L’ intervento militare in Siria
Arriva nella notte la notizia dell’ intervento militare Usa in seguito all’attacco chimico di martedì, un intervento che impone la linea rossa attraverso il lancio di 59 missili e avverte Damasco a misurare le sue azioni. Un intervento militare che impone dei limiti e, bando a qualsiasi opinione di merito, dice chiaramente al regime che in guerra non tutto è concesso, né è possibile ignorare le pronunce dell’Onu. Non più.
Premettiamo prima di un ragionamento sulla natura e limiti dell’ intervento militare, un’analisi dell’attacco stesso, che in un momento come questo, non può essere ignorata, ma che, cosa ben più importante, si deve svestire delle considerazioni puramente personali e soprattutto di tutto ciò che non prescinde dall’analisi teorica degli elementi con attinenza geopolitica e legata alle dinamiche dell’intervento democratico.
L’analisi dell’intervento
Come scrive Stefano M. Torelli, analista, professore e ricercatore presso l’ISPI, specializzato negli Studi Medio – orientali, Politica islamica e Relazioni Internazionali, la mossa statunitense poggia su “l’imprevedibilità di Trump e potrebbe portare con sé molte conseguenze, a seconda delle reazioni che tale attacco provocherà e della continuità o meno che Washington darà ai bombardamenti.”
Analizziamone alcuni aspetti dell’intervento.
- Si palesa la posizione statunitense di ripresa di quel ruolo centrale a paladino dell’ordine internazionale, contro chiunque mini allo stesso, e tal proposito basti pensare anche al monito mandato nei giorni scorsi alla Corea del Nord. Trump palesa di non avere alcun problema a condurre un intervento militare. Si tratta comunque di una posizione differente rispetto a quella tenuta da Bush. Trump, nella sua imprevedibilità, ha sferrato un “attacco intelligente”, “molto lontano dai bombardamenti indiscriminati in Iraq e Afghanistan, o di quelli compiuti con i droni, anche sotto l’era Obama, in Pakistan, Yemen e Somalia, che hanno causato centinaia di vittime civili. Si tratta di un’azione molto più simile ai bombardamenti di rappresaglia di Bill Clinton dopo gli attacchi alle ambasciate statunitensi in Tanzania e Kenya nel 1998.”
- Sono stati informati dell’attacco Russia e Regno Unito, alleato storico di Washington, ma non Bruxelles, il che sottolinea la differenza con Obama, il presidente degli States più europeista che si sia insediato negli ultimi anni.
Aggiornamento: L’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza e vicepresidente della Commissione europea Federica Mogherini ha dichiarato di essere stata informata dell’attacco.
- Il rapporto compromettente con la Turchia, che fa parte della NATO e di fatto spinge ad un’escalation militare. La tigre del Bosforo, per ragioni anche di carattere storico, che partono dal desiderio di ampliamento della Russia in quella direzione, nutre un fisiologico risentimento nei confronti dello stato di Putin, che mostra negli ultimi anni i suoi segnali di tensione nell’abbattimento del jet russo da parte della Turchia nel 2015, ma che vedono ulteriori segnali, anche in quella “vendetta per Aleppo” con l’uccisione dell’ambasciatore russo nel dicembre scorso ad Ankara.
- Vi è poi l’ambiguità dei rapporti con l’Arabia Saudita, a cui il Presidente dovrebbe voltare le spalle nel caso di un inasprimento dei rapporti con il regime, per la questione dello Yemen – ove sono sono 5 milioni ibambini affamati per colpa della guerra condotta proprio da Riyadh -, come anche il timore di Israele che un intervento militare più attivo in Siria possa lasciare spazio d’azione all’Iran.
L’ intervento militare democratico
Cosa sia giusto o non sia giusto fare in Siria non è facile argomento di discussione: la fragilità del Medio Oriente e delle sue condizioni politiche impone un limite di fatto alle posizioni di merito sul tema, che poggiano su varie ragioni di ordine storico.
Né l’idealismo di cui siamo tutti in fondo all’animo adepti, talvolta discernere tra la migliore delle decisioni possibili.
Il Presidente Wilson, massimo esponente per certi versi dell’idealismo all’interno della disciplina delle relazioni internazionali, al domani della Prima Guerra Mondiale, durante la Conferenza di Pace, portò avanti l’obbligo del rispetto dei suoi 14 punti, un manifesto di libertà, diritto e rispetto. Rispetto del principio dell’autodeterminazione dei popoli in primo luogo.
In nome di questo principio, fu garantito il margine d’azione alla Germania di Hitler a che iniziasse una guerra di proporzioni ben più grandi della Prima, e che si concluse con l’utilizzo, in extremis, di bombe nucleari.
In questi termini, l’organizzazione precedente all’ONU, la Società delle Nazioni, si fece artefice di posizioni di condanna mai portate su un piano concreto, d’azione vera e propria: fu l’elemento che ne sancì la distruzione.
Non è la sede di ripercorrere delle vicende storiche ampie e di lunga trattazione, ma il richiamo è dovuto all’accusa storica all’idealismo come motore, suo malgrado, della Seconda Guerra Mondiale.
Di contro il realismo, che potremmo traslare nell’ intervento militare in Libia di deposizione di Gheddafi, ha posto le basi per una situazione instabile e ad oggi di difficile intervento.
La digressione fatta vuole presentare la difficoltà di stabilire quale sia talvolta l’ intervento militare migliore da adoperare. Talvolta si tratta semplicemente, detto con grande cinismo, di quale sia l’intervento che può causare meno danni, in particolare sui civili.
Una considerazione che si riallaccia a quanto successo martedì, ove 80 civili, fra cui la maggior parte bambini, hanno perso la vita.
La verità
Quanto più sorprende, è la drammatica ricerca della verità, che tuttavia si perde tra posizioni di merito filo – russe, che pertanto bollano come fake news qualsivoglia notizia di condanna del regime e della stessa, ignorando tuttavia quella lista di 106 giornalisti uccisi, oltre agli oppositori politici, in Russia, ed una posizione filo – americana che invece bolla come bufale qualunque notizia proveniente dal fronte opposto, seppur talvolta portante semplicemente il vincolo della ragione di stato.
Gli Stati Uniti, dal loro canto, hanno il merito di aver riconosciuto gli attacchi dolosi di cui si sono fatti artefici, pur non dichiarando quel “potere polare” che alcune regioni del Medio Oriente subiscono passivamente. Un potere che tuttavia con la presidenza Obama è venuto meno, dato quel non interventismo che ha segnato la politica democratica degli ultimi 8 anni e all’interno del quale si è inserito alla perfezione un nuovo attore, all’insegna di quel predominio di potenza: la Russia.
Dato inequivocabile a prova di ciò non è la sola situazione in Siria, ma anche il terrore turco: la verità più grande, talvolta, si cela dietro la paura.
Questa ricerca sfacciata del vero talvolta, dovrebbe lasciare spazio al semplice silenzio, non per una semplice questione di eleganza, ma anche per rispetto delle vittime delle guerre.
Scriveva Friedrich Nietzsche nell’incipit di “Al di là del bene e del male”:
“La volontà di verità che ci sedurrà ancora a molti rischi, quel famoso spirito di verità di cui tutti i filosofi fino ad oggi hanno parlato con venerazione: questa volontà di verità, quali mai domande ci ha già proposto! Quali malvagie, bizzarre, problematiche domande! È già una lunga storia – eppure non si direbbe, forse, che essa sia appena ora cominciata? Quale meraviglia se una buona volta, finalmente, diventiamo diffidenti, perdiamo la pazienza, e con impazienza ci rivoltiamo? Che si debba anche da parte nostra imparare da questa sfinge a interrogare? “Chi” è propriamente che ora ci pone domande? “Che cosa” in noi tende propriamente alla ‘verità’? – In realtà, abbiamo sostato a lungo dinanzi al problema della causa di questo volere – finché abbiamo finito per arrestarci completamente dinanzi a un problema ancor più profondo. Ci siamo posti la questione del “valore” di questa volontà. Posto pure che noi vogliamo la verità: “Perché non, piuttosto”, la non verità? E l’incertezza? E perfino l’ignoranza? – Il problema del valore della verità ci si è fatto innanzi – oppure siamo stati noi a farci innanzi a questo problema? Chi di noi è in questo caso Edipo? Chi la Sfinge? Pare che si siano dati convegno interrogazioni e punti interrogativi. – E si potrebbe mai credere all’impressione, nata, in definitiva, in noi, che il problema non sia stato finora mai posto – che siamo stati noi per primi ad averlo intravisto, preso di mira, “osato”? Giacché esso comporta un rischio e forse non esiste rischio più grande.”
Tra appeacement e delirio di potenza
Tra il 1453 e il 1821 – anno dell’inizio della Guerra d’Indipendenza – la Grecia fu in mano ottomana, l’erede geopolitico dell’Impero Persiano che sempre aveva tentato un ampliamento verso la regione e di cui ci giunge notizia grazie alle grandi opere greche.
In quella fase la lotta per l’indipendenza, per la libertà greca, mosse molti intellettuali filoellenici in Europa, per quanto il sultano ottomano venisse trattato dalle potenze europee all’insegna della realpolitik, quella realpolitik ostentata oggi dal “decidano i siriani se Assad è un dittatore”, che allora sostanzialmente rappresentava la noncuranza per il destino della Patria della Cultura. L’importante era star bene a casa propria.
Quando tuttavia l’Impero Austro – Ungarico, in ragione della sua vicinanza geografica, cominciò a sentirsi intimorito dall’Impero Ottomano, mentre la Francia del Re Sole ne difendeva la ragion d’etre, alias il suo dominio, la situazione cominciò a decollare.
Il panorama era variegato d’interessi nazionali, non di paladini della libertà e in nome di quei “buoni rapporti”, la libertà dei greci era sacrificabile.
Passarono 5 secoli perché i greci potessero conoscere la libertà, raggiunta solo grazie a se stessi, nel momento in cui l’Impero era stato maggiormente indebolito. Né l’appeacement né il delirio di potenza li salvarono.
Ilaria Piromalli
Fonte immagine: http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/04/06/strage-siria-trump-valuta-lintervento-militare-contro-assad-pentagono-presenta-le-opzioni-dazione-alla-casa-bianca/3503095/