Nell’atmosfera magica che avvolge il Natale, quando le famiglie italiane si riuniscono per il tradizionale cenone della Vigilia, c’è molto di più dietro a ogni portata del menu. Il simbolismo del cenone della Vigilia di Natale è una rappresentazione profonda delle tradizioni e della devozione, un messaggio che si cela dietro ogni piatto, raccontando storie antiche e significati che vanno ben oltre il piacere culinario.
Il cenone della Vigilia di Natale è un evento speciale per molte famiglie italiane, un momento in cui ci si riunisce, si cucina insieme e si gustano le specialità locali. Tuttavia, nel sud d’Italia, e in particolare a Napoli, questo cenone è intriso di una simbologia ricca di significato, gesti rituali, e antiche tradizioni che affondano le loro radici in tempi antichi. Le chiamano “devozioni,” e dietro ogni portata c’è un profondo significato che permea la vita dei napoletani credenti.
La cena del 24 dicembre è ancor oggi un momento carico di valore simbolico per molti. Ogni piatto è un segno di rispetto per antiche usanze, tanto che tutti cucinano le stesse pietanze, indipendentemente dal loro gusto personale. “È per devozione” ripetono soprattutto al meridione, e questa frase, apparentemente banale, racchiude un significato profondo.
Il momento della Vigilia di Natale è particolarmente significativo dal punto di vista cristiano, e il primo precetto da osservare è il divieto assoluto di consumare carne in attesa della nascita di Gesù Cristo. Questo divieto trova le sue radici nella quotidianità, un aspetto che il famoso antropologo Marvin Harris aveva ben compreso. La proibizione sulla carne durante l’Avvento diventa un gesto di rispetto per l’imminente nascita della divinità. Questa pratica, tuttavia, ha un’origine che risale a tempi antichi. In passato, il pesce era un alimento accessibile a tutti, a differenza della carne che veniva consumata solo in occasioni speciali. La Chiesa ha quindi reinterpretato questa usanza dando un significato profondo a ciò che inizialmente era solo una pratica quotidiana. La storia dei divieti alimentari è complessa, e spesso nasce da motivazioni pragmatiche. Ad esempio, nel Medioevo, la Chiesa imponeva il digiuno come forma di penitenza, non solo nella Vigilia di Natale ma per almeno due giorni a settimana durante tutto l’anno. La vita in quel periodo era incredibilmente dura.
Nel nostro Paese, la tradizione del pesce è ancora ben viva. Il menu della Vigilia di Natale è dominato da due elementi: il pesce e le verdure. L’antipasto inizia con la pizza di scarole, riempita di olive, pinoli, e talvolta anche acciughe e uvetta. Questo piatto solitamente si consuma a pranzo, mentre alla sera si tagliuzzano i resti, insieme alla pizza fritta, una tradizione che appartiene principalmente al centro storico di Napoli. La cena prosegue con alici marinate, insalata di polpo, e salmone marinato, un recente arrivo nelle tavole campane. Il primo piatto è un classico senza tempo: spaghetti alle vongole. La scelta principale riguarda se servirli “in bianco” o con qualche pomodorino qua e là. Questa prima parte del pasto ha profonde radici pre-cristiane ed è legata ai Saturnali romani, festeggiamenti sfrenati che duravano dall’13 al 23 dicembre. Durante i Saturnali, si onoravano diverse divinità, tra cui Marìca, una ninfa strettamente legata alla Campania, che ricorda la dea Diana, un’altra figura importante nei Saturnali e protettrice delle selve e degli animali selvatici.
Il secondo piatto segue la tradizione del pesce “con le pinne”. Molti preferiscono la spigola, ma altri prediligono l’orata (cotta in cartoccio o all’acqua pazza). In questa scelta, la tradizione cristiana è molto evidente. Il termine “orata” deriva dalla striscia dorata tra gli occhi del pesce, ma al plurale, “orate,” è la traduzione latina di “pregate.” Il pesce ha un significato segreto per i primi cristiani, rappresentato dalla parola greca scritta in maiuscolo: ΙΧΘΥΣ, che forma l’acronimo Iēsous Christos Theou Yios Sōtēr, ovvero “Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore.” I cristiani perseguitati usavano disegnare pesci, molto simili alle orate, per identificare le catacombe alla loro comunità, in modo che solo gli altri cristiani sapessero dove erano sepolti i defunti della loro fede.
Il pesce al cartoccio è seguito dal pesce fritto, con calamari, totani, gamberoni e baccalà, senza dimenticare il capitone. Quest’ultimo, dall’aspetto sinistro, è un piatto nato per simboleggiare una paura dei cristiani: rappresenta il serpente, simbolo del male nella Bibbia. I religiosi lo uccidono rigorosamente alla vigilia, prima della nascita di Gesù Bambino, e ne consumano la carne per esorcizzare le paure, sconfiggendo in modo figurativo il Diavolo. Questa tradizione garantiva un periodo di pace e prosperità nell’anno nuovo. La pesca del capitone è legata a motivi pratici, poiché il pesce era particolarmente grasso in inverno, quando gli altri alimenti scarseggiavano. Questo lo rendeva un piatto perfetto per l’Chiesa, economico e facilmente reperibile.
Per i contorni della Vigilia di Natale, ci spostiamo nell’antica Roma. L’insalata di rinforzo con cavolo bollito, acciughe, olive e papaccelle è la regina dei contorni, seguita dai broccoli di Natale, un broccoletto che matura verso dicembre. Questo ortaggio va bollito prima di essere ripassato con aglio, olio e peperoncino, servito con alcune gocce di limone. Tutti questi contorni sono un omaggio a Diana e Pomona, una dea etrusca trasportata nella mitologia romana.
Prima del dessert, c’è ‘o spassatiemp,’ una varietà di frutta secca con fichi, noci, mandorle, pistacchi, nocciole e arachidi. Le bucce vengono usate per segnare i numeri sulla cartella della tombola, e con l’aggiunta dei datteri, questi elementi ritornano nei banchetti dei Saturnali di cui abbiamo parlato in precedenza.
Curiosamente, i dolci della Vigilia di Natale non hanno una connessione spirituale, ma hanno una radice religiosa molto pratica. La maggior parte di questi dolci è stata inventata nei monasteri, come la frutta della Martorana, i roccocò, i raffiuoli, e i susamielli. Gli unici dolci a salvarsi da questa ondata monastica sono gli struffoli e i mustacciuoli, che hanno radici molto più antiche nella Magna Grecia e nella dominazione Romana.
Il cenone della Vigilia di Natale è un’esperienza culinaria ricca di significato e storia, un omaggio alle tradizioni e alle credenze profonde che hanno plasmato questa affascinante città nel corso dei secoli. Questa cena non è solo un momento di festa, ma anche un tributo a un passato ricco di simbolismo e di significato, che vive ancora oggi nelle tavole delle famiglie napoletane durante il Natale.