Da tempo la forza dei sindaci fa paura a chi ci ha trascinati nella miseria e c’è solo un modo per indebolirli: trasformarli in bersaglio della rabbia popolare. Ti taglio le risorse, i problemi marciscono e tu sei responsabile di tutti i mali. Per le strade dissestate, per i disabili maltrattati, per i mezzi pubblici che non ci sono, per tutto ciò che non va – tuonano i giornali dei padroni, aizzando la piazza – per tutto quello che ha combinato il governo dei padroni, ecco i colpevoli: i sindaci.
La forza dei sindaci dipende anche e soprattutto dalla capacità di riflettere di chi li ha votati. Prima di marciare compatti sui palazzi municipali, fermiamoci a pensare e ricordiamo che chi oggi punta il dito, ieri accumulava debiti, scialacquava e vendeva la città a faccendieri e malavitosi. Cambiamo il bersaglio, indirizziamo i colpi sugli amici di Marchionne, sui complici dei padroni, sul PD e sui servi sciocchi dell’UE.
Non abbocchiamo all’amo e ragioniamo. Se a Melendugno, i sindaci sono stati manganellati, una ragione c’è e la gente l’ha capito…
Dove sono i microfoni e i giornalisti, i cronisti d’assalto e le colonne di prima pagina che puntano il dito? Perché per le cariche di Melendugno non si chiedono Commissioni d’inchiesta? Quando si parla di violenza sovversiva per un pugno di giovani, stanchi di subire angherie, ci vorrebbe poi, se non altro, il coraggio della coerenza e bisognerebbe chiedere conto al Governo della scene vergognose che si tenta di ignorare e coprire.
Quali interessi toccano i manifestanti di Melendugno, per costringere Gentiloni, proconsole dell’Europa, non solo a mettere in campo le forze antisommossa in difesa della «Trans Adriatic Pipeline-Tap», ma a passare a vie di fatto contro i noti e pericolosi bolscevichi salentini, travestiti da sindaci con fascia tricolore? Perché si applica alla Puglia il modello di violenza di Stato sperimentato in Val di Susa contro la No Tav? E quanti secoli di galera, grazie all’uso sapiente del Codice fascista di Rocco, si sommeranno assieme alle manganellate sulle spalle di cittadini onesti per insegnare a tutti gli altri che bisogna obbedire, credere e combattere? Se qualcuno non l’ha capito, lo sappia: qui da noi ormai chi si oppone alla continua, inaccettabile espropriazione dei diritti, o impara a star zitto, o rischia percosse e galera. E se si tratta di intere collettività, meglio mettere in conto l’esproprio delle risorse: il PD non ti manda soldi – né romani, né europei – e ti seppellisce sotto il peso di debiti che non hai contratto.
Senza pretendere di improvvisare lezioni di storia, val la pena di ricordare che l’Azerbaigian, il Paese da cui giungerà il gasdotto che mette sottosopra il Salento, è giovane – si è staccato dall’URSS nell’ottobre del 1991 – ma ha un singolare record: nel 1848, a Baku, vi è nato il primo pozzo dell’Europa contemporanea. Chi conosce la storia sa che quando dici petrolio, dici guerra ed è certo perciò che lì, a Baku, in Azerbaigian, ha origine l’infinita sequela di guerre e di tragedie legate al possesso dell’«oro nero». In questo senso, c’è una verità che non si dice: a San Foca non sbarca solo un veleno sul quale tra qualche decennio si porrà la pietra tombale del segreto di Stato. A San Foca sbarcano la guerra e suoi obiettivi, quella guerra nella quale siamo dentro fino al collo nonostante la Costituzione; sbarca un colpo assestato alle energie alternative e sbarca quel modello autoritario di gestione dei beni comuni che l’Unione Europea, garante di interessi inconfessabili, impone all’Europa dei popoli che non rappresenta. Popoli che ormai – anche questo è bene dirlo chiaro – hanno ormai nei Consigli Comunali legalmente eletti il loro autentico Parlamento. Un Parlamento che ha sede nelle piazze. Al momento, la sola, vera casa della democrazia.
Qualcuno si chiederà che c’entra la guerra. C’entra. I più giovani non lo ricorderanno, ma la guerra ci accompagna ormai dal lontano 1991, da quando in Iraq scatenammo i Tornado. E’ la guerra per le risorse energetiche, non solo il petrolio, ma il gas, i cui fronti insanguinati conducono all’immenso macello mediorientale, alla tragedia libica e a quella siriana. Questo sbarca a San Foca. Conflitti di cui gli immigrati sono vittime quanto gli impotenti manifestanti di Melendugno, perché storicamente, nello scontro tra imperialismi contrapposti, ci possono essere dubbi sui vincitori, ma c’è una certezza: perde sempre la gente, perdono i lavoratori, i precari, i disoccupati e perde la democrazia. Si pensò all’Unione Europea per evitarle le guerre e battere i fascismi, ma di guerre se ne fanno oggi più di quante non se ne facessero prima di Maastricht. In quanto ai fascismi, con i soldi di Bruxelles si tiene in piedi il nazismo in Ucraina.
Si dirà che l’«oro nero» non c’entra, perché il sensibile spostamento verso le energie rinnovabili sta riducendo il peso relativo del petrolio, ma non è vero. Basta poco per capire che guerra e risorse vanno di pari passo nella storia dell’uomo, sicché c’è sempre uno stretto dei Dardanelli che uno chiude e l’altro forza. In questo senso, il conflitto siriano, cui più di ogni altro è legata la partita su gas e petrolio, non è una «guerra nuova»; dietro ci sono gli idrocarburi sepolti in tre giacimenti al largo delle coste siriane, che, sommati alle risorse presenti in un’ampia rete di giacimenti mediterranei, costituiscono un’opportunità per abbattere la subordinazione dell’Unione Europea al gas russo e aumentare l’indipendenza di Israele in tema di risorse energetiche. Altro che organismo sovranazionale che impedisce la guerra. A San Foca sbarca una Unione per la guerra, che va in rotta di collisione con la Russia, guarda caso, paladina di quella Siria che, nei piani di Putin, dovrebbe essere il ponte tra Russia ed Europa. Due gasdotti alternativi, insomma, sui quali non mette conto fermarsi troppo, se non per dire che noi dovremmo puntare su energie alternative e che, in perfetto stile coloniale, Gentiloni manganella i sindaci e i cittadini che li hanno eletti, per difendere multinazionali e affaristi che hanno le mani sporche di sangue.
Questo è. A questo dovremo piegarci o disobbedire. Se dalle piccole storie locali è possibile, infatti, capire la cosiddetta «grande storia», bene, Bagnoli con il suo commissariamento, i nostri ragazzi manganellati e criminalizzati, il governo cittadino costretto a vivere in apnea nonostante la sana amministrazione, sono, su scala ridotta, la prova dell’abisso morale in cui ci sprofondano il PD e i suoi complici. E’ necessario perciò che Melendugno senta di non essere sola, è necessario che i movimenti e le lotte che percorrono il Paese da un capo all’altro della penisola, si saldino e comincino a far sentire forte e alto il loro no. Non più e non solo, quindi, una «città ribelle», ma tante, tantissime realtà territoriali decise a reagire alla violenza eversiva che viene dall’alto. Abbiamo un’arma sperimentata: la Costituzione, che hanno tentato invano di cancellare. C’è ancora, invece, il colpo non è riuscito. Costituzione in pugno, quindi, diamo battaglia. E’ questa la nostra guerra. L’unica consentita e la sola che vogliamo combattere.