Sfruttamento del petrolio palestinese: come le aziende stiano favorendo il genocidio

scandalo ENI sul petrolio palestinese

La questione del mercato del petrolio palestinese, su cui la società italiana ENI è interessata, è diventata il fulcro di una controversia legale e umanitaria di portata internazionale. Recentemente, lo studio legale statunitense Foley Hoag LLP ha sollevato dubbi sulla legalità delle attività petrolifere nelle acque della Palestina, contestando le licenze concesse dal Ministero dell’Energia israeliano a diverse società energetiche internazionali.

Queste concessioni hanno scatenato una serie di proteste da parte di associazioni umanitarie palestinesi, che rivendicano il rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani nel pieno sfruttamento delle risorse petrolifere nelle acque palestinesi. La controversia sul petrolio palestinese, con i suoi fondamenti e conseguenze legali, ha alzato un dibattito a trecentosessanta gradi sulle implicazioni umanitarie – come la partecipazione delle aziende internazionali al genocidio –  e le (poche) possibili vie di soluzione per raggiungere una risoluzione equa e pacifica della questione.

La contestazione legale sulle attività per lo sfruttamento del petrolio palestinese 

Recentemente, lo studio legale statunitense Foley Hoag LLP ha emesso una lettera formale indirizzata alla società petrolifera italiana ENI e ad altre due aziende energetiche, esortandole a non intraprendere alcuna attività nelle aree marittime della Striscia di Gaza, designate come Zona Economica Esclusiva (ZEE) della Palestina. La denuncia è infatti quella dello sfruttamento dei giacimenti di petrolio off-shore  che si trovano, principalmente, lungo la Striscia di Gaza.

Questa mossa legale è stata richiesta da diverse associazioni umanitarie palestinesi, tra cui Al-Haq, Al Mezan e il Centro Palestinese per i Diritti Umani, che hanno agito in collaborazione con il Centro Legale per i Diritti delle Minoranze Arabe in Israele Adalah. La protesta di tutte queste voci è però giunta alle stampe solo oggi, dopo una denuncia avvenuta a fine ottobre. Il Ministro dell’Energia Israeliano aveva da tempo firmato una convenzione in cui l’ENI e altre società internazionali avrebbero usufruito del petrolio palestinese all’interno della zona esclusiva dello Stato occupato.

Licenze di esplorazione del gas nelle acque palestinesi: la responsabilità dell’ENI

La controversia ha origine dalle licenze concesse dal Ministero dell’Energia israeliano il 29 ottobre 2023, che autorizzavano sei società, tra cui ENI, Dana Petroleum Limited e Ratio Petroleum, ad esplorare e sfruttare le risorse di gas naturale nelle acque al largo della Striscia di Gaza. Queste concessioni sono state assegnate in seguito alla quarta fase di offerte lanciata dal Ministero dell’Energia israeliano nel dicembre 2022, che coinvolgeva un’area totale di 5.888 chilometri quadrati divisi in quattro zone designate come E, G, H e I.

Tuttavia, circa il 62% dell’area designata come Zona G rientra effettivamente nella ZEE palestinese, come stabilito dalla dichiarazione del 2019 e in conformità con le disposizioni della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare.

Da questa vicenda si sta alzando un grande vortice di accuse ma sopratutto imbarazzo da parte dell’attuale governo, che sta finanziando piani e accordi petroliferi nel nome dei diritti umani e contro ogni forma di colonialismo. L’ENI – già al centro di scandali per tangenti in Africa –  si è quindi unita al coro del genocidio, aiutando Israele e il suo presidente a rendere impossibile in Palestina la vita civile e la sopravvivenza economica.

Difesa dei diritti sul petrolio palestinese

Le associazioni umanitarie palestinesi, insieme ad Adalah, hanno prontamente risposto a questa mossa, contestando le licenze di esplorazione del gas nelle acque palestinesi. Nella loro lettera, chiedono la revoca delle licenze per l’esplorazione nelle aree della Zona G, l’annullamento di tutte le gare d’appalto pendenti nelle zone rientranti nei confini marittimi della Palestina e l’immediata cessazione di qualsiasi attività di sfruttamento delle risorse di gas nelle acque palestinesi. Inoltre, il 6 febbraio 2024, lo studio legale Foley Hoag LLP ha inviato avvisi alle società coinvolte, informandole che qualsiasi attività intrapresa in queste aree costituirebbe una chiara violazione del diritto internazionale.



Rievocando il diritto internazionale, lo Stato palestinese è firmatario della Convenzione dell’ONU – a cui anche Israele ha aderito. Il documento parla chiaramente della Zona Economica Esclusiva e del diritto dello Stato stesso e solo a sfruttarla entro i confini stabiliti. È chiaro quindi come Israele, per l’ennesima volta, abbia violato la legge internazionale, e questa volta anche sul petrolio palestinese.

Lo stato occupante però non si macchia di questo reato per la prima volta: numerosi giacimenti di gas e petrolio sono, attualmente, sfruttati da Israele senza il coinvolgimento dell’Autorità nazionale palestinese. Il genocidio ha più facce: non si tratta solamente di bombe su infrastrutture e civili, ma anche sui progetti di isolare economicamente la Palestina, attraverso l’occupazione del petrolio palestinese nei sedimenti off-shore, oppure attraverso il blocco navale per evitare qualsiasi contatto commerciale nel Mar Mediterraneo. 

Fondamenti del Diritto Internazionale

La contestazione dello studio legale del 6 febbraio riguarda quindi la violazione dei principi del diritto internazionale umanitario e consuetudinario, secondo i quali Israele, in quanto potenza occupante nella Striscia di Gaza, non ha il diritto di sfruttare le risorse naturali delle aree occupate a proprio vantaggio economico, a discapito della popolazione occupata. Inoltre, la demarcazione unilaterale da parte di Israele dei suoi confini marittimi per includere le acque palestinesi è considerata una violazione del diritto internazionale e un tentativo di annessione illegale di territorio.

Una lesione del diritto è tale che uno o più stati siano incriminati per saccheggio, riconosciuto dalla CIG come un reato penale. Le conseguenze si dovrebbero rivolgere sia agli Stati firmatari, in quanto saccheggiatori, ma anche nei confronti delle aziende – pubbliche e private – come ENI, a rischio per danni civili alla popolazione palestinese.

Possibili conseguenze e responsabilità

Questa controversia solleva gravi preoccupazioni riguardo alla violazione dei diritti palestinesi e all’uso illegittimo delle risorse naturali palestinesi. Le società coinvolte sono avvertite delle possibili conseguenze legali e delle responsabilità penali derivanti dall’ignorare il diritto internazionale e dall’agire contro gli interessi legali e umanitari del popolo palestinese. È essenziale che tutte le parti coinvolte rispettino i principi fondamentali del diritto internazionale e lavorino per una soluzione pacifica e legale della controversia. Il rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani è cruciale per garantire una pace sostenibile e la giustizia per tutte le parti coinvolte.

Ma l’occupazione delle terre e del petrolio palestinese non è un affare del solo 7 ottobre. Nonostante le responsabilità a livello legale e formale, Israele e tutti gli stati coinvolti e alleati – tra cui l’Italia – continueranno a finanziare bombe ed occupazioni fino alla fine. L’accordo di stampo neocoloniale e predatorio voluto da ENI sul petrolio palestinese è l’ennesima prova dell’identità italiana, quella stessa che si cela dietro a finte parole di solidarietà.

Lucrezia Agliani

Exit mobile version