Shopping con il clan Di Silvio: portava voti alla Lega. Nove condannati. Il presidente della Commissione Antimafia Morra parla di dialogo, a Latina, tra cosche e personaggi della politica. Non ne ha ancora parlato nessuno, eppure la vicenda è gravissima.
Alba Pontina
Il clan Di Silvio, che quattro anni fa si sarebbe occupato delle campagne elettorali della Lega a Latina e Terracina, è mafioso. Lo ha sostenuto la Direzione distrettuale antimafia romana, lo ha ribadito l’anno scorso il giudice per l’udienza preliminare capitolino Annalisa Marzano e lo ha confermato il 25 settembre scorso la Corte d’Appello di Roma (Art. 416-bis, codice penale).
Nell’inchiesta “Alba Pontina” sono state descritte estorsioni, prestiti usurati, intestazioni fittizie di beni, traffici di droga e… corruzione elettorale.
Dunque, hanno condannato i Di Silvio – tra le altre cose – per il controllo del voto mafioso che sarebbe andato a esponenti leghisti.
Un aspetto su cui si è subito concentrata l’attenzione. Oggetto anche di dibattito parlamentare e di prese di posizione della Commissione antimafia presieduta dal pentastellato Nicola Morra.
Corruzione elettorale: shopping con il clan Di Silvio
Gli inquirenti affermano che il clan dei Di Silvio di Campo Boario, avrebbe fatto affari nelle campagne elettorali, comprando voti e con l’attacchinaggio.
Secondo l’Antimafia, quest’attività si svolgeva a favore della Lega, in particolare dell’ex consigliera regionale di centrodestra Gina Cetrone, poi passata a Cambiamo con Toti, arrestata nel gennaio scorso.
I pentiti parlano anche di voti acquistati per Angelo Tripodi, all’epoca candidato civico a sindaco di Latina e attuale capogruppo del Carroccio alla Regione Lazio, e per l’attuale eurodeputato verde Matteo Adinolfi.
Shopping con il clan Di Silvio: le condanne
Nove imputati, tra cui tre figli del presunto boss Armando Di Silvio, hanno scelto di essere giudicati in abbreviato. Lo scorso anno, il giudice Marzano ha emesso condanne per 74 anni di carcere e nelle stesse motivazioni della sentenza ha sostenuto che Latina è una città “strategica negli affari illeciti”, dove la collettività sarebbe “assoggettata all’egemonia dell’associazione che è indubbiamente di tipo mafioso”, aggiungendo che l’associazione mafiosa dei Di Silvio sarebbe stata “capace di controllare il territorio anche influenzando il voto della comunità locale”, con “una straordinaria forza intimidatoria che ha assoggettato intere categorie di professionisti e di imprenditori locali”.
Matteo Salvini, ovviamente, nega
“Il clan Di Silvio ha dialogato, in questi anni a Latina, con parti importanti della politica e del calcio locale”, dichiarò Morra una volta iniziato il processo.
Eppure, anche davanti all’evidenza, gli esponenti del partito di Matteo Salvini hanno negato con forza questa forma di corruzione elettorale, giurando di non aver mai avuto nessun rapporto con i Di Silvio e di non sapere nulla di candidati o imprenditori che avrebbero “assunto” il clan per favorire la Lega.
“La mafia è un cancro”, ah davvero?
“La mafia è un cancro“
continua a ripetere l’ex vicepremier Matteo Salvini. Ma la realtà dimostra tutt’altro. E il problema è a tutti i livelli: locale, regionale, statale.
Secondo Linkiesta, la Lega da sola ha 72 tra indagati e imputati all’interno del partito. Eppure, dopo aver accettato le dimissioni di alcuni tra i suoi più stretti collaboratori senza batter ciglio, Matteo Salvini annunciava di voler rivedere i criteri per l’assegnazione delle scorte e di voler sospendere il codice degli appalti perché frena le imprese. E non più di un paio di settimane prima a Legnano, comune a guida leghista, sindaco, vicesindaco e un’assessora furono arrestati per corruzione elettorale e appalti ritoccati.
E ancora, i documenti ottenuti da L’Espresso dimostrano che il volto più noto della Lega a Rosarno nasconde un imbarazzante segreto. Vincenzo Gioffrè, 37 anni, è il regista del successo elettorale di Matteo Salvini nel paese della piana di Gioia Tauro, in provincia di Reggio Calabria. Comune simbolo dello sfruttamento dei braccianti africani, sciolto due volte per mafia, dove il potere della ’ndrangheta è capillare. E dove la Lega nel 2018 ha raggiunto un risultato sorprendente, ottenendo il 13% dei voti dopo che cinque anni prima si era fermata a un misero 0,25%. Il segreto di Gioffrè? È stato per anni in società con uomini legati alle cosche: dal clan Pesce ai Bellocco, secondo il curriculum non autorizzato.
Amici e parenti di mafiosi: ecco chi c’è dietro la Lega di Salvini, al sud come al nord.
Le operazioni opache della Lega
Non solo corruzione elettorale, sono tante, troppe le operazioni opache della Lega.
Un fiume di soldi sarebbe arrivato dalla Russia di Putin al partito di Matteo Salvini. Un’operazione discussa a tavolino all’hotel Metropole di Mosca il 18 ottobre del 2018 tra Gianluca Savoini, responsabile della Lega per i rapporti con la Russia di Putin, e tre soggetti russi. Il sito statunitense BuzzFeed ha pubblicato gli audio dell’incontro tra russi legati al petrolio e Savoini. Si parla di finanziamenti finiti nelle casse del Carroccio per «una nuova Europa vicina alla Russia».
Un altro fiume di denaro che ha preso mille rivoli e qualche ruscello è poi quello dei tristemente noti 49 milioni di euro di rimborsi elettorali ottenuti dal Carroccio in modo illecito fra il 2008 e il 2010 e spariti prima di essere bloccati dagli inquirenti. Il sospetto è di false fatturazioni e accordi con imprese amiche per finte sponsorizzazioni elettorali. Questa ipotesi si basa sull’anomala gestione di quei rimborsi elettorali, maturati grazie ai bilanci della Lega Nord di Umberto Bossi e dell’ex tesoriere Francesco Belsito. Secondo l’accusa i 49 milioni sono stati spesi in un tempo molto più breve rispetto alla media degli anni precedenti e successivi, anomalia dettata — per gli investigatori — dalla fretta di svuotare la cassa temendo il sequestro dei conti.
Per quanto ancora ci faremo prendere in giro?
Giulia Chiapperini