La sinopia dell’affresco di Abramo e Lot
Nella mostra “Gribouillage/Scarabocchio”, appena conclusasi a Villa Medici a Roma, era esposta un’opera in particolare che può rimandare, anche solo per sovrapposizione di immagini mentali, a ricerche successive. Una parete della prima sala era occupata dalla sinopia dell’affresco di Abramo e Lot in Egitto; si tratta di uno dei lavori dell’artista rinascimentale Benozzo Gozzoli all’interno della sua commissione per il Camposanto di Pisa.
Qualche parola sulla sinopia
La sinopia è la definizione utilizzata per indicare il disegno preparatorio di un affresco, appartenente a uno strato sottostante l’intonaco dipinto; quest’ultimo è l’opera che siamo abituati a vedere come risultato finale ed esclusivo del lavoro pittorico su muro. Il suo nome deriva dall’omonimo colore rosso che già gli antichi utilizzavano e che chiamavano così per la sua provenienza dalla città di Sinope. Il timbro e la forza di questo colore ne permisero l’utilizzo convenzionale nel disegno base degli affreschi, come nel caso in questione di Gozzoli, poiché la sovrapposizione di intonaco nei passaggi successivi non ne comprometteva la visione all’autore che poteva usarlo come guida.
La creatività di una bottega
Gli odierni lavori di restauro, quando necessari, permettono di far venire alla luce, ed esporre all’occasione, la sinopia; ciò che c’è dietro, ciò che è sotto e antecedente alla raffigurazione affrescata. L’interesse nel lavoro di Gozzoli, che ha portato alla sua considerazione per la mostra, è stato causato dalla scoperta nel disegno preparatorio di personaggi estranei al tema rappresentato. Ad essere svelato, infatti, è stato tutto un immaginario dell’autore e della sua bottega, espresso in schizzi, esercizi disegnativi, al limite dei semplici passatempo; una serie di motivi che esulavano dalla concordanza funzionale con le figure finali.
Rotella e i suoi retro d’affiches
Sulla base di questa materia non inerte, portatrice di tracce del lavoro degli artisti retrostante a ciò che era e ancora oggi nella maggior parte dei casi è visto, mi è venuto in mente Mimmo Rotella. L’artista calabrese tra il 1953 e il 1954 iniziò a produrre i suoi decollagés e retro d’affiches. Prendeva, strappava – teniamo a mente che lo strappo è proprio la tecnica che i restauratori utilizzano per portare via dalla parete l’affresco nel suo solo strato più superficiale lasciando in loco la sinopia – manifesti dalle strade di Roma; mostrandoli per il loro recto creava un decollage, girandoli per il verso si aveva un retro d’affiche. Quest’ultimo, in particolare, portava su di sé resti di intonaco, muffe, colle; ciò che permetteva al manifesto di rimanere affisso, insieme a parti della stessa superficie d’affissione. Il retro raramente vedeva un secondo intervento da parte dell’artista, a differenza dei decollages; il primo era esposto nella maggior parte dei casi così come era, nella sua tessitura stratificata, fatta di materia variegata e pulsante, di casualità e incrostazioni.
La distinzione degli strati
Rotella e i restauratori hanno entrambi operato, quindi una distinzione nell’opera, nell’oggetto, dei suoi diversi strati; in tutti e due i casi con la loro azione di presa diretta, di strappo di ciò che era sul muro. Per citare Antonella Soldaini, nel caos magmatico dei retro d’affiches riecheggia la realtà da cui sono stati prelevati; la vita urbana in cui Rotella si cala e di cui preleva una testimonianza. Allora è proprio qui che avviene l’incontro con un’altra testimonianza come la sinopia di Benozzo Gozzoli. In quest’ultima la materia è stata caricata dell’immaginario dell’intera bottega al lavoro; ha portato con sé fino ad oggi un altro magma, quello creativo di un intero gruppo di artisti che, senza la necessità di intervento dei conservatori contemporanei, sarebbe rimasto velato sotto la compiutezza dell’opera portata a termine nella sua commissione.
Giacomo Tiscione