La Shanghai Cooperation Organization è un organismo internazionale di cui fanno parte alcuni dei più importanti soggetti dell’area euro asiatica. Si struttura come un consorzio di Paesi mossi dalla volontà di stabilire rapporti di buon vicinato e partenariati commerciali esclusivi, ma, in occidente, aumenta l’attenzione per un’organizzazione che conta tra i suoi membri capitali come Pechino, Mosca e Nuova Deli.
La Shanghai Cooperation Organization
La Shanghai Cooperation Organization (SCO) è un organismo internazionale euro asiatico che conta ad oggi otto membri effettivi. Altri, tuttavia, sono in lizza per entrare a farne parte, in qualità di partecipanti o di osservatori. Ne sono membri Cina, Russia, India, Pakistan, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan e, dal maggio 2023, Iran. La SCO nasce nel 2001 dalle ceneri di un’altra organizzazione internazionale, il Gruppo di Shanghai. La sua sede centrale è a Pechino. Le principali attività sono la cooperazione per la sicurezza (in particolare nella lotta al terrorismo), la cooperazione economico-commerciale, lo scambio culturale. L’organismo non ha reale potere decisionale nei confronti delle politiche degli stati membri. Tuttavia, rappresenta una realtà di crescente importanza, riconosciuta da sempre più Paesi asiatici come un’autostrada per l’instaurazione di relazioni diplomatiche e commerciali con diverse realtà dell’area.
Fuori dai confini asiatici la Shanghai Cooperation Organization è una realtà poco nota, ma che dovrebbe suscitare grande interesse. La sua ascesa, infatti, si inserisce a pieno titolo in quel processo di definizione che da alcuni anni sta riportando il mondo ad una divisione bipolare. Molti Paesi al momento si considerano non allineati, ma proprio le capacità attrattive della SCO potrebbero contribuire a modificare tale stato delle cose. L’organizzazione, infatti, conta circa il 40% della popolazione mondiale, e almeno il 25% del Pil. Abbastanza per farne un blocco di non secondario interesse per tutte quelle cancellerie non particolarmente entusiaste dell’egemonia globale occidentale.
Il summit del 2022 e la definizione della rotta della Shanghai Cooperation Organization
Il 16 settembre 2022 la Shanghai Cooperation Organization si è riunita a Samarcanda, in Uzbekistan, per l’annuale vertice dei Paesi membri. Al Summit c’erano tutti i rispettivi Capi di Stato, tra cui il cinese Xi Jinping, il russo Vladimir Putin e l’indiano Narendra Modi. È stato il primo incontro dopo l’inizio della guerra in Ucraina, evento che ha accelerato e reso manifesto il processo di sfaldamento di un mondo a guida unica in atto, in realtà, da diversi anni. Non a caso, mai come prima, il termine più ricorrente durante il meeting di Samarcanda è stato “multipolarità”.
Il mondo sta attraversando cambiamenti globali. Questi processi sono accompagnati da una maggiore multipolarità. L’attuale sistema di sfide e minacce internazionali sta diventando più complesso, la situazione nel mondo è pericolosamente peggiorata, i conflitti e le crisi locali si stanno intensificando e ne stanno emergendo di nuovi.
Questa è la nota conclusiva presentata a margine dell’incontro. Una chiara dichiarazione di intenti che pone la questione del “secolo asiatico” di fronte a Washington ed ai suoi alleati. Nella comunicazione finale dell’incontro del settembre 2022, per esempio, viene indicata la volontà di dare vita ad un istituto bancario di sviluppo della SCO. Il fine, promuovere l’ampliamento di infrastrutture strategiche nei territori dei Paesi coinvolti. La creazione di tale fondo di sviluppo, completamente svincolato dal sistema di cambio determinato dalla valuta americana, si traduce in un’iniziativa il cui semplice valore economico cede presto il passo al sistema delle relazioni geopolitiche tra potenze globali.
Alcuni dei Paesi dell’organizzazione, tra l’altro, hanno già iniziato a regolare i propri mercati bilaterali tramite lo scambio di monete nazionali (è il caso di Russia e Cina), mentre altri intendono a breve entrare nello stesso circuito (India). Il timore negli Stati Uniti è che tale approccio al commercio possa espandersi, oltre che tra i Paesi SCO, anche fuori dai confini asiatici. Il 14 aprile, per esempio, il Presidente brasiliano Lula, durante una visita nella Repubblica Popolare, ha annunciato l’intenzione di iniziare a pagare gli scambi commerciali con Pechino in yuan.
Le fratture che minano l’organizzazione
Il multipolarismo è obbiettivo perseguito a diverse velocità da parte di tutti i Paesi membri, e secondo diversi fini. Tuttavia, al momento è chiaramente la Cina, di fatto patron dell’organizzazione, a guidarne la traiettoria. Proprio il ruolo direttivo di Pechino, tuttavia, è motivo di alcune delle principali screpolature all’interno di questa comunità internazionale ristretta. Comunità, è bene sottolineare, che, per adesso, mantiene i tratti del partenariato in specifici settori, non dell’alleanza tout court. Uno dei motivi di frizione definiti dall’influenza cinese è il tema della One Belt One Road (OBOR, in Italia chiamata Via della Seta).
Nonostante il progetto OBOR sembrasse sulla via del tramonto, visto dalle nostre latitudini, la Repubblica Popolare non vi ha rinunciato. La crisi pandemica e quella ucraina, con il ristagno degli investimenti che ne è seguito, hanno solo rallentato l’opera, facendola riadattare al nuovo volto del mondo. Considerati per il momento inutili gli sforzi per fare dell’OBOR la strada maestra verso i mercati europei, a causa della ritrovata ostilità occidentale, la Cina sta ora concentrando il progetto nell’area asiatica. La Shanghai Cooperation Organization è stata quindi per Pechino un’ottima opportunità per spingere la sua opera verso i mercati di Paesi la cui vicinanza è già garantita dall’organizzazione stessa. Da Samarcanda quindi, un compiaciuto Xi Jinping può parlare a nome della SCO riguardo al progetto, e dire:
I membri della SCO riaffermano il sostegno all’iniziativa cinese One Belt One Road e riconoscono il lavoro in corso per attuare il progetto e gli sforzi per collegare la costruzione dell’Unione economica eurasiatica con l’OBOR.
C’è tuttavia un “ma”. L’appoggio all’OBOR arriva da tutti i membri della SCO, tranne uno. Quello che, dopo la Repubblica Popolare, è il più importante attore geopolitico del continente. L’unico in grado di rivaleggiare veramente con Pechino e influenzare in funzione anti cinese i Paesi dell’Asia: l’India. Nuova Deli non ha mai nascosto la sua contrarietà alla Via della Seta, vista come una fonte di influenza troppo grande per l’ingombrante vicino. E continua con la sua linea di avversione anche dagli scranni della SCO.
Quello dell’OBOR è solo uno dei molti temi divisivi che riflettono la grande diversità in termini di status e traiettoria dei membri della Shanghai Cooperation Organization. Diversità che incide sulla sua proiezione nel prossimo futuro. E che rende difficile immaginare a breve una ristrutturazione dell’organizzazione allo scopo di rafforzarne i poteri, limando quelli dei singoli Paesi coinvolti.
La SCO mantiene comunque la sua forza attrattiva
La SCO mantiene tuttavia le sue capacità attrattive, forse proprio grazie alla flessibilità dei criteri per farne parte e alla libertà che continua a concedere alle politiche nazionali dei singoli membri. È indicativo, per sottolineare tale stato delle cose, l’accordo siglato con l’Arabia Saudita. Paese fortemente legato a Washington, ma al quale è stato comunque concessa la partecipazione ai summit della SCO in qualità di “osservatore”, primo step dell’iter che trova nel grado di membro effettivo la propria conclusione. Oltre all’Arabia Saudita, anche la Turchia è in fase di valutazione per la nomina di Dialogue Partner. Se la proposta di Ankara fosse accolta, si tratterebbe del primo Paese Nato ad entrare nei meccanismi della SCO. Una situazione che potrebbe essere percepita come un rischioso cambio di casacca in sede atlantica. Ma che testimonia la crescente presa che l’immagine dell’organizzazione riesce ad avere fuori dal terreno euro-americano.
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