Milioni di persone sono vittime di sfollamenti forzati a Jeddah, in Arabia Saudita, senza preavviso e senza un risarcimento adeguato. Lo scopo è demolire i quartieri residenziali per fare posto a grattacieli e luoghi d’intrattenimento
Sfollamenti forzati a Jeddah: la denuncia dei gruppi per i diritti umani
L’accusa arriva dall’associazione Democracy for the Arab World Now (DAWN), fondata dal giornalista e dissidente saudita Jamal Khashoggi, ucciso a Istanbul nel 2018.
Nell’ottobre del 2021, le autorità hanno iniziato a demolire diversi quartieri residenziali di Jeddah, seconda città dell’Arabia Saudita, per conto dell’ultimo progetto del principe ereditario Mohammad Bin Salman.
Si tratta di un piano di sgombero e ricostruzione dal valore di oltre 20 miliardi dollari, che consiste nel sostituire le “baraccopoli” con lussuosi grattacieli, un oceanario e un teatro d’opera.
I quartieri di Jeddah, descritti alle autorità come “focolai di droga e criminalità” nel tentativo di giustificarne l’abbattimento, sono stati spesso considerati i più aperti e vivaci dell’Arabia Saudita.
Definita “La Porta di Makkah“, Jeddah è la città più sacra dell’Islam. Negli ultimi mesi, inoltre, ha ospitato un importante festival cinematografico e un Gran Premio di Formula 1.
Per il suo livello di libertà, si era persino diffuso il detto “Jeddah gair” (Jeddah è diversa).
Ciò non ha fermato le autorità dal distruggere i quartieri della classe operaia senza alcun preavviso e in mancanza di un adeguato risarcimento.
Tra ottobre 2021 e maggio 2022 i funzionari hanno demolito dai 16 ai 20 quartieri, coprendo un’area di 4mila km quadrati. Ma si prevede lo sfollamento di 1,5 milioni di abitanti in 63 quartieri.
“Stranieri nella nostra stessa città”: la reazione dei cittadini
Nei quartieri distrutti di Jeddah, la maggior parte degli edifici è ridotta in macerie. Su quelli ancora in piedi c’è scritta in rosso la parola “Evacuare“.
Un cartello indica ai cittadini di andarsene, e consiglia di caricare i propri documenti sul sito del governo per richiedere un risarcimento.
Siamo diventati stranieri nella nostra stessa città. Proviamo sofferenza e amarezza
Queste le parole di Mustafa (nome di fantasia), medico saudita vittima di uno sfollamento forzato.
Mustafa era finalmente riuscito a costruire la “casa dei sogni” della sua famiglia, per la quale avrebbe dovuto pagare 15 anni di prestito.
I bulldozer dei funzionari sauditi l’hanno rasa al suolo, trasformando la sua vita in un “inferno“.
Il medico e la famiglia vivono ora in affitto, continuando a pagare il prestito personale per il terreno su cui era stata costruita la casa.
Le prospettive di rinegoziare il prestito, o di richiedere un risarcimento, sono incerte.
Secondo l’associazione ALQST (associazione per i diritti umani in Arabia Saudita), alcuni cittadini sono stati forzati a lasciare le proprie case attraverso il blocco dell’acqua e dell’elettricità, mentre altri sono stati minacciati con la violenza e con il carcere.
Siamo stati cacciati durante la notte senza alcun preavviso
Ha raccontato Fahd, abitante del quartiere meridionale di Galil, il primo a subire le demolizioni.
Secondo la sua testimonianza, le forze dell’ordine avrebbero persino confiscato i cellulari per evitare la diffusione di riprese.
Turki, saudita abitante di Jeddah da generazioni, progettava di crescere i propri figli nella casa distrutta da bulldozer e palle da demolizione.
Il rumore della demolizione era ovunque.
Con le macerie ovunque, sembrava il giorno del giudizio
Nonostante i tentativi di censura da parte del regime, alcuni attivisti hanno utilizzato i social per mostrare al mondo gli sfollamenti forzati a Jeddah.
Ali al-Ahmed, attivista e studioso presso l’Institute for Gulf Affairs di Washington, ha contribuito a rendere virali su Twitter gli hashtag #hadadjeddah, e #Jeddahdemolition.
Non è accettabile demolire le case dei cittadini senza il loro consenso e prima di averli risarciti con un prezzo adeguato e sufficiente a trasferirli in un nuovo luogo
DAWN: “Gli sfollamenti violano il diritto internazionale”
Secondo DAWN, gli sfollamenti forzati a Jeddah rappresentano una violazione del diritto internazionale.
Infatti, le misure prese dal regime sono incompatibili con i principi legali internazionali per la garanzia e la protezione dei diritti umani.
Oltre alla mancanza di un’alternativa appropriata allo sfollamento, i funzionari non hanno seguito le procedure legali, che includono il preavviso, l’opportunità di presentare ricorso, e un risarcimento tempestivo, adeguato ed efficace.
Molti residenti non hanno ricevuto informazioni su come richiedere un compenso, mentre altri non erano nemmeno a conoscenza di questa disponibilità.
Il regime ha dichiarato di essere a lavoro per risarcire i cittadini entro febbraio 2023, e di avere in progetto la costruzione di 5mila unità abitative sostitutive entro la fine dell’anno.
Inoltre, difendono il progetto affermando che la città di Jeddah verrà modernizzata con 17mila unità abitative.
Tuttavia, come racconta Fahd, gli sfollati non hanno ancora ricevuto nulla.
Sono passati mesi e non ho ricevuto alcun risarcimento per la mia casa. Da proprietario di una casa sono diventato un inquilino che fatica a pagare l’affitto
DAWN ha lanciato un appello perché le autorità saudite interrompano le demolizioni a Jeddah, finché non avranno garantito gli standard legali internazionali.