Nei libri ci sono tutte le risposte alle domande che ci poniamo, sono una riserva inesauribile di spunti e soluzioni. Questa riflessione l’ho maturata al di fuori del contesto scolastico e tuttora mi sorprendo ogni volta delle “tante vite che si possono vivere” leggendo. E in prima persona mi capita innumerevoli volte di essere “chiamata” da un libro o una frase.
Non solo la fase della prima lettura, ma anche la rilettura di testi o brani significativi, ricopre una fondamentale importanza. Tutto dipende dallo stato d’animo del momento che spesso pregiudica particolari che possono sfuggire. Inversamente, mi è capitato scorgendo questa frase casualmente che ha rapito ogni mio senso: “non bisogna estinguer la passione colla ragione, ma convertir la ragione in passione” (G. Leopardi).
Il suo Trattato delle Passioni, raccolto nello Zibaldone, è un testo che illumina sul contingente reale, in particolare le parole che mi han “chiamato” e che han risuonato dentro di me sono state: “l’uomo è più facile e proclive a temere che a sperare”. E dopo ciò “caddi come corpo morto cade”.
Questo monito della maggiore propensione umana alla paura risuona come gli ottoni in una sinfonia di Berlioz e desta l’inquietudine che giace latente dentro di ognuno di noi. Il binomio Speranza-Timore predomina nell’animo umano e le due passioni, intese come sentimenti, contrastanti si pongono specularmente una di fronte all’altra. E il timore insorge nascendo proprio in seno alla speranza, quanto più intensa sarà la nostra aspettativa tanto maggiore sarà la paura e la “timidità” nell’immaginare la realizzazione dell’evento auspicato. L’interrelazione che lega indissolubilmente i due moti dell’animo rende impossibile la libertà nell’uomo, che sarà sempre subordinato a entrambi i temperamenti.
Si crede più facilmente in ciò che si teme, non ciò che si desidera e in cui si spera”.
Ciò che regola gli impulsi e l’agire nell’uomo, sia primitivo che evoluto, è la tensione che lo porta a sentire e lo rende schiavo. Solo la disperazione comporta l’“anomia emotiva”, una indifferenza, un nichilismo che rende l’individuo asettico e immune al timore e alla speranza. Stigmatizzato in un “non essere” e in un “non vivere”, non temendo nulla si chiude in un involucro privo di passioni nell’illusoria idea di difendersi dal reale.
La timidità spetta per così dire ai mali dell’animo, il coraggio a quelli del corpo. L’una teme de’ danni e pene interne, l’altro brava i danni e le sofferenze esteriori.
Leopardi sottolinea il perenne dialogo interno-esterno che governa l’apparato emotivo umano. Le sonorità più intime che risuonano nel punto più profondo dell’essere; e l’inevitabile “terrestrità” dell’individuo. Un’alternanza, una coordinazione e una propensione in questi temperamenti.
Mai “temere di temere”, solo così si porta in seno la speranza.
Costanza Marana