Ce lo ripetiamo ogni volta che si parla di sesso: oggi, dopo millenni di repressione sessuale, siamo finalmente liberi e consapevoli. La sessuofobia, strumentalizzata come arma dalle istituzioni religiose e politiche, è un problema del passato, picconata dal femminismo della prima ondata in un primo momento, destabilizzata dall’avvento del cinema e dei mass media poi, e infine disintegrata dal ’68. Ma è veramente così?
L’odio per l’orgasmo, in realtà, è predominante ancora oggi. E no, non è solamente un problema del “terzo mondo” o dei paesi islamici. Mentre ci diciamo con convinzione liberi e consapevoli, gli odiatori dell’orgasmo agiscono indisturbati.
Ma quanto vanno in profondità le radici della sessuofobia, ossia della paura del sesso? La risposta è nel modo in cui funziona lo strumento più usato dall’homo sapiens : il linguaggio.
Qualsiasi tipo di linguaggio serve infatti a comunicare, secondo norme e convenzioni più o meno fisse che i parlanti introiettano. Non si può parlare di qualsiasi argomento con la stessa spigliatezza in qualsiasi contesto. Alcuni argomenti rappresentano poi dei veri e propri tabù linguistici, cose di cui non è (quasi) mai opportuno parlare. E’ in questi campi che la coscienza e la razionalità retrocedono, e si penetra nell’abisso delle pulsioni, degli istinti e dell’angoscia. I tabù linguistici evocano conflitto, disgusto paura. Ed è proprio alla categoria dei tabù che appartiene il sesso.
Sessuofobia: repressione linguistica e sociale
La repulsione verso il sesso si è cristallizzata nel linguaggio umano. Questo a sua volta, trattando il sesso in modo via via più vago ed allusivo, ha rafforzato il senso di repulsione. Un circolo vizioso che nel corso dei secoli ha creato una situazione paradossale: si parla di sesso o in termini scientifici o in termini scurrili. La sessuofobia viene così sublimata con uguale efficacia o nel distacco (evocato dal linguaggio aulico e freddo della scienza) o nel senso di ridicolo (suscitato dalle espressioni volgari). Lingua e società sono due sfere parallele, che interagiscono tra loro e si influenzano a vicenda. Alla repressione linguistica si è affiancata quindi la repressione sociale, messa in atto in particolare da un attore: la religione.
Sacro e Profano
“E con la Vergine in prima fila/e Bocca di Rosa poco lontano/ si porta a spasso per il paese/ l’amore sacro e l’ amor profano”.
Fabrizio De André era assoluto maestro nel rendere in pochi versi la realtà, così complessa nelle sue antitesi e contraddizioni. Sacro e profano, peccato e redenzione, dannazione e salvezza: sono sempre nette le dicotomie su cui si basa la dottrina cattolica, che affida al clero il compito di mediare tra vizi e virtù. Gli esseri umani sono colpevoli dalla nascita, macchiati dal peccato originale. Il sesso è considerato sporco e degradante. La verginità, invece, è purezza.
Ma siccome promuovere la verginità in assoluto avrebbe come risultato una forte riduzione (se non cessazione)delle nascite, la Chiesa si è inventata un’altra strategia: promuovere la castità. Il sesso è male, ça va sans dire, ma diventa un male necessario e tollerabile se finalizzato a procreare. Guai però a separarlo dalla procreazione, perché è lì il sesso diventa peccato.
La linea di Bergoglio, spesso incensato come rivoluzionario progressista dalla stampa, è la stessa: ce lo ha ricordato lo scorso giugno, quando ha esortato i giovani alla “castità prima del matrimonio, per riscoprire i modi e i tempi dell’amore vero”. Ancora peggio fecero i suoi predecessori, che si improvvisarono più volte sessuologi facendo più danni di un elefante in una gioielleria. Joseph Ratzinger definì ad esempio contro ogni evidenza scientifica i condom “inutili” nel prevenire le malattie sessualmente trasmesse. Prima di lui, Wojtyla ed il suo entourage avevano dichiarato che contro l’HIV servivano l’astinenza e la fedeltà coniugale, e non i profilattici. Sul desiderio di promuovere la sicurezza prevaleva ancora una volta quello di stigmatizzare le condotte cattolicamente scorrette.
Lo strapotere del sacro nelle Istituzioni
Laicità dello stato : un concetto evocato spessissimo, ma quasi mai messo in pratica. L’eccessiva compenetrazione tra religione e politica in Italia è il motivo, ad esempio, per cui nessuno o quasi ha battuto ciglio quando il presidente Fontana ha aperto il suo primo discorso alle camere citando il Papa (che lo ha subito ringraziato). Ed è anche il motivo per cui sembra quasi normale che il Vaticano intervenga sistematicamente nel commentare la situazione politica italiana, in particolare per le questioni etiche.
Chiunque porti avanti – da attivista o da parlamentare – battaglie per il progresso etico del Belpaese deve fare i conti con lo strapotere culturale e politico della religione cattolica. Ne sa più di qualcosa l’attivista ed ex europarlamentare Marco Cappato, che il 30 Giugno 2021 si vide negato il permesso di istituire un tavolo di raccolta firme per l’eutanasia in Piazza San Giorgio a Reggio Calabria perché trattava temi “antitetici ai dogmi religiosi“. O l’associazione UAAR, che nel 2009 si trovò a ricevere auguri di morte da parte dell’allora ministro Ignazio La Russa per aver portato avanti una campagna contro la presenza – discutibile, in uno stato laico – del crocifisso in molte aule scolastiche. Gran parte della politica è meno laica di quanto ammette, e non nasconde di rifarsi ai cosiddetti “valori cristiani“. Ma i valori cristiani, piaccia o no, non sono di tutti; e, ammesso che esistano, non è detto che siano per forza buoni.
E’ stato in gran parte lo strapotere della religione a rafforzare la sessuofobia nella cultura e nelle istituzioni. Il Vaticano non si è accontentato della posizione di privilegio concessagli dalla politica italiana con il Concordato, ha preteso esclusività. Ha preteso – ed ottenuto – che i valori cattolici diventassero valori di tutti, chiedendo – anche se implicitamente – alla politica di non dare spazio a ciò che non rispecchia i suoi dogmi. La nonchalance e l’arroganza con cui lo fece Woytila, spesso incensato dalla Destra (ma inspiegabilmente anche dalla Sinistra), in seguito al primo Gay Pride di Roma del 2000 sono proverbiali:
Un accenno […] alle manifestazioni dei giorni scorsi(il gay pride, ndr.). A nome della Chiesa di Roma non posso non esprimere amarezza per l’affronto recato al grande Giubileo dell’anno 2000 e per l’offesa recata ai valori cristiani di una città che è tanto cara al cuore di tutti i cattolici del mondo”
Sessuofobia, un problema ancora oggi?
Dove sino al 1989 correva idealmente la “cortina di ferro”, oggi corre un’altra frontiera ideale che separa due Europe: una – quella Occidentale – più laica, emancipata e sessualmente libera, ed un’altra – quella Orientale – più religiosa, repressa e sessuofoba. L’Italia è nella terra di mezzo: non ai livelli (almeno per ora) dei governi reazionari del gruppo Visegrad, ma lontana dall’Olanda e dai paesi scandinavi. Nel 2015 bastò la proposta di inserire nelle scuole la cosiddetta “educazione alla parità” a scatenare l’ira delle associazioni cattoliche e dei movimenti “pro-vita”.
L’opinione dominante negli ambienti di Destra e non solo è chiara: l’educazione sessuale spetta alle famiglie e non alle scuole. Un ragionamento del genere non funziona con la matematica, o con l’inglese, o con altre materie scolastiche. Se non funziona, è perché il sesso è trattato in modo diverso. E’ visto come un qualcosa di sporco da cui tutelarsi, da tenere nascosto finchè possibile. Ma è proprio l’evitamento del sesso a rendere così diffuse tendenze ideologiche come l’omofobia e fenomeni come gli abusi sessuali o il revenge porn.
Nei prossimi anni sarà ancor più cruciale promuovere l’emancipazione sessuale. Due in particolare sono i rischi dai quali tenersi a distanza. Il primo è quello di dare per garantite le conquiste nel campo dei diritti e dell’autodeterminazione sessuale. Ciò che si è ottenuto in anni di lotte può infatti svanire in due o tre sedute parlamentari se vi è una maggioranza reazionaria ed ostile ai diritti civili. Il secondo è quello di considerare un problema del passato la dominanza culturale della religione. Laicità ed autodeterminazione sessuale sono due facce della stessa medaglia. Se la prima soffre, la seconda regredisce e scompare.