Singh Rupinder è l’ennesimo bracciante che muore per le condizioni di sfruttamento nei campi

Singh Rupinder falsi braccianti

Tragedia e sfruttamento nel settore agricolo: la morte di Singh Rupinder, avvenuta il 26 luglio, mette in luce la precaria condizione dei braccianti nei campi italiani. Una storia di fatica e mancanza di tutele, che solleva l’urgenza di affrontare seriamente il problema dello sfruttamento nel lavoro agricolo.

Sono passati pochi giorni dalla morte di Naceur Messauod, il bracciante 57enne che ha perso la vita mentre raccoglieva cocomeri per 1 euro l’ora a Montalto di Castro, venerdì 21 luglio. Eppure, la sua tragica storia non è la prima e di sicuro non sarà l’ultima: testimonianze di sfruttamento, di lavori sottopagati e in condizioni non dignitose, di impiego senza tutele che soprattutto in queste settimane di caldo asfissiante rischiano troppo spesso di rivelarsi fatali.

Mercoledì scorso è morto Singh Rupinder, un altro bracciante 55enne impiegato nel lavoro di raccolta nei campi, di melanzane per l’esattezza. La sua storia viene riportata da Repubblica. Il malore dopo una giornata nei campi, era la sera del 2 luglio 2023 quando Singh Rupinder si è sentito male. Era rientrato nella sua abitazione a Bella Farnia – comprensorio in provincia di Latina, di fatto auto-organizzato, che è passato da uno stato di abbandono a case per migranti, soprattutto per quelli impiegati nei terreni del Pontino – dopo 9 ore trascorse in un campo , con la schiena piegata e le temperature roventi, a raccogliere le melanzane. Rupinder ha accusato un malore una volta rientrato in casa dopo il lavoro massacrante. Gli altri uomini che vivevano con lui hanno chiamato i soccorsi: è stato ricoverato in neurologia e sottoposto a un intervento, ma il 55enne non ce l’ha fatta e, dopo alcuni giorni di rianimazione, è morto mercoledì 26 luglio. Rupinder non ha parenti in Italia, il suo corpo verrà probabilmente rimpatriato ma ancora non si sa chi se ne farà carico.

Tecnicamente Rupinder ha accusato il malore a casa, non nei campi. Non si può formalmente dire che sia morto sul posto di lavoro, ma per tutti gli altri braccianti suoi colleghi e per i sindacati che si occupano della questione, è innegabile che sia deceduto a causa della fatica e del caldo, dopo aver passato troppe ore piegato nei campi sotto al sole battente. Nove ore. Il tutto, per 5 euro all’ora. Parte della paga era destinata ai suoi figli e alla famiglia, in attesa di un futuro ricongiungimento in Italia.

Secondo quanto riportato da Repubblica, Laura Hardeep Kaur, segretaria della Flai Cgil Frosinone-Latina, ha riferito che in estate i numeri di accesso al pronto soccorso dell’Ospedale di Latina segnalano importanti picchi:

“Vengono dichiarati ‘incidenti in casa’, ma sono malanni di braccianti nei campi. Per proteggere il titolare dell’azienda e quindi il proprio lavoro vengono fornite false dichiarazioni”.

È inaccettabile che in un Paese civilizzato, persone come Singh Rupinder debbano sacrificare la propria vita per guadagnare un misero stipendio e sostenere le proprie famiglie. È necessario agire con decisione per garantire condizioni di lavoro dignitose e tutelate per tutti i braccianti, indipendentemente dalla loro origine o condizione sociale. Il sistema che permette lo sfruttamento dei braccianti nei campi deve essere fermamente contrastato, e ciò richiede l’impegno delle istituzioni, dei sindacati e della società civile.

La memoria di Singh Rupinder e di tutti coloro che hanno perso la vita a causa dello sfruttamento nei campi ci spinge a lottare per un cambiamento reale e duraturo.

 

Andrea Umbrello

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