Siamo stati sempre in guerra? L’interrogativo posto da Lucio Dalla, nel 1999, nel brano “Ciao”, oggi torna a riguardarci profondamente. Occorre, dunque, abitarlo sulla scorta dello straordinario lascito sui temi in questione del cantautore bolognese.
Tempi ardui, difficili, problematici. Di profonda connessione e lacerante frammentazione. E, quindi, scenari antinomici, contraddittori, che si articolano sul delicato ma resistente filo che si snoda tra una martellante evocazione alla tolleranza ed un puntuale ricorso alla discordia. La via dell’inatteso si impone e si propaga – ora carsica, ora dirompente – nell’avvicendarsi di un’impensata pandemia e dell’implosione in guerra di tensioni mai sopite, di lungo corso, ormai addirittura definibili ataviche – vista la velocità delle mutazioni alle quali siamo ormai sottoposti da tempo. Uno stato di cose che ci ha, in una qualche misura, sempre riguardati. Ma mai così a fondo richiamati all’attenzione prima che tutto precipitasse fragorosamente. È già accaduto, continua ad accadere, accadrà.
Eravamo impegnati in altre occupazioni, faccende, probabilmente anche festeggiamenti, quando nella «Spiaggia di Riccione, milioni di persone/Le pance sotto il sole, il gelato e l’ombrellone», non distavano poi così tanto dalle tetre regioni di guerra del Kosovo, nel 1999. Ma distanti dai fatti, tanto quanto bastava da non accorgersi che «siamo stati sempre in guerra». Così scriveva Lucio Dalla in Ciao, brano dalla sconcertante attualità, che si snoda – ancora oggi, ad ogni ascolto – attorno ad interrogativi fondamentali. Quesiti primi ed ultimi, difficili ed asintotici, che siamo chiamati ad abitare in quanto esseri umani.
Indifferenza ieri, indifferenza oggi, fin quando non è messa in discussione la nostra stessa sicurezza. Fino a quando la minaccia non incombe sopra le nostre teste e la sventura non si diffonde capillarmente nei meandri del nostro incedere quotidiano, il disinteresse è tale che qualcuno, nella spiaggia-simbolo di Riccione cantata da Lucio Dalla, non si accorge nemmeno di essere lo sfortunato protagonista di uno stravagante avvenimento: «abbronzati un coglione». E invece, in guerra – allora come oggi – lo si è sempre stati. Come lo stesso artista bolognese ha avuto modo di spiegare:
Il testo di Ciao in sostanza dice “Ragazzi, non stupitevi, perché noi viviamo nella guerra da sempre. Una guerra fatta di informazioni, di supposizioni, di tradimenti, di scudetti persi”.
Ma è forse il postmoderno, ambiguo, coacervo informazionale a fungere da bolla d’irretimento delle coscienze. È probabilmente un’ipertrofia comunicativa di stampo additivo che porta ad una strutturale assenza di indugio, meditazione, comunicazione. Rimanendo sempre nella nebulosa comunicativa di Dalla, come lo stesso cantautore bolognese ha constatato in un’intervista rilasciata a Gino Castaldo in occasione dell’uscita di Ciao:
Già da quando scrissi Henna, avevo in mente questo groviglio multimediale, un continuo passaggio tra occultamento ed esposizione di dati. Alla fine non ci capisci più un c… In questo caso mi sono messo là come uno che dice, bene mi sta passando tutto sopra la testa. Sembra una guerra fatta di luci, bomboloni, mignotte.
Uno scenario condito – allora, come oggi – dallo «sforzo dei poeti, dei mezzi giornalisti/Puttane e kosovari, poi altri tipi misti». Tutti gettati nella tragica ambiguità di uno sfondo meraviglioso e terribile: città che sembrano presepi, cieli puntellati da lampi, scie di aerei, che nel loro puro imporsi «facevano più bello il mondo»; ma sotto la cui apparenza, probabilmente, covava già un atroce alone di distruzione, devastazione, guerra. Eravamo già in guerra, a quel tempo, perché lo siamo sempre stati, nel senso delineato da Dalla. Eravamo già in guerra, oggi, da tempo, per gli stessi motivi:
In guerra con noi stessi, tra lido e giornali/E noi sempre più lessi, a farci abbindolare/Con la nostra indifferenza, la passione per le cose/Che non possiamo stare senza/Anche le pericolose.
Per un motivo o per un altro, anche stavolta, non si era scorta l’imminenza del conflitto che ci coinvolge, affatica, logora, ormai da mesi. Da un lato, qualcuno aveva denunciato, in tempi non sospetti, la quasi ineluttabile plausibilità di un tale evolversi dei fatti. Dall’altro lato, il dilagare ed il persistere della convinzione che il conflitto politico, diplomatico, militare in atto – che affonda le radici lontano nel tempo, almeno nel 2014 – sia di natura del tutto istantanea, improvvisa, imprevedibile. Sull’origine e sulle successive evoluzioni dell’attuale stato di cose, è necessario sostare debitamente. Anche in vista della strutturazione di una tanto impellente quanto ardua via d’uscita e dell’elaborazione di nuove sintesi per ciò che verrà.
«In guerra con noi stessi», dipendenti da un’illusoria e poco realistica libertà assoluta, impegnati a consumare voracemente un nuovo che altro non è che iterazione dell’uguale, si corre il rischio di non eccedere il perimetro di un incedere nel mondo autoreferenziale, sterile, pavido, ingenuo, banale, superficiale, omologato, standardizzato. Negli steccati di una narrazione media che si fa sempre più stringente, distogliente, esclusivista, balugina e fermenta quella coltre di indifferenza e inconsapevolezza che non permette di andare oltre un tracciato assai angusto. Si tratta di un meccanismo dalla precisa linearità che si ripresenta in qualunque ambiente, direzione, declinazione dello svolgimento del reale, di fronte al quale si erge il bisogno di un pensiero che, come l’oceano, non si può recintare.
Probabilmente è arrivato il momento di attuare una seria riflessione complessiva, piuttosto che continuare ad attraversare la quotidianità corrivamente, in preda agli eteronomi ritmi frenetici di un mondo improntato – sul piano individuale e sociale-comunitario – su efficacia ed efficienza. Occorre indugiare per tentare di comprendere dove si è diretti, il ‘verso dove’ del proprio stare al mondo.
Allora Ciao, più moderno che mai brano di Dalla, funge da monito: occorre abitare ininterrottamente e in modo asintotico la complessità di un mondo sempre più intricato; problematizzare senza soluzione di continuità ciò che ci circonda, accade, ciò che è dato per assodato. Porsi in ascolto.
Da ciò dipende, in larga misura, il nostro modo di stare al mondo: dalla disponibilità o meno di espandere la propria esistenza – e non, al contrario, condannarla ad una contrazione su vicoli ciechi. Così da approssimarci alla complessità dell’intero di cui siamo frammenti. Occorre oltrepassare gli steccati che si pretendono assoluti, prendersi carico dell’altro da sé; configurare e riconfigurare lo status quo che, di volta in volta, storicamente, si impone. A fronte dell’assordante chiasso che oggi accompagna lo svolgersi del conflitto ucraino-russo – dalle pretese essenzialmente manichee – Ciao culmina in un cauto ma deciso ritornello, in cui Dalla canta: «E la colpa è di non so di chi». Prospettiva che è tutto fuorché una rinuncia o una dichiarazione di neutralità. Piuttosto è una fenditura. Come sostenuto dallo stesso artista bolognese, si configura come l’attitudine che fonda ogni occasione conoscitiva umana:
Tornando alla canzone Ciao, la domanda è: dove ti schieri? Se sei pacifista finisci per essere connivente, e allora ti tocca schierarti con chi va a gettare le bombe. C’è un verso che dice: “E la colpa di non so di chi”. Al di là delle apparenze è l’unica in qualche modo ideologica. A me in realtà piace leggere nel cielo le mutazioni degli altri. Sono come una spugna, assorbo tutto quello che vedo e sento.
D’altronde in ciò consiste l’impresa conoscitiva umana, ente tra gli enti che dal e nel mondo sorge, di questo si impregna, ed a questo ritorna. Nel segno della perfettibilità:
È il gioco della vita/La dobbiamo preparare/Che non ci sfugga dalle dita/Come la sabbia in riva al mare.
Mattia Spanò