giornalisti.
Come testimoniano la chiusura di BuzzFeed e Vice, che per primi hanno traghettato l’informazione dal cartaceo al digitale, l’informazione richiede nuove piattaforme e nuove modalità di distribuzione. Ma nel panorama odierno, fatto di sviluppi tecnologici più veloci di noi, crisi internazionali e trasformazioni sociali, il futuro del giornalismo è ancora da scoprire.
Secondo Chiara Piotto, inviata di SkyTg24 in Francia, discussioni come quella tenuta da Stefania Maurizi e Peter Gomez sono molto utili per stimolare i cittadini ad agire e ad alzare la voce contro i sistemi criminali dietro l’informazione.
La speranza è che l’informazione trovi la sua nuova forma, e che la sempre maggiore consapevolezza del pubblico possa darle libertà e indipendenza.