Simboli sono tutti i nomi del bene e del male

Sascha Schneider (San Pietroburgo, 21 settembre 1870 – Swinemünde, 18 agosto 1927), pittore di origini tedesche, nato a Pietroburgo, frequenta le Belle Arti dal 1889 al 1893 e aderisce alla corrente simbolista di Dresda.

La sua arte è peculiare poiché composta da elementi eterogenei, sia di stampo antico, classico, che orientali, esoterici, misteriosi, appartenenti al mondo dell’“Inconoscibile”. Le forze maligne che animano la parte più oscura dell’uomo prendono forma nelle sue opere. L’inafferrabile mondo delle idee è oggetto della sua poetica artistica.

Dapprima esegue lavori principalmente grafici destando la stima dello scrittore Hermann Hesse che rimane sensibilmente colpito tanto da esclamare che “mai era stato catturato in modo tanto forte e improvviso da un’opera d’arte prima di allora”. Decide di affidargli il compito di illustrare le copertine delle sue opere. Stesso incarico gli viene commissionato da un altro scrittore, Karl May, che gli ordina altri lavori di stampo illustrativo per i suoi scritti. Purtroppo il codice espressivo risulta troppo complesso e enigmatico per la pubblica opinione che non riesce a comprendere il significato sotteso e quindi ad apprezzare in pieno le opere di Schneider.

Fonte: Wikimedia commons
Fonte: Wikimedia commons

All’inizio della conflitto mondiale riprende a dipingere su tela, secondo gli stilemi propri del simbolismo. Un capolavoro senza eguali, effigie del suo corpus artistico, è proprio “Giuda Iscariota” (1923); già eseguito nel 1894 su un cartone, poi ripreso in epoca più tarda. Il personaggio biblico di Giuda viene raffigurato secondo l’iconografia classica, come una statua romana, in posa con un piede avanti all’altro, come se camminasse, tenendo la testa bassa, subordinato al giudizio dell’angelo della giustizia alle sue spalle, in posa ieratica con la spada in mano. Giuda, avvolto da catene di rovi rossi, calpesta i trenta denari avvolti in nube di fuoco, e innanzi alla sua strada gli compare la croce. Nei tratti del viso del peccatore si riscontrano i tratti somatici dell’artista.

Questa immagine di un “eroe negativo” è intrisa di tutta la tragicità classica, nel senso di un destino ineluttabile che colpisce il protagonista, di cui lui ha piena consapevolezza e al quale non si può sottrarre. Il Giuda Iscariota di Schneider assurge a simbolo della malvagità del mondo e allo stesso tempo è una metafora della consapevolezza della propria colpa. I due estremi collimano e collidono in un questa interpretazione suggestiva dell’apostolo, in chiave profana, senza lirismo, né misticismo, né intento moralistico, ma è iconizzata la “terrestrità” di un peccatore.

Costanza Marana

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