Da un filosofo stoico ci si aspetterebbe la pazienza di un santo. Invece, nelle Lettere Morali a Lucilio, ce n’è una che racconta il tormentoso rapporto tra Seneca e i rumori molesti quotidiani. Ed è, a dispetto delle intenzioni del suo autore, tutta da ridere!
Che la convivenza tra l’intellettuale (vero o presunto) e la “bassa plebe” possa essere durissima, è cosa nota. Ma se da un Alain Elkann, che riesce nella notevole impresa di palesare contemporaneamente pari snobismo e asineria, tutto sommato ce lo si aspetterebbe, Seneca invece è una sorpresa. Non perché il filosofo romano non sia classista, snob e pure un po’ ipocrita. D’altra parte, col suo curriculum, il vecchio maestro di Nerone – a differenza del nostro eroe di quel treno per Foggia – se lo potrebbe pure permettere. La sorpresa arriva perché, almeno in teoria, Seneca dovrebbe essere un senex stoicus. Ossia un tipo che, grazie alla saggezza maturata con la meditazione filosofica e il lavoro su di sé, dovrebbe essere pressoché imperturbabile. Ebbene, l’epistola 56, contenuta nel sesto libro delle sue celebri Epistole morali a Lucilio (62-65 d. C.), ci offre un ritratto un po’ diverso del filosofo. Nello specifico, mostrandoci il complicato rapporto tra Seneca e i rumori molesti che lo disturbano mentre cerca, invano, di studiare e meditare.
Seneca e i rumori molesti: che fatica la vita per un filosofo che abita sopra le terme!
Per chiunque svolga un lavoro mentalmente impegnativo, vi sfido a negarlo, l’estate può essere un periodo estremamente sfibrante. Se si vive in un eremo o in un bunker insonorizzato con aria condizionata, non c’è problema. Altrimenti, c’è poco da fare: a un certo punto bisognerà aprire la finestra. Ecco, nel momento esatto in cui si lascia uno spiraglio, è fatta: scopriamo il fianco (e l’orecchio) al rumore degli altri. Che può essere molto, molto, molto invadente.
Non so fino a che punto sia una consolazione, ma forse qui vale il motto “mal comune, mezzo gaudio”. Perciò, forse, per chi sta maledicendo il condizionatore a 10.000 dB del vicino, la musica a tutto volume, quelli che si urlano da un balcone all’altro, le parole che seguono potrebbero essere un balsamo. Ecco infatti come, convivevano (malamente) Seneca e i rumori molesti nella Roma del I d. C.:
Possa io morire se il silenzio non è così indispensabile, come sembra, a chi si è appartato per i suoi studi. Ma ecco, risuonano intorno a me da ogni lato grida e rumori svariati: abito proprio sopra uno stabilimento termale. Orbene, potrai immaginare le voci e i suoni di ogni genere che arrivano a rendermi odiose le mie stesse orecchie.
I rumori incriminati
Non potendo studiare perché infastidito dalla confusione, Seneca, come la più agguerrita delle zabette di quartiere, si affaccia alla finestra con la penna in mano. E registra un godibilissimo ritratto del panorama sonoro che lo tormenta.
Per primi vengono gli atleti e gli sportivi:
quando sono sotto sforzo o fingono di esserlo, li sento gemere. E ogni volta che lasciano andare il respiro trattenuto, allora si odono respirazioni e sibili affannati in modo imbarazzante. Non manca il buono a nulla, quello che si accontenta di una volgare frizione. Allora sento i colpi della mano sulle spalle durante il massaggio, di taglio, di piatto e di pugno. Se poi arriva anche l’appassionato del gioco della palla e si mette a contare i punti, siamo fritti! […] E mettici anche quelli che si tuffano in piscina, col rumore infernale dell’urto nell’acqua.
Poi ci sono quelli che semplicemente sono molesti per intima essenza, quelli che spingono a pensare che tutto sommato un po’ l’umanità meriterebbe l’estinzione:
Aggiungi il bullo litigioso, il ladro colto in flagrante e quello che si compiace della propria voce mentre fa il bagno…
Infine, ci sono i poveri cristi che lavorano. Che se solo, Giove li benedica, lo potessero fare un pelino più in silenzio…
Pensa all’uomo che per mestiere depila le ascelle. Emette una voce stridula per farsi notare e non tace mai, tranne quando spilucca le ascelle: allora fa gridare un altro al suo posto. […] Ed eccoti poi le varie grida del venditore di bibite, del salsicciaio, del pasticcere e di tutta la gamma di imbonitori […] che offrono in vendita la propria merce.
E che diamine, si chiede anche Lucilio a questo punto, ma come fa un povero filosofo a vivere così?
Il rimedio, in teoria: educare il proprio animo
A far convivere Seneca e i rumori molesti è, almeno sulla carta, la filosofia.
Il vicino è un fabbro.
Nella casa accanto lavora un falegname.
I carri passano a tutto spiano.
C’è pure uno che prova trombette e flauti e, di poco talento, non canta, ma urla.
Seneca sospira. Sarebbe tentato, tentatissimo, di scendere in strada e fare una carneficina. Ma si rimastica tra i denti un livido monito sui costumi del saggio:
Costringo il mio animo a concentrare su di sé l’attenzione e a non lasciarsi sedurre da richiami esterni. Tutto faccia pure un gran baccano fuori di me, purché nulla nel mio intimo sia in tumulto. Purché non si scontrino fra loro cupidigia e paura, né l’amore per il lusso e un’avara avidità si tormentino a vicenda. Del resto, a che serve il silenzio di un’intera contrada, se le passioni scalpitano?
Anche perché, si ricorda coscienziosamente il filosofo, a volte il bisogno eccessivo di quiete – cioè quando praticamente qualunque cosa infastidisce – è sinonimo di inquietudine. In quei casi, più che il silenzio, serve non stare con le mani in mano, bensì impegnarsi nel fare qualcosa di buono scaricando la tensione. Perciò, saggiamente Seneca esorta il suo giovane amico a fare attenzione a sé stesso, scrivendo:
Che tu sia dunque cosciente di essere in armonia con te stesso quando nessun clamore ti raggiungerà. Quando nessuna voce ti scompaginerà, neppure se sarà una voce lusinghiera, o ti minaccerà, o produrrà intorno a te un rumore vano ed insensato.
Il rimedio, in pratica: cambiare casa quanto prima!
Bello, bellissimo. Fin qui il rapporto tra Seneca e i rumori molesti, la capacità del vecchio stoico di tollerarli lavorando su sé stesso, appare estremamente edificante.
Senonché, a conclusione della missiva, Seneca si concede una domanda ipotetica che modifica il senso di tutta la lettera, facendo scappare al lettore un sorriso.
In fin dei conti, riflette il filosofo per bocca del suo discepolo, non è che magari qualche volta sarà più vantaggioso allontanarsi dai rumori molesti?
La capitolazione alla fine della lettera è repentina, discretissima e ingloriosa:
Lo ammetto, me ne andrò da questo luogo. Ho voluto mettermi alla prova ed esercitarmi. Ma che bisogno c’è di tormentarsi più a lungo, quando Ulisse ha trovato per i suoi compagni un rimedio così facile anche contro le Sirene?
Povero Seneca: sembra proprio che, oltre certi livelli di tollerabilità, contro i rumori molesti non ci sia filosofia che tenga!