Un’indagine congiunta di BIRN e Haaretz ha individuato sette voli militari israeliani da Belgrado a Beersheba tra ottobre e maggio che sono coincisi con un aumento record delle esportazioni di armi serbe allo stato ebraico per 15,7 milioni di euro.
Da quando è iniziata la guerra nella Striscia di Gaza il sostegno della Serbia nei confronti di Israele è cresciuto non solo nelle parole ma anche nei fatti. In questi mesi, Belgrado ha continuato a vendere armi a Gerusalemme ignorando la risoluzione del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (UNNHRC) che chiedeva di cessare la vendita e il trasferimento di armi dopo le accuse di genocidio nei confronti di Israele.
Un’inchiesta congiunta del quotidiano Haaretz e della Balkan Investigative Reporting Network (Birn) ha approfondito la coincidenza tra diversi voli effettuati da aerei militari israeliani a Belgrado tra ottobre 2023 e maggio 2024 e l’aumento delle esportazioni di armi serbe in Israele per un valore di 15,7 milioni di euro. Analizzando i dati ricavati da fonti di intelligence open source (Osint), BIRN e Haaretz hanno individuato sette voli israeliani verso la Serbia da ottobre e un ottavo compiuto da un aereo di una compagnia privata specializzata nel trasporto di vari tipi di merci, compreso l’equipaggiamento militare.
Incrociando queste informazioni con i dati presenti su un portale che raccoglie i dettagli delle esportazioni delle imprese serbe, è emerso che il principale produttore dell’industria bellica statale, Yugoimport-SDPR, da solo ha venduto armi per un valore di 510.000 euro in Israele. Il dato emerso dall’inchiesta congiunta diventa ancora più rilevante alla luce del valore complessivo delle esportazioni di armi tra Belgrado e Gerusalemme prima del 7 ottobre 2023, pari a 540.120 euro.
Perché la Serbia continua ad armare Israele
Come ha osservato l’esperto di politica estera Bosko Jaksic, Belgrado non starebbe vendendo armi a Gerusalemme soltanto per una questione di business, ma anche per rafforzare la propria posizione con l’Occidente secondo una precisa strategia voluta dal presidente Alexsandar Vucic.
Nel corso di questi mesi, la Serbia non ha rilasciato dichiarazioni sul contenuto delle spedizioni dirette verso Israele definendo queste informazioni “strettamente riservate”. L’8 marzo il Ministero del Commercio ha respinto una richiesta presentata da BIRN nella quale si chiedeva alle autorità serbe di specificare quando era stato rilasciato il permesso di esportazione e che tipo di armi venivano caricate sugli aerei israeliani.
La cautela di Belgrado sulle esportazioni di armi verosimilmente impiegate contro i civili a Gaza, in un momento estremante difficile per lo stato ebraico, accusato di compiere un genocidio sulla popolazione palestinese, è stata molto apprezzata dal primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, il quale ha definito il presidente serbo “un vero amico di Israele”. Lo scorso 26 febbraio, esattamente tre settimane dopo il primo volo di un Boeing 707-300 diretto all’aeroporto Belgrado, i due leader hanno avuto una conversazione telefonica nel corso della quale hanno discusso di “ulteriori progressi nelle relazioni bilaterali” tra i rispettivi paesi, come rivelato dallo stesso Vucic in un post su Instagram.
Gli accordi sulla vendita di armi da parte di Belgrado a Israele sono parte attiva dei progressi nelle relazioni bilaterali trai due paesi. Infatti, anche se Netanyahu può contare sul supporto degli Stati Uniti che in questi mesi hanno creato un ponte aereo senza precedenti per garantire il flusso costante di bombe e missili verso il paese, le forze di difesa israeliane (Idf) necessitano di forniture aggiuntive di munizioni di piccolo calibro e mine da mortaio, indispensabili non solo nei combattimenti contro i miliziani di Hamas, ma anche nell’ottica di un allargamento della guerra contro Hezbollah in Libano, come ha spiegato l’esperto militare Vlada Radulović.
“La Serbia – ha sottolineato Radulović – è riconosciuta sul mercato mondiale come produttrice di munizioni di alta qualità di piccolo, medio e grande calibro, compresi i proiettili da 155 mm. Quindi, con ogni probabilità è questa produzione a suscitare l’interesse di Israele”.
Israele “ricambia” il favore alla Serbia non sostenendo la risoluzione Onu su Srebrenica
Contrariamente a quanto è accaduto per l’Ucraina dove l’Occidente ha cercato di forzare l’equilibrio mantenuto dal presidente Vucic tra UE/NATO da una parte e la Russia dall’altra, a cui la Serbia è unita da legami storici, culturali, politici e militari, nel conflitto a Gaza la posizione di Belgrado non è mai stata così chiara e inequivocabile.
Nel sostenere Israele nella guerra contro Hamas, la Serbia intende ricambiare la “fedeltà” dimostrata da Gerusalemme in questi anni sulla vicenda del massacro di Srebrenica del 1995 quando le forze serbo-bosniache sterminarono 8.000 uomini e ragazzi musulmani, e che lo stato ebraico non ha mai riconosciuto come genocidio contrariamente alle sentenze del tribunale delle Nazioni Unite per i crimini di guerra per l’ex Jugoslavia all’Aia e dei tribunali bosniaci.
Nel 2016, Israele è ricorso a uno stratagemma simile a quello impiegato di recente da Belgrado per mantenere il segreto sulle esportazioni militari alle forze serbo-bosniache nella guerra civile in Bosnia, in aperta violazione dell”embargo delle Nazioni Unite. La Corte Suprema israeliana, ha deciso di confermare una sentenza del tribunale dell’anno precedente che respingeva una richiesta di informazioni sulle licenze di esportazione di materiale bellico verso l’ex Jugoslavia tra il 1990 e il 1996 e le decisioni prese dal ministero della Difesa israeliano, nonostante diverse inchieste avessero già dimostrato che il commercio d’armi era avvenuto dopo l’imposizione dell’embargo del settembre del 1991.
Lo scorso 24 maggio, lo stato ebraico si è schierato ancora una volta dalla parte della Serbia diventando uno dei 22 paesi a non appoggiare una risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU sull’istituzione della Giornata internazionale in memoria del genocidio di Srebrenica, l’11 luglio. Anche se la risoluzione è stata approvata con il voto favorevole di 84 paesi, 19 contrari e 68 astenuti, le autorità serbe hanno interpretato l’opposizione di Israele come un segno della vicinanza politica tra Gerusalemme e Belgrado, mentre il presidente Vucic ha giudicato la decisone delle Nazioni Unite “altamente politicizzata”.
Lo scambio di cortesie reciproche tra Belgrado e Gerusalemme prevede che “Israele non riconosce il genocidio in Bosnia per difendersi dalle accuse di aver commesso genocidio a Gaza” – ha dichiarato Jaksic a BIRN -. Ma l’incondizionato appoggio di Vucic al premier israeliano rischia di compromettere la reputazione della Serbia agli occhi della comunità internazionale, rendendola inevitabilmente “complice dell’omicidio di massa dei palestinesi”.
Tommaso Di Caprio