“Senatrice non senatore” è la richiesta avanzata da Aurora Floridia, senatrice (Alleanza Verdi e Sinistra), in una lettera inviata al presidente del Senato Ignazio la Russa e firmata da altri 75 senatori e senatrici per chiedere il rispetto del linguaggio di genere nell’ambito dei lavori in Aula e nelle Commissioni. Ma cosa avrà risposto il Presidente la Russa? E perché è ancora così difficile accettare l’utilizzo dei nomi femminili professionali?
Le motivazioni della lettera
La lettera inviata a La Russa, di cui Aurora Floridia è promotrice, denuncia un caso di discriminazione di genere avvenuta durante la seduta della Terza Commissione in cui la presidente, Stefania Craxi (FI), si sarebbe ripetutamente rivolta a Floridia con “senatore” invece che “senatrice”, nonostante più volte fosse stata fatta presente la volontà di essere chiamata al femminile. Un atteggiamento definito da Floridia “oltre che sgradevole, del tutto fuori dal tempo”, giustificando il fatto che “da oltre 10 anni l’Accademia della Crusca ribadisce l’opportunità di usare il genere grammaticale femminile per indicare i ruoli istituzionali, la ministra, la presidente, l’assessora, la senatrice, la deputata, ecc”.
Per Floridia si tratta quindi di “dettagli e sfumature che rivelano le pieghe di un retaggio culturale che ha avuto il suo tempo e da cui la nostra società sta faticosamente cercando di liberarsi”, e sostiene che “le parole non sono mai innocenti e quando parliamo e scriviamo, l’uso che facciamo del linguaggio riflette e influenza il nostro modo di pensare e di agire: è il principale mezzo di espressione di pregiudizi, di discriminazioni e di stereotipi, che vengono veicolati anche inconsapevolmente”.
Una giusta considerazione, se si è d’accordo sul fatto che l’emancipazione delle donne passi anche attraverso la rivendicazione del proprio nome professionale declinato al femminile. La lettera è stata firmata infatti da altri 75 senatori e senatrici tra cui tutto il gruppo AVS, PD, M5S e singoli parlamentari di Italia Viva, Autonomie e Azione. Nessuno, però, dei partiti della maggioranza di governo. Il motivo potrebbe essere rintracciato nelle parole della stessa Stefania Craxi che in risposta alle polemiche avrebbe detto che le priorità delle donne sono altre, minimizzando totalmente la questione linguistica come trascurabile e non necessariamente applicabile, neanche se richiesto.
Ma cosa ne penserà il nostro presidente del Senato, nonché destinatario della lettera, Ignazio la Russa?
La risposta del presidente del Senato non è tardata ad arrivare, anche se per semplice divagazione. Durante il suo intervento ad Atreju, la festa giovanile della destra italiana, uno dei più importanti eventi annuali organizzati da Fratelli d’Italia, il presidente la Russa, facendo riferimento alla lettera in questione, ha dichiarato che lui le senatrici le chiama senatrici, ma che “non posso venire a prendere i Presidenti di Commissione ad uno ad uno e dire come si devono chiamare le persone. Non mi pare sia un ruolo che mi appartiene”.
Una risposta che non piacerà sicuramente ai 76 senatori e senatrici firmatari della lettera che chiedeva, tra le altre cose, proprio l’intervento del presidente affinché venga garantito il rispetto del linguaggio di genere, riconoscendo il diritto di ogni senatrice di essere chiamata come tale, evitando così di veicolare pregiudizi e rafforzare stereotipi e soprattutto rispettando le richieste altrui senza rifiutarsi a prescindere, come nel caso Floridia-Craxi. Una risposta, quella di la Russa, superficiale e semplicistica, che deresponsabilizza se stesso da una questione che invece necessiterebbe la sua attenzione e il suo intervento.
D’altronde è anche vero che tra il processo per stupro del figlio e l’inchiesta di Report su alcuni rapporti discutibili della famiglia la Russa, la questione linguistica è sicuramente l’ultimo dei suoi problemi.
Perché sono importanti i femminili professionali e perché è giusto rivendicarli
Tralasciando le polemiche, per restituire la giusta attenzione e importanza alla questione fatta emergere dalla senatrice Floridia, ovvero quella della rivendicazione dei femminili professionali, bisogna ricordare quanto essi siano fondamentali per una maggiore inclusività della lingua, permettendo così alle donne di uscire dall’ombra creata dal maschile generico, spesso usato con il pretesto di una maggiore universalità e neutralità, ma che in realtà nasconde e mette in secondo piano il ruolo delle donne.
Fu Alma Sabatini, con il volume Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua del 1986, pubblicato per conto della Commissione Nazionale per la Parità e le Pari Opportunità tra Uomo e Donna e istituita dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, il punto di partenza per una riflessione sulla questione dei femminili professionali.
Sabatini mostra come la lingua italiana sia costruita, sia strutturalmente che semanticamente, a misura di maschile, lasciando il femminile in un ruolo di subalternità che si manifesta in due forme esplicite di sessismo: le dissimmetrie grammaticali, riscontrabili nella predominanza del maschile sul femminile come, ad esempio, “i fratelli” per indicare “fratelli e sorelle” o nell’uso di titoli e appellativi; le asimmetrie di tipo semantico che vengono trasmesse attraverso un uso di parole e immagini discriminatorie che veicolano e rafforzano stereotipi sessisti (es.: un uomo di mondo/una donna di mondo).
Anche le Raccomandazioni di Sabatini suscitarono non poche polemiche, in quanto percepite come inutili e poco realizzabili. In realtà, invece, si è trattato della prima volta che in Italia si affermava la necessità di un’identità femminile anche nella lingua, sottolineando un adeguamento della lingua stessa ai cambiamenti sociali in relazione all’emancipazione femminile e alla parità dei generi.
Da allora, le direttive istituzionali in merito si sono susseguite negli anni, dimostrando l’importanza dell’uso rispettoso delle differenze di genere nella lingua a livello grammaticale, lessicale e sintattico, al punto da suggerire l’abolizione del maschile inclusivo in favore dello sdoppiamento (es.: cari e care) o l’oscuramento di entrambi i generi (es.: il personale, la persona), a cui si aggiungono una serie di indicazioni su termini e espressioni da evitare nel caso in cui limitino la visibilità delle donne o rappresentino degli usi linguistici discriminatori.
Una questione di rispetto nei confronti di tutte le donne, dunque, che dovrebbe essere ricordata al nostro presidente del Senato, il cui ruolo è chiamato a dare esempio alla cittadinanza, proteggendo e sostenendo l’importanza della visibilità femminile nel linguaggio.