Siproite: quando l’ira degli Dei fa dell’uomo una donna

Siproite, l'eroe che Artemide trasformò in donna

Del suo mito è sopravvissuto poco o nulla, eppure l’eroe cretese Siproite riesce a incuriosire il lettore moderno per la sua bizzarra vicenda. Incappato nella dea Artemide nuda nei boschi, venne punito con la massima onta per un uomo greco: l’essere tramutato in donna.

Di Siproite, lo ammetto, non avevo mai sentito parlare finché non mi sono confrontata col tema della temibile ira di Artemide. L’ho poi riscoperto per caso in una divertente reinterpretazione di Olimpo: Gioie e Disagi realizzata durante il pride month. Ma chi era costui, che aveva fatto di male per attirare su di sé la collera della dea cacciatrice e come era stato punito?




Siproite: una figura perduta per sempre

Di Siproite si sa poco, pochissimo. Pare che fosse un giovane eroe cretese, ma non è dato sapere quali imprese abbia compiuto, né in quale epoca. Di lui non resta traccia che in un accenno di un autore altrettanto oscuro, Antonino Liberale, vissuto tra il I e il II secolo d. C. Tratto da un testo intitolato, come quello di Ovidio, Metamorfosi, il passaggio che riguarda Siproite dice soltanto:

Il cretese Siproite venne trasformato in donna per aver visto il corpo nudo di Artemide che si bagnava in uno stagno mentre era a caccia.
(Antonino Liberale, Metamorfosi, XVII)

La figura di questo oscuro personaggio, così, sembrerebbe richiamare irresistibilmente quella di un altro uomo che aveva visto ciò che non avrebbe dovuto. Cioè il principe tebano Atteone, che una Artemide inferocita per essere stata scoperta nella sua nudità aveva tramutato in cervo. Facendolo poi divorare, per buona misura, dagli stessi stessi amatissimi cani da caccia con i quali il principe si era avventurato nei boschi. Tuttavia, Siproite potrebbe avere più significative similitudini con altre due figure mitologiche: Ceneo il Lapita e l’indovino Tiresia.

Il guerriero e l’indovino

La transessualità, come si può intuire, nel mondo antico era sempre un fenomeno soprannaturale, impossibile senza il volere degli Dei.

Ciò è vero per Ceneo, nato Cenide. La fanciulla, forte e fiera, bramava la libertà e il potere che, nella Grecia arcaica, soltanto un uomo poteva avere. Bellissima oltre che straordinariamente intelligente, Cenide si era guadagnata le attenzioni del dio Poseidone. Ed era arrivata a soggiogarlo a tal punto che il dio del mare si era impegnato a darle tutto ciò che lei avesse chiesto, qualsiasi cosa. Una promessa impegnativa, pericolosa. E Cenide non aveva esitato: aveva chiesto di essere mutata in un uomo e di essere resa invulnerabile. Divenendo così il temibile guerriero lapita Ceneo. Un uomo che, accecato dal proprio potere e dalla propria forza, aveva attirato su di sé le ire di Zeus. Eppure, anche al re degli Dei in persona Cenide/Ceneo aveva dato del filo da torcere prima di soccombere.

Ciò è vero per Tiresia, che aveva visto nuda la dea Atena e per questo era stato accecato. Ricevendo però come compenso dietro intercessione della madre, che era una ninfa, il dono della profezia. Forse in questa occasione o forse in un altro momento, Tiresia aveva separato in un boschetto sacro due serpenti che si stavano accoppiando. Per questo gesto sacrilego il giovane uomo era stato tramutato in donna, restando tale per sette anni. Durante questo periodo, Tiresia aveva sperimentato ogni possibilità dell’esperienza femminile. E proprio in luce di ciò era stato reso giudice in una disputa tra Zeus ed Era su chi tra uomini e donne traesse maggior piacere dalla sessualità. Dichiarando che senza dubbio il godimento maggiore tocca alla donna. Eppure, dopo sette anni l’indovino aveva fatto ritorno al boschetto e, separando di nuovo i serpenti, era tornato uomo.

Il mistero di una punizione difficile da decifrare

Il patrimonio mitologico greco pullula di punizioni spaventose e degradanti. Gli Dei che gli umani abbiano fatto infuriare non si limitano a dare la morte ai colpevoli. Anche quando questa arriva, infatti, lo fa soltanto dopo atroci tormenti, fisici o psicologici. Si pensi al dolore di una Niobe, che vide morire i propri figli per mano di Apollo e Artemide dopo essersi dichiarata superiore alla loro madre Leto perché più prolifica. Un dolore così estremo da farla diventare una statua di pietra ancora in grado di versare lacrime. O all’orrore di una Aracne, mutata da Atena in un mostro tessitore a otto zampe per essersi vantata di essere migliore della dea al telaio. O al terrore di Atteone mutato in cervo, ormai incapace di controllare i cani che gli erano stati fidi compagni nella caccia.

In tutti questi casi, così come in molti altri, il perdere la propria forma umana è parte integrante della punizione, forse la parte più atroce. Bisogna pensare che sia così anche nel caso di Siproite? Di certo, per il modo di pensare dei Greci, per un uomo essere mutato in donna doveva costituire comunque una forma di degradazione. Come per Cenide diventare uomo costituiva un premio, per Siproite doveva costituire il passaggio a uno status inferiore. Eppure, come si evince dal mito di Tiresia, non si trattava di una degradazione pura e semplice. Diventare donna per un uomo costituiva anche un’occasione di straordinaria conoscenza. Al punto di poter diventare addirittura l’arbitro di una disputa tra gli Dei: qualcuno che ne sapeva addirittura più degli Olimpi.

Purtroppo non c’è modo di recuperare questo mito. Quel che è certo, però, è che se potessimo farlo probabilmente riserverebbe qualche sorpresa su come gli antichi concepissero le differenze di genere e i rapporti tra i sessi.

Valeria Meazza

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