Siriani in Turchia tra realtà e illusione

La Nuova Thule

Rifugiati in Turchia. Essere un siriano nella terra ruvida del dittatore Erdogan non è mai stato così disumano.

Attualmente si contano all’incirca 3,7 milioni di siriani in Turchia. Scappati dalla guerra feroce, vivono in terra turca tra povertà, discriminazione e sfruttamento.

Quando tutto è iniziato

Ci troviamo in Siria, è il 15 marzo 2011, quando inizia una vera e propria guerra civile. Il governo di Assad spara sulla folla, dopo svariate manifestazioni e proteste da parte dei cittadini contro la sua dittatura.

La Siria è divisa: da una parte l’esercito di Assad e dall’altra l’esercito dei ribelli. Nel mezzo migliaia di morti civili innocenti. Inizia una vera e propria guerra ornamentata di morti, fame e repressione.

Da quel momento molti civili siriani lasciano il paese.
Si contano 5,6 milioni di cittadini siriani fuggiti in Libano, Giordania e Turchia, dove si conta il maggior numero di rifugiati.

Perché proprio in Turchia?

Semplice, la Turchia tra i paesi confinanti era ed è tuttora la più economica per i portafogli siriani, motivo per cui la maggior parte dei rifugiati ha scelto questa meta. Una meta che cela molti segreti e contraddizioni.

Accordo Erdogan ed UE





Le carte in tavola vengono scombinate però dall’Unione Europa.
Nel 2015 nasce l’accordo tra Erdogan e EU:
Se la Turchia avesse trattenuto il flusso migratorio nei suoi confini impedendo l’entrata in europea, l’EU avrebbe coperto i costi per mantenimento e assistenza dei rifugiati. E così è stato. Due poteri, due convenienze e un popolo nel mezzo a rimessa. Questa la situazione dei siriani in Turchia.

Aiuti dall’EU

Ma in cosa consiste esattamente questo aiuto/accordo con l’Europa?

Lavoro a nero

Dove non arrivano gli aiuti politici e umanitari arriva il lavoro a nero.

Tema delicato, visto che i rifugiati non essendo cittadini turchi non hanno la possibilità di lavorare legalmente nel paese straniero. Ma la sopravvivenza è più importante. È iniziato quindi, fin da subito, il problema del lavoro a nero.
Un lavoro comune tra i rifugiati siriani in Turchia è la raccolta e vendita di materiale riciclato, come ad esempio la plastica. È quindi, comune vederli con voluminose carriole in giro per le grandi città in cerca di materiale plastico che servirà loro per vivere un giorno in più.

Discriminazione turca

Con il passare degli anni la situazione dei rifugiati è sfuggita di mano. Poche sono state le famiglie seguite e aiutate realmente. La conseguenza è stata la nascita di numerose baraccopoli abitate da intere famiglie siriane e l’origine di un abbondante discriminazione da parte dei cittadini turchi. Lo stesso partito di Erdogan, a oggi, desidera solo il loro rimpatrio. Ma non solo il partito del dittatore, insieme al suo sono nati ulteriori partiti d’odio con gli slogan più disparati:

”Il ragazzo siriano violenta la tua ragazza”
”I siriani sono dei codardi”
”Hanno la guerra nel paese e vengono qui in Turchia a divertirsi”
”Ci rubano il lavoro”
”I soldi del governo sono le nostre tasse”
”Perché non combattono loro nel loro paese?”

Frasi impostate, parole già risentite e ripetute. Una storia che si ripete. Questa è l’accoglienza dei siriani in Turchia.

Reportage Turchia

Siriani in Turchia tra realtà e illusione
La Nuova Thule

Siriani in Turchia: Gaziantep e Ankara, le due città che più di tutte sono riuscite ad accogliere intere famiglie scappate dalla guerra.

Ho vissuto due mesi nel vivo di Ankara, capitale del paese arabo, nel vivo di una missione umanitaria. Nel traffico metropolitano dell’immensa città nascono i quartieri siriani. Quartieri spogliati di cemento, negozi e dignità. Case con due o tre famiglie. Povertà riprovevole.

Pochi aiuti umanitari che permettono loro un po’ di cibo ed educazione per i minori. Ma esistono piccole o grandi realtà che donano nobiltà a questo popolo. Tramite associazioni locali siamo riusciti a portare cibo, attività e aiuti educativi per i più piccoli: Molti non vanno a scuola, quest’ultima ha un costo che generalmente queste famiglie non possono permettersi.

Giochiamo con i figli, insegniamo colori, alfabeto in inglese che è l’unica lingua in comune, ascoltiamo e accogliamo le sofferenze delle madri. I padri non parlano molto. Fumano e ci guardano distanti. La maggior parte di loro arrivati in quel di Ankara poco più che ventenni. Prima gli uomini e dopo le donne con i figli.

Vorremmo tornare in Siria ma non possiamo

Accoglienza zero, aiuti effimeri. E tanta voglia di rientrare nel loro paese. Ma questo è solo un sogno, qualcosa che non si può avverare. Questa la vita dei siriani in Turchia.

Il destino scritto da qualcun altro. Un destino difficile da cambiare, stravolgere.


Un paese sotto pieno regime dittatoriale traboccante di crisi economica e con un tasso d’inflazione alle stelle. Può davvero la Turchia poter accogliere adeguatamente questo gran numero di rifugiati? E soprattutto, come può l’Europa non aver ancora sospeso l’accordo con Erdogan vista l’aberrante e inumana situazione?

 

 

Silvia De Lucia

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