Vi è sicuramente capitato di rimanere, per un motivo o per l’altro, senza connessione internet.
Inveire contro gli apparecchi e il router ovviamente ha avuto scarsi risultati e allora ci agitiamo. Bramiamo per la trecentesima volta il video di quel gatto con il cappello mandatoci da una nostra cugina di quarto grado che non sapevamo neanche di avere prima dell’iscrizione a Facebook. Abbiamo nelle nostre tasche la risposta al 90% delle domande che ci passano per la testa durante il giorno, una banca dati impensabile anche solo 15 anni fa. Forse la usiamo per i motivi sbagliati
Una dipendenza?
Più di 50 volte al giorno sguainiamo il nostro telefono per sbloccarlo e vedere cosa succede a chi ci circonda. Non ci basterebbe alzare lo sguardo di un paio di decine di gradi? Stiamo davvero perdendo il contatto con chi ci circonda, trasformando le persone in un avatar di se stessi? Il rischio sta crescendo esponenzialmente.
Si sono sviluppate inoltre, con l’esplosione dei social media e delle nuove piattaforme di messaggistica istantanea, delle vere e proprie “sindromi” come quella della “vibrazione fantasma”.
Siamo, in certi casi, veri e propri schiavi di un qualcosa che dovrebbe migliorare la qualità della nostra vita e invece sempre più spesso ci sta ingobbendo, uniformando e depersonalizzando. C’è chi non separa più la vita reale da quella sui social, proponendo un immagine di se stesso che non esiste per raggiungere dei risultati (i famigerati likes).
Tornare indietro?
Impossibile. Si potrebbe però lavorare di più sulla coscienza di massa riguardo i social media. Non possono e non devono diventare un alternativa all’ ”io reale”.
Cosa succederebbe se la nostra generazione svegliandosi domani mattina, si ritrovasse senza alcuna connessione internet, come se fossimo nel 1987? Riusciremmo ad abbandonare la compulsività da cui vengono dominate le nostre giornate?
Stefano J. Bazzoni