La chiamano “silver economy” e ne sentiremo parlare sempre più spesso, visto che il nostro Paese è destinato a essere la casa di riposo d’Europa, con l’età media della popolazione che si attesta quest’anno sui 47,3 anni e con una natalità sempre più a picco. Ma quali sono i problemi di un pianeta troppo popolato e quelli di un pianeta senza figli?
Poco più di cinquant’anni fa, nella tarda primavera del 1968, negli Stati Uniti uscì un libro che segnò un’epoca. Si trattava di The population bomb, scritto da Paul Ehrlich, uno stimato studioso di un’università californiana. Ehrlich, in breve, diceva che il nostro pianeta si trovava sull’orlo del precipizio, affacciato su una crisi irreversibile data dalla sovrappopolazione della Terra e, conseguentemente, dalla scarsità di risorse.
La bomba demografica
Il libro ebbe un grande successo, soprattutto tra gli ambientalisti dell’epoca. Anche oggi, seppure alcune teorie espresse siano state superate e smentite, bisogna riconoscere che gli scenari presentati dal libro in modo catastrofico offrono comunque degli spunti di riflessione interessante sul problema del controllo della popolazione e delle conseguenze sull’ambiente. Ehrlich diceva infatti che carestie, sovraffollamento e conflitti sarebbero stati parte di un destino inevitabile, se non si fossero subito adottati comportamenti diversi per limitare la crescita della popolazione. Il libro non andò esente da critiche e le previsioni di Ehrlich non si avverarono in modo così drammatico, anche a causa della cosiddetta Rivoluzione verde.
La rivoluzione verde
La produzione agricola, tra gli anni Cinquanta e Settanta, subì infatti un incremento vertiginoso, grazie all’introduzione di varietà vegetali geneticamente selezionate, fertilizzanti, fitofarmaci e altri investimenti di capitale su mezzi tecnici. La popolazione aveva dunque cibo, anche se gli squilibri tra Nord e Sud del mondo continuavano ad esistere. La situazione, quindi, sembrava leggermente più rosea di quella paventata da Ehrlich.
Ma nel frattempo il cambiamento climatico
Nel frattempo, però, avevano fatto capolino altri problemi, come i cambiamenti climatici, portati anche dalla rivoluzione verde stessa. E cosa c’entra questo con il numero di abitanti della Terra? E’ molto semplice: il mezzo miliardo di persone più ricche del pianeta (il 7%) emette la metà delle emissioni di anidride carbonica. Riassumendo: essere in troppi è un problema. Più persone ci sono, più impattante è infatti la “carbon footprint”, cioè la conseguenza della solo esistenza dei propri figli sull’ambiente.
La carbon footprint
Gli scienziati dell’università svedese di Lund hanno confrontato 39 studi e hanno dedotto che per salvare il pianeta bisognerebbe ridurre il numero di figli. Quattro sarebbero le azioni determinanti: rinunciare alla carne, rinunciare all’automobile di proprietà, rinunciare ai viaggi in aereo e fare un figlio invece di due. Quest’ultima scelta, in particolare, avrebbe un impatto 60 volte più vantaggioso rispetto all’essere vegetariani.
Un miliardo e mezzo in più dal 1990
Oggi sulla Terra abitano 7 miliardi e mezzo di persone. Nel 2000 eravamo poco più di 6 miliardi e nel 1990 il pianeta ospitava 5,2 miliardi di persone, secondo i dati della Banca Mondiale. La crescita globale della popolazione ammonta oggi a circa 75 milioni di individui in più ogni anno, rappresentanti l’1,1 %. Il trend si è mantenuto costante dalla rivoluzione industriale dell’Ottocento: basti pensare che nel 1804 i dati registravano 1 miliardo di persone, che nel 2011 sono arrivati a 7 miliardi.
Natalità a picco nei Paesi occidentali
Secondo le stime, tra tre anni dovremmo toccare il traguardo degli 8 miliardi. Bisogna però considerare che negli anni Settanta i livelli di crescita della popolazione erano molto più alti. Oggi la natalità cala a picco nei Paesi sviluppati: nel 2017, la media era di 1,34 figli per donna in Italia, che nel mondo si posiziona al 193° posto, appena prima di Giappone e Hong Kong. Il tasso di sostituzione, cioè il rapporto tra nascite e decessi, sta scendendo anche nel Sud Est dell’Asia e in Sud America, mentre continua a crescere solamente la popolazione africana. Tra i primi dieci Paesi per natalità al mondo, infatti, nove sono africani. La Repubblica Democratica del Congo e le sue 6,02 nascite per donna guidano la classifica (Banca mondiale, 2017).
In 11 miliardi tra 100 anni
Le Nazioni Unite si sono servite di modelli matematici per stabilire che il picco demografico dei 9 miliardi si raggiungerà nel 2050. Altre previsioni stimano che la popolazione continuerà a crescere fino al 2100 circa, arrivando agli 11 miliardi. Alcuni studiosi, però, collocano qui una leggera flessione della curva: la popolazione dovrebbe cominciare a decrescere praticamente tra cento anni.
I problemi di una società senza figli
Se essere in troppi è un problema, ambientale e non solo, anche essere in pochi ha i suoi svantaggi, connessi alla crescente età media di una popolazione che fa sempre meno figli e deve pagare sempre più pensioni. Saranno soprattutto gli stati occidentali ad affrontare tutti i problemi connessi a una popolazione anziana. Nel 2020, l’aspettativa di vita alla nascita è di 85,3 anni per le donne e di 81 per gli uomini. Nel 2070, invece, si arriverà a oltre 90 per la popolazione femminile e a 86 per quella maschile. La fascia anziana, quella degli over 65, rappresenterà più di un quarto della popolazione totale.
La silver economy
Malattie, cure ospedaliere, lavoro e pensioni: l‘invecchiamento della popolazione è un problema che verrà pagato a fatica dalle persone in età da lavoro, tra i 20 e i 64 anni, che scenderanno al 51% della popolazione. I bambini e i ragazzi, tra mezzo secolo, saranno solo 12,6 milioni in tutta Europa. La silver economy, cioè tutto quell’ambito di prodotti e servizi offerti agli anziani, diventerà sempre più centrale nell’agenda degli Stati. Già oggi la spesa degli over 65 nel nostro Paese ammonta a 200 miliardi. Si tratta di quasi un quinto dell’intera torta dei consumi delle famiglie italiane.
L’eterno problema delle pensioni
Secondo i dati di Confindustria, nel 2030, il dato aumenterà a circa il 25% del totale, per arrivare al 30% nel 2050. Questo influirà su tutto: prodotti, servizi e banalmente anche sui programmi elettorali da silver economy, in cui gli anziani rappresenteranno sempre il target più numeroso e cruciale. Per semplificare: se un politico dovesse candidarsi nel 2050, sarà più facile che prometta l’aumento delle pensioni, rispetto a investimenti sui giovani e sulle università.
Insomma, non fare figli sembra la strada migliore per l’ambiente e l’approvvigionamento di risorse, mentre qualche nato in più sarebbe linfa vitale per l’economia di un Paese, impantanato nella silver economy. Ancora una volta, ambiente ed economia si scontrano: arbitro e conciliatore dovrà essere in futuro la politica nel trovare una soluzione che permetta a questi due mondi di parlarsi. Ovviamente, è una sfida dura, complessa e di cui si parla poco, perché non esistono soluzioni, né slogan.
Per ora, in Italia, se ne sono occupati seriamente solo gli Eugenio in via di di gioia.
Elisa Ghidini