Il senso dell’umorismo così serio e tagliente di Vincenzo De Luca
Negli ultimi giorni stiamo assistendo a un periodo, per così dire, molto florido per il web: qualsiasi social sforna battute e meme sulla situazione drammatica che stiamo vivendo per l’emergenza Coronavirus. Battute sui cinesi, battute sull’inadeguatezza dei politici, battute sulla nostra vita di tutti i giorni, che si è fatta ancor più monotona e noiosa. In fondo conforta sapere che, anche adesso, non abbiamo perso la capacità di ridere, anzi è una delle poche cose che ci è rimasta, ma soprattutto colpisce vedere che questa capacità sopravvive anche nei politici- i governatori delle regioni, i sindaci, lo stesso Presidente del Consiglio – i primi a farsi carico della gestione dell’emergenza.
In particolare il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, dimostra questa capacità. Rimarranno nella storia le sue parole:
Mi arrivano notizie che qualcuno vorrebbe preparare la festa di laurea. Mandiamo i carabinieri, ma li mandiamo con i lanciafiamme.
Ma soprattutto colpisce la serietà di un volto impassibile, e non compiaciuto, nel pronunciare queste parole. È solo l’ultima delle perle del governatore, famoso per il suo spiccato senso dell’umorismo, umorismo che è un vero e proprio supporto della sua comunicazione, che sia in situazioni ufficiali o in interviste. Insomma, l’umorismo rimane il mezzo comunicativo più efficace. Se De Luca avesse detto “non è il caso di fare una festa di laurea ora, bisogna evitare in ogni modo gli assembramenti, è vero è un peccato non festeggiare, ma ore è necessar…” non saremmo neanche stati ad ascoltare, è quello che ci sentiamo ripetere ogni giorno e che ancora non è entrato nella testa di tanta gente, proprio perché non è una comunicazione efficace.
Non è la prima volta che ridiamo alle parole di un nostro politico (per sua volontà): pensiamo a Berlusconi o a Beppe Grillo
Che l’umorismo nei politici sia un fenomeno tutto italiano? In ogni caso, possono permettersi di fare umorismo i politici che possono contare di un largo consenso, altrimenti questa goliardia di superficie rischia di essere scambiata con un modo di fare eccessivamente leggero. Pensiamo a Berlusconi e a come il suo uditorio gradisse estremamente le sue battutine durante i comizi, le interviste in tv. Non erano sconce o sessiste, ma le battute di un uomo intelligente che sa divertirsi e sa fare divertire. Pensiamo ora a Beppe Grillo, su cui l’etichetta del comico è sempre pesata, tanto da non avergli fatto forse mai acquistare credibilità politica. Eppure c’è chi sostiene che, invece, il clima politico italiano sia troppo “serioso” e che “chi non è capace di ironia, è capace di qualunque delitto”: è proprio De Luca, che in un’intervista a Otto e mezzo si esprime così per giustificare il suo modo di fare sarcastico.
Sarà che noi italiani abbiamo alle spalle una lunga tradizione di oratori e retori. La scrittrice Mary Beard ad esempio ci racconta di come nell’antica Roma l’umorismo fosse una parte essenziale della vita cittadina e di come lo stesso Cicerone, che ci appare così altisonante nelle sue orazioni, si lasciasse andare in battute, spesso poco apprezzate dai suoi amici politici.
Una cosa è certa: se il politico è apprezzato a prescindere dal suo umorismo, sarà apprezzata anche la sua voglia consapevole di far ridere.
Francesca Santoro