Il sequestro Aldo Moro rappresenta uno degli eventi più drammatici della storia della Repubblica Italiana. Il rapimento di Moro sconvolse l’Italia e il mondo politico, aprendo una crisi internazionale senza precedenti. Ma come si arrivò a quel tragico giorno? Quali furono le premesse e gli eventi che portarono al rapimento del presidente della DC?
La mattina del 16 marzo 1978, in Via Fani a Roma, un commando delle Brigate Rosse tese un’imboscata alla scorta di Aldo Modo, presidente della Democrazia Cristiana, uccidendo cinque uomini e dando inizio al Sequestro Aldo Moro, un episodio che avrebbe segnato profondamente la storia del paese.
Il contesto politico e la figura di Aldo Moro
Alla fine degli anni ’70, l’Italia era attraversata da una profonda instabilità politica e sociale. Il fenomeno del terrorismo, in particolare quello di matrice brigatista, aveva raggiunto il suo apice, con attentati, sequestri e azioni violente contro rappresentanti delle istituzioni. Il paese era diviso tra tensioni ideologiche e un crescente senso di insicurezza, alimentato da gruppi estremisti che vedevano nella lotta armata l’unica via per sovvertire l’ordine democratico.
Aldo Moro, figura chiave della politica, si era fatto promotore di una storica apertura del Partito Comunista Italiano (PCI) alla maggioranza di governo, nel cosiddetto “compromesso storico“. Questo tentativo di collaborazione tra DC e PCI rappresentava una minaccia per le Brigate Rosse, che vedevano in esso un rafforzamento del sistema democratico e la sconfitta del loro progetto rivoluzionario.
Moro era convinto che l’Italia dovesse superare le divisioni ideologiche per garantire stabilità e governabilità, ma questa visione si scontrava con le ambizioni rivoluzionarie dei brigatisti, che interpretavano ogni tentativo di integrazione tra le forze politiche come un tradimento della lotta proletaria.
Le Brigate Rosse
Le Brigate Rosse (BR) erano un’organizzazione terroristica di estrema sinistra nata alla fine degli anni ’60 con l’obiettivo di destabilizzare lo Stato democratico italiano e instaurare una dittatura del proletariato. Ispirate ai movimenti marxisti-leninisti e alle guerriglie rivoluzionarie sudamericane, le BR consideravano lo Stato borghese un nemico da abbattere con la violenza e vedevano nei politici, nei magistrati, negli industriali e nelle forze dell’ordine i principali rappresentanti di un sistema oppressivo.
Per le Brigate Rosse, la lotta armata era l’unico mezzo per scardinare il capitalismo e dare avvio a una rivoluzione socialista. Attraverso sequestri, attentati e omicidi, puntavano a diffondere il terrore e a costringere il governo a cedere. Il sequestro Aldo Moro si inseriva perfettamente in questa strategia: colpire un simbolo della Democrazia Cristiana e del compromesso storico significava attaccare direttamente il cuore dello Stato italiano, nella speranza di provocare una reazione tale da spingere il paese verso una crisi irreversibile.
I preparativi del Sequestro Aldo Moro
Le Brigate Rosse pianificarono con estrema cura il sequestro Aldo Moro. La fase preparatoria dell’attacco durò diversi mesi, durante i quali furono raccolte informazioni dettagliate sugli spostamenti del politico, sui suoi orari e sulle abitudini della scorta. Il commando brigatista, composto da uomini e donne accuratamente addestrati, studiò nei minimi dettagli il punto più vulnerabile del tragitto quotidiano di Moro, individuando via Fani come luogo ideale per l’agguato e il successivo rapimento.
Gli attentatori organizzarono più sopralluoghi per analizzare il traffico, le vie di fuga e i tempi di reazione delle forze dell’ordine. Nel corso dei mesi precedenti il sequestro Aldo Moro, le BR affinarono la loro tecnica militare, simulando l’agguato in altre circostanze e testando le armi che sarebbero state usate nell’attacco. L’operazione doveva essere rapida ed efficace: eliminare la scorta senza lasciare superstiti e portare via Moro in pochi istanti, prima che qualcuno potesse intervenire.
La mattina del 16 marzo 1978: Via Fani
Il giorno del rapimento, Aldo Moro avrebbe dovuto recarsi alla Camera dei Deputati per votare la fiducia al nuovo governo guidato da Giulio Andreotti, sostenuto per la prima volta anche dal PCI. Intorno alle 9:00 del mattino, la sua auto, una Fiat 130, lasciò la sua abitazione in via del Forte Trionfale, seguita da una seconda vettura con cinque agenti della scorta.
Arrivati in via Fani, le due auto furono bloccate improvvisamente da una Fiat 128 con targa falsa, posizionata di traverso sulla carreggiata. Al contempo, un secondo veicolo, una Fiat 132, si affiancò all’auto del politico, impedendone qualsiasi fuga. Dal marciapiede e dalle auto appostate, un gruppo di brigatisti, vestiti con divise simili a quelle delle forze dell’ordine, aprì il fuoco con armi automatiche, uccidendo all’istante i cinque uomini della scorta: il maresciallo Oreste Leonardi, il brigadiere Francesco Zizzi, e gli agenti Domenico Ricci, Giulio Riviera e Raffaele Iozzino. Quest’ultimo tentò una disperata reazione, ma fu sopraffatto dai colpi dei brigatisti.
Il sequestro Aldo Moro
In pochi secondi, tutto si compì. Gli attentatori aprirono la portiera dell’auto di Moro, lo fecero scendere e lo costrinsero a salire su un’altra vettura, una Fiat 132 blu, che si allontanò velocemente dal luogo dell’agguato. L’intera operazione durò meno di tre minuti e fu eseguita con estrema precisione. Poco dopo, i terroristi abbandonarono l’auto utilizzata per la fuga e trasferirono Moro in un luogo sicuro, dando inizio a 55 giorni di prigionia che culminarono tragicamente con il suo assassinio.
Il Caos istituzionale dopo il Sequestro Aldo Moro
Il Sequestro Aldo Moro scosse immediatamente l’opinione pubblica e le istituzioni. Il governo italiano si trovò di fronte a una situazione di emergenza senza precedenti, mentre le forze dell’ordine avviarono una delle più importanti operazioni di ricerca della storia del Paese. Nel frattempo, le Brigate Rosse annunciarono l’ufficialità del sequestro Aldo Moro con un comunicato, ponendo le basi per il lungo periodo di trattative e tensioni che seguirono.
Il 16 marzo 1978 segnò un punto di svolta nella storia italiana, evidenziando la vulnerabilità dello Stato di fronte alla minaccia terroristica e lasciando un segno indelebile nella memoria collettiva del Paese. Il sequestro Aldo Moro non fu un semplice atto di violenza politica, ma il simbolo di una stagione di conflitti che mise a dura prova la democrazia italiana.