La Sicilia dice no ai rifiuti nucleari dopo l’individuazione di 4 siti per lo smaltimento nell’Isola. È passata quasi sotto traccia la notizia che attendevamo da più di vent’anni. Con il referendum del 1987 i cittadini si erano espressi contro il nucleare. Si è tornato a parlarne nel 2003. Entro il 2015 il governo avrebbe dovuto individuare i siti per lo stoccaggio dei rifiuti radioattivi e delle scorie nucleari. Alla fine, si è arrivati al 2021 ma con una procedura d’infrazione che l’Unione Europea ha aperto nei confronti dell’Italia.
È il ritardo la prima costante di questa vicenda. Un ritardo che ci rende consapevoli di quanto sia difficile assumersi le responsabilità di scelte impopolari. Smaltire il risultato (o il rifiuto) di un passato tutt’altro che sostenibile. Il ritardo che abbiamo maturato nella corsa verso una svolta verde che adesso si trova in cima all’agenda politica europea e non solo.
In verità sia il MISEE che il MATTM ci lavoravano in sinergia da tempo, rallentati prima dalle elezioni, poi dai cambi di governo, dalle verifiche, e dalle ripetute crisi (anch’esse di governo). Ma la messa in sicurezza dei rifiuti nucleari avverrà. Probabilmente tra i malumori dei cittadini e dei governatori locali. È questo il caso della Sicilia che nei giorni scorsi ha annunciato battaglia per cercare di evitare quello che viene definito un ennesimo “sfregio ambientale”.
Vediamo meglio di cosa si tratta
La Sogin è una società dello Stato alla quale è affidato lo smantellamento degli impianti nucleari e la messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi prodotti dalle industrie ma anche dalla ricerca e dagli apparecchi di medicina nucleare. Da poco è disponibile sul sito della società la cosiddetta proposta Cnapi – Carta nazionale aree potenzialmente idonee – che sulla base di diversi studi presenta in via preliminare 67 siti per lo stoccaggio dei rifiuti speciali. Parliamo di 33 mila metri cubi di rifiuti radioattivi (divisi con l’introduzione del Decreto Ministeriale 7 agosto 2015 in 5 categorie in base ai tempi di smaltimento). Rifiuti che in attesa di essere smaltiti sono distribuiti lungo la penisola come si vede sotto nell’immagine (riportata da Younipa sulla questione).
Quattro sono le vecchie centrali nucleari, così come gli impianti, tutti gestiti da Sogin. In Sicilia è presente un solo deposito (AGN-201-UniPA) gestito dall’Università di Palermo.
Ma in quella che è la Carta dei 67 siti, elaborata da Sogin, e poi validata da ISIN e ISPRA (agenzie che si occupano di ricerca nucleare e ambientale) e dai Ministeri, scopriamo che in Sicilia vengono individuate ben 4 potenziali zone per lo smaltimento. Le aree coinvolte comprendono: la zona delle Madonie fra Castellana Sicula e Petralia Sottana, le campagne di Dattilo e Fulgatore a Trapani, Calatafimi e Segesta sempre nel trapanese e Butera nel nisseno. Alcune di queste zone sono contrassegnate dal rischio sismico. Tutte e quattro, come sottolinea l’Assessore all’Ambiente della Regione siciliana Salvatore Cordaro, rientrano tra le aree “meno interessanti” (che comprendono 44 dei 67 siti individuati).
Perché la Sicilia non ci sta
La Sicilia non ci sta per diverse ragioni e preoccupazioni, tutte riassunte nelle dichiarazioni dei sindaci delle zone interessate. Non hanno ricevuto – “nemmeno una mail” – o altro tipo di comunicazione – dai ministeri (così fanno sapere). Una sorpresa, dunque, per migliaia di cittadini di territori già colpiti duramente dal Covid e dai disastri industriali verificatisi negli anni precedenti.
Il Parco delle Madonie è un importante sito UNESCO, un’area protetta. Trapani si era candidata a capitale della cultura italiana per il 2022. Butera si trova a pochi chilometri da Gela (in cui è presente un importante Polo Petrolchimico in via di riconversione). Si tratta di territori prettamente agricoli, campagne che sopravvivono grazie alla varietà delle coltivazioni. Le ricadute, dunque, non sarebbero solo ambientali ma soprattutto economiche, legate al turismo e alla filiera agro-alimentare.
Motivare il dissenso
Sono anche queste le motivazioni che gli amministratori locali e lo stesso presidente dell’Ars intendono portare al tavolo del ministero per evitare il peggio. In una delibera approvata dalla giunta Musumeci si è affermato che «le quattro aree presentano caratteristiche fisiche, geomorfologiche, sismiche, culturali, infrastrutturali, ambientali e naturalistiche che risultano essere incompatibili con la proposta della loro individuazione».
Compatta sembra essere l’opinione dei cittadini, quella di diversi gruppi politici locali e di alcune associazioni. Come sostenuto dagli attivisti di Cento Passi per la Sicilia, i territori interessati meriterebbero ben altre attenzioni: «la proposta di trasformazione di queste aree in discariche radioattive è semplicemente irricevibile perché offensivo e mortificante per queste comunità».
Sulla stessa scia anche l’eurodeputato Ignazio Corrao che si chiede come lo Stato possa pretendere di garantire lo straordinario, ossia lo stoccaggio di rifiuti nucleari, se ha già fallito nel Mezzogiorno le bonifiche dei siti inquinati che aspettano da più di vent’anni di essere riqualificati.
Insomma, la Sicilia non ci sta e vuole sfruttare la finestra dei 60 giorni di consultazione pubblica per muovere obiezioni. Il governo della Regione ha istituito un tavolo di lavoro coinvolgendo gli esperti delle principali Università dell’Isola e i sindaci dei territori interessati con lo scopo di motivare il dissenso espresso.
Tra mille ritardi, almeno questa volta, occorre far presto.
Antonio Caputo