Sex workers speak out: a Bologna il primo congresso dopo quasi venti anni

ricorso delle lavoratrici del sesso sex workers

Dopo circa vent’anni dall’ultima volta, si è svolto a Bologna un congresso in cui le sex workers si sono riunite per discutere sulla legislazione del lavoro sessuale in Italia. Le partecipanti hanno chiesto un cambiamento a livello giurisdizionale in modo che possano essere riconosciute come classe lavoratrice e, in quanto tale, essere tutelata dallo Stato.

Sex workers speak out: contro la criminalizzazione per i diritti

Venerdì 2 giugno, in occasione della giornata internazionale del sex work, lavoratori e lavoratrici del sesso si sono riuniti nella capitale emiliano-romagnola per tenere un incontro aperto al pubblico sul loro mestiere. L’assemblea ha avuto luogo sotto le torri della città, nella sede del Mit (Movimento Identità Trans) e, il giorno successivo, all’auditorium Enzo Biagi della biblioteca Salaborsa. All’incontro ha fatto seguito un corteo nella città.

Organizzazioni, collettivi e sex workers di tutta Italia sono dunque scesi in strada per risollevare la questione intorno al lavoro sessuale. Il congresso è stato infatti pensato come luogo di confronto in cui rivendicare l’autodeterminazione delle lavoratrici del sesso italiane, che accusano la precarietà dovuta alla loro criminalizzazione. Le attiviste reclamano le medesime tutele che spettano al resto delle lavoratrici, come il diritto alla salute e alla sicurezza.

Porpora Marcasciano, guida del Mit e Consigliera comunale di Coalizione civica a Bologna, ha preso parola durante il raduno mettendo in evidenza come la prostituzione costituisse per molti un mezzo di emancipazione.

È una questione di diritti e di repressione, che bisogna ostacolare perché sta passando il modello nordico di criminalizzazione che assolutamente non vogliamo. La prostituzione è un mezzo per molte donne, trans e uomini per uscire da situazioni difficili, per emanciparsi e per autodeterminarsi.”

Sex work is work: le rivendicazioni

L’incontro pubblico nazionale di Bologna per i diritti delle sex workers ha rappresentato un’occasione per rivendicare che il lavoro sessuale costituisce un’occupazione come le altre. La lotta dei lavoratori del sesso è dunque volta all’ottenimento del diritto all’indennità di disoccupazione e alla malattia, all’assistenza sanitaria, così come la possibilità di denunciare alla polizia aggressioni sul luogo di lavoro ed appellarsi ad un tribunale in caso di violenza o sfruttamento. Allo stato attuale, infatti, la criminalizzazione di questo lavoro rende questa classe maggiormente vulnerabile e sfruttabile.

Lo ha sottolineato Maria Pia Covre, fondatrice, nel 1982, e leader del Comitato per i diritti civili delle prostitute, che il due giugno ha accusato il mancato riconoscimento dei diritti delle sex workers.

Dobbiamo pagare le tasse, ma non abbiamo gli stessi diritti di altri lavoratori. Si prenda atto che è un lavoro, chiediamo di avere il diritto di poterlo fare senza essere sfruttate o finire in galera.”

Il raduno del 2 giugno ha rappresentato anche un’importante occasione per rivendicare la “dimensione collettiva del movimento che spinge ad essere classe”. Il riconoscimento in quanto classe lavoratrice è d’altronde insito nel termine “sex work”, stesso, coniato negli anni Settanta dall’attivista americana Carol Leigh.

Il modello “abolizionista” italiano

In Italia, la prostituzione è “tollerata” per cui se il commercio di sesso è legale, alcune condotte collaterali come l’adescamento o il favoreggiamento costituiscono un reato. A Bologna, attiviste e attivisti hanno fatto emergere l’urgenza di apportare modifiche a tale modello normativo, definito “abolizionista”. Viene rimarcato come le sex workers potrebbero infatti essere accusate di favoreggiamento anche solo aiutandosi a vicenda. Se decidessero di affittare case insieme per creare un luogo di lavoro quanto più possibile “sicuro”, verrebbero denunciate per “esercizio di bordello”. L’ombra di questi reati le costringe dunque a lavorare da sole, aumentando i rischi di soprusi da parte dei clienti. Prepotenze dalle quali, come detto in precedenza, non possono successivamente difendersi.

L’auspicio dei manifestanti è quello che la de-criminalizzazione del lavoro sessuale in Italia possa seguire le orme del Belgio. Questo ha recentemente legalizzato l’acquisto o la vendita del sesso. Tutto ciò che coinvolge stupro, violenze, prostituzioni di minori e tratta degli umani resta severamente punito dalla legge. In questo modo, il governo belga ha reso possibile la protezione legale di lavoratrici e lavoratori del sesso.

Riprendendo ancora le parole di Porpora Marcasciano, il rischio per l’Italia è quello di conformarsi al cosiddetto modello “nordico” che criminalizza l’acquisto di prestazioni sessuali. L’obiettivo di tale modello giuridico non è tanto colpire i sex workers quanto i clienti (i “papponi”). Così facendo, tuttavia, la domanda è meno selezionata, aumentando le possibilità di interfacciarsi con clienti pericolosi.

Parola alle sex workers

Ultima, ma non meno importante, rivendicazione delle lavoratrici sessuali portata avanti il 2 giugno scorso è di essere finalmente, e definitivamente, incluse nel dibattito intorno al loro mestiere. Uomini politici, accademici, attivisti e l’opinione pubblica spendono da decenni opinioni, spesso contrastanti, sulla questione. Coloro che dovrebbero essere protagonisti della conversazione, si ritrovano invece messi ai margini.

Quello del sex work è un mondo complesso dalle mille sfaccettature. Sono molteplici le modalità, forme, motivazioni e condizioni di svolgimento del lavoro sessuale. Per questo motivo, la sociologa Giulia Selmi (parte del Gruppo di ricerca italiano su prostituzione e lavoro sessuale) sostiene sia opportuno usare il sostantivo plurale “lavori sessuali”. Parlare per conto dei sex worker significa sacrificare questa complessità a favore di una narrativa che ritrae questo lavoro “esclusivamente come mercificazione dei corpi”. Lo scrive Maddy Manca in una lettera del 2020, pubblicata sul blog del collettivo Ombre Rosse (presente all’incontro di Bologna).

Finora il dibattito ha sempre riguardato gli aspetti moralistici del sex work, omettendo l’aspetto dei diritti e della tutela dei lavoratori. I sex workers chiedono di essere riconosciuti e di poter vivere in sicurezza: gettarli nella clandestinità, sottolineano, non fa altro che aumentare i rischi di sfruttamento da parte dei clienti. Rivendicano tutele che sono loro dovute in quanto lavoratori come gli altri. Per concludere con le parole delle attiviste di Ombre Rosse: “Se i diritti non sono per tuttx si chiamano privilegi”.

Caterina Platania

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