Il sei dicembre del 1994 , “andava in paradiso” Gian Maria Volontè, ci andava dopo la classe operaia che Elio Petri aveva provveduto a mandare nel 1971 con “La classe operaia va in paradiso“, interpretata magistralmente da Gian Maria Volontè. Nel film divenuto un Cult , Volontè interpreta Lulù, operaio a ” cottimo” che lavora in fabbrica sulla catena di montaggio. Lavora Lulù, lavora a ritmi vertiginosi, lavora più di tutti gli altri che, non riescono a stargli dietro. Il suo lavoro gli permette qualche piccola concessione, doppia famiglia, l’auto nuova e qualche vezzo. Ma, non mancano i risvolti tragici. Il lavoro azzera la sua vita sociale, diventa una prigione di cui si vuole liberare, ma della quale non può fare a meno. È una vittima del sistema, i suoi padroni lo usano, tra i suoi colleghi c’è chi lo invidia e chi lo disprezza per quel che rappresenta, il simbolo del “Servilismo“. Poi un incidente; perde il dito che, rimane incastrato nel macchinario che usa tutti i giorni, il macchinario che lui “deve amare” così come gli è stato imposto dai suoi padroni, e lui lo fa, perché sa che è quel macchinario che gli permette di aver l’auto bella, la TV e l’amante . Lulù si desta e cerca di ribellarsi , ma scopre che è troppo tardi. La menomazione non gli permette più di stare al passo con i ritmi che egli stesso aveva contributo ad imporre anche ai suoi colleghi, e viene licenziato in tronco. Intraprende la sua personale battaglia contro il lavoro a cottimo, personale perché si accorge che non c’è nessuno disposto a supportarlo; la moglie lo lascia, così come l’amante , il collettivo studentesco lo illude soltanto, e come i padroni, lo sfrutta. Per il sindacato non è un caso per cui lottare e Lulù si ritrova solo e al limite della pazzia. Alla fine riuscirà ad essere reintegrato e tutto continuerà esattamente come prima. Chissà quanti Lulù ci sono in Italia, chissà se l’italia non è essa stessa Lulù. L’italia dei padroni e dei servi, l’italia con i falsi idealismi, l’italia dei faccendieri e intrallazzatori. L’italia degli strilloni delle finte contrapposizioni, degli schieramenti intercambiabili, dei riformisti conservatori e dei conservatori progressisti, l’italia de ” una mano lava l’altra”, delle prese per i fondelli e di quelli che parlano di problemi che non gli appartengono, di quelli che pensano solo a riempirsi la tasca ed avere l’amante e l’auto nuova, che tanto ribellarsi è inutile e domani tutto torna come prima. L’Italia che resta a guardare, lascia scorrere che finché la barca va lasciala andare, l’Italia che poi tanto tra poco è natale, dell’Italia dei perdenti che però vincono comunque , di quelli che non capiscono che comunque non si vince, ma l’importante è partecipare, perché la libertà è partecipazione ? Gian Maria Volontè era un Artista Militante, lo era perché sceglieva anche nel suo lavoro le battaglie da intraprendere senza “svendersi” mai. Usava il suo talento come un’arma da mettere a disposizione di tutti:
“Io accetto un film o non lo accetto in funzione della mia concezione del cinema. E non si tratta qui di dare una definizione del cinema politico, cui non credo, perché ogni film, ogni spettacolo, è generalmente politico. Il cinema apolitico è un’invenzione dei cattivi giornalisti. Io cerco di fare film che dicano qualcosa sui meccanismi di una società come la nostra, che rispondano a una certa ricerca di un brandello di verità. Per me c’è la necessità di intendere il cinema come un mezzo di comunicazione di massa, così come il teatro, la televisione. Essere un attore è una questione di scelta che si pone innanzitutto a livello esistenziale: o si esprimono le strutture conservatrici della società e ci si accontenta di essere un robot nelle mani del potere, oppure ci si rivolge verso le componenti progressive di questa società per tentare di stabilire un rapporto rivoluzionario fra l’arte e la vita.”( Gian Maria Volontè )
Se noi tutti, a partire dai politici , applicassimo ossequiosamente questa massima, vivremmo in un paese decisamente diverso. Sicuramente non ci sarebbe stato il bisogno ad esempio, di indire un referendum per eliminare una riforma che tutti o quasi tutti quelli che “ieri” hanno votato No, e che l’altro ieri hanno proposto è votato egli stessi. Le stesse persone che oggi salgono sul carro dei vincitori, domani con un intrallazzo tenteranno un’altra via per mettere mano alla carta e noi come tanti Lulù che fino ad ora glielo abbiamo permesso, dovremo stare doppiamente attenti affinché ciò non succeda. Abbiamo una mano mozzata, con l’altra dovremmo picchiare più forte. Il problema dell’Italia non è il Renzi di turno, anch’egli è un servo. Siamo tutti impegnati a produrre e vittime dei mezzi di distrazione di massa. Ci è bastato un segno sulla scheda elettorale per sentirci migliori di ciò che siamo, ora non ci rompete le scatole, il natale è alle porte.