A Milano un’operazione antimafia dei carabinieri ha portato alla scoperta di un presunto “sistema mafioso lombardo” composto da vari clan siciliani, calabresi e campani riuniti in un’unica enorme associazione. Solo 11 però sono gli arrestati su oltre 150 richieste, in quanto il gip di Milano ha respinto le accuse di associazione a stampo mafioso. Sequestrati beni per oltre 200 milioni di euro e centinaia di perquisizioni in corso.
Non esiste nessun sistema mafioso lombardo, almeno secondo il gip
Questo è infatti quanto dichiara Tommaso Perna, giudice per le indagini preliminari (gip) di Milano, dopo aver esaminato i fascicoli dell’indagine condotta dai carabinieri di Milano e Varese insieme alla Direzione distrettuale antimafia (Dda). L’inchiesta, che è durata oltre 3 anni, aveva lo scopo di provare l’esistenza di un sodalizio mafioso tra Cosa Nostra, ‘ndrangheta e camorra, nella gestione degli affari in Lombardia. Un vero e proprio sistema mafioso lombardo che coinvolgerebbe diversi clan legati da un “patto”, nel quale sarebbero coinvolti anche alcuni fedelissimi di Matteo Messina Denaro . L’indagine però è stata però bocciata dal gip di Milano, che ha sì disposto il sequestro di beni per oltre 200 milioni di euro e centinaia di perquisizioni, ma ha accolto la richiesta di arresto di soli 11 individui sulle 153 proposte. Inoltre nessuno degli undici è stato arrestato per il reato di associazione mafiosa, ma per altri crimini tra i quali traffico e spaccio di droga, evasione fiscale, minaccia aggravata ed estorsione. Il gip parla di grave carenza di indizi e di elementi «eccessivamente scarni riguardo al sodalizio», quindi non si può dimostrare l’esistenza di questo sistema mafioso lombardo.
Le parole e le disposizioni del giudice Perna sembrano però essere in contraddizione con quelle del procuratore Milano Marcello Viola, il quale l’agosto scorso aveva dichiarato che le recenti inchieste avevano evidenziato “accordi stabili e duraturi tra ‘ndrangheta, criminalità siciliana e quella di stampo camorristico“. Inoltre le intercettazioni effettuate nel corso dell’indagine sostengono la tesi dell’esistenza di un sodalizio mafioso. In una conversazione tra due individui vicini al clan campano-romani dei Senese, Emanuele Gregorini e Gioacchino Amico, questi lo dicono chiaramente: “Abbiamo costruito un impero e ci siamo fatti autorizzare tutto da Milano, passando dalla Calabria da Napoli ovunque”. Sembra chiaro a tutti quindi, tranne che al gip, come all’ombra del Duomo esista effettivamente un’associazione mafiosa guidata da esponenti dei clan siculi, campani e calabresi, che gestisce gli affari e guadagna milioni di euro.
I nomi e gli affari del sistema mafioso lombardo
Come già detto in precedenza nell’associazione criminale sono presenti anche alcuni fedelissimi dell’ex boss Matteo Messina Denaro, quali Antonio Messina ed Errante Parrino, entrambi di Castelvetrano e il secondo parente del defunto boss. Ci sono poi esponenti delle cosche di Gela, di Catania, della famiglia romana dei Senese e della trapanese dei Pace; inoltre spicca il nome di Stefano Fidanzati, reggente dalla potente famiglia palermitana. Insomma un sistema composto da tanti clan diversi che già possono contare su un proprio giro di influenza e di affari abbastanza ampio, ma che si sono riuniti per arrivare praticamente ovunque in Lombardia.
I clan riuniti hanno mani in pasta dappertutto e i sequestri per oltre 200 milioni di euro ne sono la dimostrazione. Società petrolifere, investimenti nelle RSA, nei parcheggi degli ospedali, appalti nelle carceri, rapporti con parlamentari, sindaci e personaggi pubblici. Un giro d’affari enorme e ben documentato, supportato da prove, indagini e registrazioni, eppure per il gip Tommaso Perna non ci sono prove per dimostrare l’esistenza di un patto tra le varie famiglie mafiose; secondo quanto si legge nell’ordinanza manca infatti la “la forza d’intimidazione tipica dell’associazione mafiosa“. Non sarebbe oltretutto cosa nuova vedere un sodalizio di questo tipo a Milano: già negli anni ’90 infatti si parlava di un “consorzio mafioso” nato nella città meneghina.
La Dda davanti alla decisione del gip ha deciso di fare ricorso al Riesame per le 140 richieste di arresto rigettate, ma la decisione del giudice rimane difficile da capire. Davanti ad un’indagine così fortemente voluta e ben eseguita non ci si aspettava di certo un rigetto quasi totale delle accuse proposte.
Marco Andreoli