Shi Jianquiao vendicò il padre, assassinato da un comandante nemico, versandone il sangue nelle mura sacre di un tempio buddhista. Poi, con calma glaciale, tenne un discorso davanti ai molti testimoni.
Shi Jianquiao fu la protagonista di un processo che fece molto scalpore nella Cina degli anni ’30. Per oltre dieci anni aveva dato la caccia all’assassino di suo padre, scovandolo infine tra le mura di un tempio buddhista. Si era portata silenziosamente alle sue spalle, aveva sollevato la canna della sua Browning e aveva premuto il grilletto senza esitazioni. I tre colpi di pistola avevano spezzato la quiete del luogo sacro, attirando l’attenzione di un gran numero di testimoni che avevano così assistito, impotenti, alla fine di un uomo.
Compiuta la sua vendetta, Shi Jianquiao non fuggì. Tenne invece un discorso accorato, distribuì materiale informativo e si guadagnò le simpatie di tutti i presenti prima ancora che le autorità giungessero sul luogo del delitto.
La vendetta di una figlia
Shi Jianquiao nacque attorno al 1905 nel villaggio di Shazigang. Il nome che le fu dato alla nascita era Shi Gulan, ed era la figlia di Shi Congbin, noto comandante militare al servizio di Zhang Zongchang.
A quei tempi la Cina non era un luogo pacifico in cui vivere. La frangia armata per cui militava Shi Congbin era nemica giurata della fazione per cui combatteva il comandante Sun Chuanfeng. Fu proprio quest’ultimo a tendergli una trappola, accerchiandolo nei pressi di Guzhen e sottoponendolo a un giudizio frettoloso e violento. Così, nell’ottobre del 1925, per ordine di Sun Chuanfeng il comandante Shi Congbin venne decapitato e la sua testa fu esposta presso la stazione di Begbu.
Fu allora che Shi Gulan cambiò nome e divenne “Jianquiao”, la spada vendicatrice. Si trattava di una vera e propria dimostrazione di intenti, un manifesto di guerra che chiariva senza ombra di dubbio le sue prossime mosse. Avrebbe vendicato l’onore leso della sua famiglia, lavando nel sangue l’onta subita dall’amato padre.
Per oltre dieci anni Shi Jianquiao inseguì Sun Chuanfeng, impresa che si rivelò tutt’altro che semplice. Non soltanto era una donna con mezzi limitati, ma era anche inconsapevole del fatto che il suo nemico aveva abbandonato la vita militare, trovando asilo presso il santuario buddhista di Tianjin Qingxiu. Nonostante le difficoltà, Shi Jianquiao non abbandonò le speranze e riuscì infine a rintracciare l’assassino di suo padre. Nel pomeriggio del 13 novembre 1935, con tre colpi di pistola, la giovane portava infine a compimento la propria vendetta.
Il caso Shi Jianquiao
A Shi Jianquiao non bastava aver portato a compimento la sua missione. Era anche intenzionata a non pagare alcun pegno alla giustizia per il crimine commesso.
E così fu, grazie a un’attenta e misurata operazione mediatica iniziata fin dal luogo del delitto. Appena commesso l’omicidio, la giovane pronunciò un lungo e sentito discorso a beneficio dei presenti. Raccontò del proprio amore per il padre e insistette sulle ragioni che l’avevano spinta all’assassinio. Poi distribuì dei brevi componimento poetici nei quali confessava il delitto e rivendicava la giustizia del proprio gesto, commuovendo i lettori fino alla lacrime. Sapeva esattamente ciò che faceva. Stava evocando l’immagine della pietà filiale, un sentimento fondamentale nella cultura cinese che spingeva un figlio a vendicare il genitore offeso.
La stampa dell’epoca impazzì per quella storia incredibile. Pochi giorni dopo l’arresto di Shi Jianquiao apparivano titoli sensazionalistici come “Bagno di sangue in un santuario buddhista” e venivano fissate interviste con la stessa omicida. Dal carcere, la giovane dichiarava ai giornalisti di essere ben nutrita e di trascorrere il tempo leggendo poesie.
Il vero talento di Shi Jianquiao fu quello di auto-inventarsi. Non negò mai di aver commesso il delitto, fatto di cui peraltro c’erano molti testimoni e diverse prove di premeditazione. Giocò invece la carta della compassione, dipingendosi come una vittima dell’ingiustizia di Sun Chuanfeng. Sapeva molto bene che, se il pubblico si fosse immedesimato in lei, avrebbe moltiplicato le sue possibilità di essere liberata.
E fu così che andò. Nonostante le accuse contro Shi Jianquiao fossero solide, il sentimento pubblico a suo favore era talmente forte da non poter essere ignorato. Il 14 ottobre 1936 la corte suprema di Nanjing assolve la giovane, dichiarando l’assassinio di Sun Chuanfeng un “omicidio etico” e un “atto di pietà filiale”.
Dalla vicenda reale alla letteratura pulp
La parabola di Shi Jianquiao è andata molto oltre i confini della sua vendetta. Nonostante la censura praticata – anche in tempi recenti – dal governo cinese, la sua storia ebbe una risonanza senza precedenti e divenne presto materiale prezioso per scrittori e drammaturghi.
In Cina i romanzi gialli e le storie seriali erano popolari molto prima che catturassero l’immaginazione dell’Occidente. Le nuove tecniche di stampa e la nascita del giornalismo alla fine del XIX secolo aveva portato a un’ampia fioritura di romanzi in serie, molti dei quali ispirati a fatti realmente accaduti e personaggi realmente esistiti. Padrone di questa nuova scena letteraria furono le donne.
Fu proprio il sensazionalismo del caso di Shi Jianquiao a renderlo invisibile agli occhi della censura di Stato, e di conseguenza a dare nuovi spazi al pubblico per discutere di pressanti temi politici e sociali. Non essendo soggetta al tipo di controllo esercitato sul giornalismo tradizionale, la fiction seriale basata sul caso diede la possibilità di esplorare norme di genere totalmente nuove, in un periodo dove i richiami ai limiti della moralità femminile erano sempre più frequenti […]. Eugenia Lean, docente presso la Columbia University
Shi Jianquiao divenne così la nuxia per eccellenza, la donna-cavaliere errante in cerca di giustizia. Era un eroina vivente, motivo per cui si trovò spesso ad essere protagonista di drammi teatrali e romanzi seriali. Tra questi “La figlia vendicatrice” del 1936, dove appare nelle vesti di nuxia che vendica la morte del padre grazie alle proprie abilità nelle arti marziali.
L’ombra di Shi Jianquiao
Ai nostri occhi contemporanei è difficile inquadrare la figura di Shi Jianquiao. Folle assassina o paladina solitaria? Certamente è stata un’abile manipolatrice, in grado di dirottare l’opinione pubblica a proprio vantaggio fino a garantirsi l’assoluzione. Ma è stata anche fonte di ispirazione per molte donne che, nella sua parabola, hanno trovato i semi di una libertà ancora da conquistare.
Carlotta Biffi