Che fine ha fatto Silvia? Sta bene? Dove si trova? Cosa sta facendo l’Italia per trovarla? Perché nessuno ne parla più?
Sono tante le domande che martellano ancora la mente di molti, a un mese dal rapimento in Kenya della giovane volontaria italiana Silvia Romano. Ma ancor di più sono i silenzi di chi ha deciso di accantonare questa storia. Sono passati 32 giorni, le indagini non si sono fermate neppure un minuto. Alcuni responsabili sono stati trovati, interrogati, arrestati. Altri, solamente individuati. E’ probabile che con loro ci sia anche Silvia.
Silvia Romano ricordiamo esser stata rapita il 20 novembre, nel villaggio di Chakama, da tre uomini armati e spietati. Hanno picchiato, sparato, ucciso, pur di portarsi via la cooperante milanese per chiedere un riscatto. L’addetto alla sicurezza serale e notturna del luogo, chiamato masai, quel giorno non era andato a lavorare. A pochi chilometri dal villaggio, è stato ritrovato il corpo senza vita di un pescatore. Probabilmente aveva sorpreso i sequestratori con la ragazza.
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Da quel momento, ogni traccia sembrava esser sparita. La polizia, guidata da Noah Mwivanda e affiancata dai servizi segreti italiani, si attivò subito. Il sospetto più grande era che i rapitori potessero aver nascosto Silvia in una grande, buia, impetuosa foresta. La matrice terroristica fu esclusa, in quanto non ci fu alcuna rivendicazione da parte dei gruppi terroristi somali di Al Shabaab. Per sicurezza, la polizia bloccò comunque ogni via d’accesso alla Somalia.
Il quinto giorno dopo il rapimento, la polizia individuò i responsabili del sequestro. Diffuse così tra la popolazione le foto segnaletiche, promettendo laute ricompense in denaro a chiunque avesse fornito informazioni utili per la liberazione di Silvia Romano. In questo modo si trovarono le motociclette usate per scappare e le treccine che la ragazza portava tra i capelli. La svolta più grande arrivò grazie alle intercettazioni telefoniche.
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Silvia era viva. Le trattative potevano essere avviate. Tutti stavano collaborando, ogni kenyota faceva la sua parte. Un’ondata di ottimismo sembrava aver travolto il team Mwivanda. Era il 29 novembre. Si era ormai diffuso l’annuncio di un’imminente liberazione. Questione di attimi, al massimo di ore. Poi più nulla. Qualcosa, nell’operazione, era andato storto. Ma il blitz era servito ad arrestare uno dei tre rapitori e un alto ufficiale del Servizio Parchi del Kenya. I sequestratori, dunque, avevano e hanno il sostegno di funzionari corrotti.
Nel frattempo l’Italia non è restata ferma. Il Ministro degli Affari Esteri Enzo Moavero Milanesi ha ricevuto William Ruto, vicepresidente della Repubblica del Kenya. Il ministro ha confermato “la forte aspettativa italiana al massimo e solerte impegno in vista della sua rapida liberazione, sottolineando quanto l’Italia tenga all’attenta tutela della sua incolumità”.
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Ma una retata fuori controllo ha infastidito i collaboratori locali. La polizia kenyota ha arrestato indistintamente oltre 100 persone, tra cui donne incinte, bambini e anziani. Fonti e testimonianze rivelano la brutalità dell’operazione. Muhuri, ONG che si occupa dei diritti umani, si è detta preoccupata di quanto accaduto, definendolo:
“un atto di punizione collettiva che ricorda l’era coloniale, quando i civili venivano messi in condizioni deplorevoli e sottoposti a sofferenze indicibili. Noi crediamo che l’operazione volta alla liberazione di Silvia avrà successo con l’aiuto dei residenti e non certo con un tale arresto indiscriminato”.
Un anziano del villaggio ha raccontato che il blitz della polizia è avvenuto verso le otto di sera. I residenti sono stati malmenati e arrestati illegalmente. “Non mi fido più delle forze di sicurezza. I nostri bambini sono rimasti traumatizzati“.
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Le ultimissime notizie risalgono a pochi giorni fa. I rapitori sono intrappolati tra due corsi d’acqua, il fiume Tana e un suo affluente, a nord di Garsen, 80 chilometri da Malindi. A bloccarli è stato il maltempo. Ma Silvia è con loro. Silvia è ancora viva. La polizia locale ha immediatamente bloccato ogni tipo di imbarcazione, per raggiungere Silvia e i sequestratori. Ma la scarsa conoscenza del territorio e la poca comunicazione all’interno delle forze dell’ordine stanno rallentando l’operazione.
Speriamo che si riescano ad avere in tempi brevi altri aggiornamenti. I media kenyoti non parlano d’altro, sollecitano la popolazione a non smettere di cercare Silvia Romano o tracce che conducano a lei. L’Italia, invece, sembra essersi dimenticata della vicenda. E chi non lo ha fatto, probabilmente si ricorda di Silvia come quella con smanie di altruismo. Parliamone. Discutiamone. Domandiamoci. Indigniamoci. Non lasciamoci travolgere dall’indifferenza. Silvia Romano è quel lato bello della gioventù italiana che ha avuto voglia di attivarsi per aiutarli a casa loro. Ora speriamo che Silvia possa tornare a casa sua e riabbracciare presto la sua famiglia. Sarebbe il regalo di Natale più bello, per tutti.
Ilaria Genovese