Il giornalismo è sotto assedio digitale e la sua sfida è la regolamentazione delle nuove tecnologie per la tutela della democrazia.
In occasione della giornata mondiale per la libertà di stampa, l’UNESCO ha deciso di dedicare particolare attenzione ai rischi connessi allo straordinario sviluppo che la tecnologia sta avendo negli ultimi anni. Il giornalismo, infatti, è oggi sotto assedio digitale.
Il dramma non riguarda solamente il passaggio dal mondo digitale a quello cartaceo, che sicuramente rappresenta una transizione tutt’altro che indolore per un’industria sempre più esposta alle amare conseguenze che la crisi sanitaria ha avuto in termini di finanziamenti e accesso all’informazione.
La vera difficoltà è che oggi censurare è più facile che mai. Non solamente, infatti, la maggior parte delle nostre ricerche avviene seguendo le istruzioni di un algoritmo, creato per massimizzare le nostre interazioni e pertanto assai poco disposto a offrire contenuti esterni al nostro orizzonte culturale, ma soprattutto la mancanza di una legislazione capace di gestire una materia nuova per la giurisprudenza, come quella digitale, rendono gli attori interessati a silenziare voci critiche più sicuri del loro successo.
L’UNESCO, nel report Freedom of Exrepression and Media Devlopment, ha presentato un’inchiesta volta a fotografare lo stato di salute della libertà di stampa nel mondo. Come ha ricordato il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Gutierrez la pandemia ha “dimostrato che la capacità di causare disinformazione su vasta scala assieme all’abilità di insidiare fatti scientificamente accertati, rappresentano un rischio alla sopravvivenza della specie umana”. In particolare, la disinformazione organizzata, elaborata grazie a strategie di marketing basate sull’immensa mole di dati ormai a disposizione, ha dimostrato di poter seriamente corrodere la società civile, particolarmente nei paesi in cui i canali di servizio pubblico sono o inesistenti o nelle mani di governi autoritari. Con la scusa poi di adottare misure volte alla tutela dei cittadini, diversi governi hanno trovato valide giustificazioni per la restrizione alla libertà di informazione. È questo il caso delle recenti legislazioni contro le fake news, adottate dalla Bielorussia nel maggio 2021, che hanno permesso al presidente Lukashenko di smantellare tutte le organizzazioni che si opponevano al suo regime.
Tra queste anche l’Associazione dei Giornalisti Bielorussi, il cui presidente, Andrei Bastunets è stato insignito del premio Guillermo Cano alla conferenza UNESCO per essersi opposto a un regime dove la sicurezza per i giornalisti semplicemente “non c’è”.
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Lo stesso premio era stato conferito nel 2016 alla giornalista azera Khadija Ismaliyova per il suo contributo nello svelare la corruzione nel suo paese. Sebbene costretta a un lungo periodo di reclusione, Ismaliyova non è mai venuta meno alla sua passione civica e investigativa tanto che oggi il suo nome è tra le centinaia di giornalisti spiati illegalmente dal software Pegasus. Un programma sviluppato inizialmente da un’agenzia antiterroristica israeliana e oggi utilizzato anche dal governo azero per minare i dati privati non solo della giornalista ma anche dei suoi 90 contatti più vicini, indifferentemente dalla professione.
In un tentativo di arginare lo scandalo che ha colpito anche alcuni paesi europei come l’Ungheria, lo scorso 25 marzo l’Unione Europea ha emanato una regolamentazione per il commercio delle tecnologia di sorveglianza considerata da molti come non proporzionata alla sfida.
Il report mostra anche come esistano ancora 160 stati in cui è possibile processare per diffamazione giornalisti, attivisti o semplicemente individui che vogliano criticare pubblicamente l’operato di ufficiali pubblici e aziende. Noti agli esperti come Stratigic Lawsuits Against Public Parteciaption (SLAPP), questi strumenti sono oggigiorno la strategia più adottata da quanti, obbligando una voce particolarmente critica a investire ingenti risorse finanziare ed emotive in cause insostenibili, puntino a promuovere l’autocensura tra tutti gli operatori dell’informazione. Una prima risposta è arrivata lo scorso 28 aprile quando la Commissione Europea ha finalmente emanato una direttiva per rispondere efficacemente a quella che a tutti gli effetti è una seria minaccia per la libertà di stampa: sta ora alle singole società civili nazionali europee chiedere a gran voce che le raccomandazioni siano adottate dalle loro legislazioni nazionali.
Se dunque l’85% del mondo ha visto una contrazione nella libertà di informazione, con un netto incremento dei giornalisti imprigionati così come delle limitazioni all’accesso alla rete, la strategia che l’UNESCO è chiamata a introdurre deve tenere presente sia dell’eterogeneità dei contesti culturali in cui si inserisce, sia dell’importanza che i governi e le piattaforme digitali rivestono nella costante contrattazione dei diritti umani.
Per tale motivo, dal 2016 l’UNESCO ha creato il Multi-Donor Program. Un progetto totalmente autonomo nell’allocazione e ricezione di fondi volti a rafforzare il mandato UNESCO a livello sia regionale che locale. Attraverso i 12 milioni di euro finora raccolti infatti, l’MDP è riuscita a sostenere progetti per la formazione giuridica di quei giudici desiderosi di avvicinare la loro legislazione nazionale ai parametri internazionali, a individuare e sostenere singoli progetti nazionali dedicati alla creazione di informazione di qualità, così come a produrre corsi online gratuiti per tutti gli attori dell’informazione desiderosi di comprendere quale postura etica e professionale adottare nelle prossime crisi che un mondo sempre più interconnesso ci impone di affrontare.
Appare dunque chiaro come la vera sfida sia oggi la regolamentazione delle nuove tecnologie, le quali, se lasciate in mano ad attori capaci di manipolarle a loro piacimento, potrebbero in ultima istanza corrodere il dibattitto pubblico, vera linfa del concetto di democrazia.