Di Andrea Umbrello
Siamo alle porte del 2022 e ad oggi continuiamo ancora a sfruttare il lavoro costringendo le persone a vivere in condizioni crudeli e disumane. Da decenni perseveriamo nel parlare di abolizione della schiavitù, ma c’è da chiedersi con quale animo illudiamo il mondo intero quando in ogni angolo si nascondono abusi e ingiustizie che prendono il nome di caporalato.
Come se tutto questo non bastasse, scopriamo che il fenomeno va combattuto all’interno del caporalato stesso. Le istituzioni non solo sono spesso incapaci di mettere in atto operazioni di coraggio per tutelare e garantire il rispetto per sventurati uomini e donne che chiedono di riconoscere i propri diritti e la propria decenza attraverso lo svolgimento del proprio lavoro, ma sono gli stessi organi di sorveglianza a incentivare la diffusione del fenomeno e il dramma sociale che ne consegue.
È il caso di Rosalba Bisceglia, moglie di Michele Di Bari, fino a ieri a capo del Dipartimento per l’Immigrazione del Viminale. Di Bari ha consegnato le proprie dimissioni a seguito delle accuse, da parte della procura di Foggia, nei confronti della moglie per sfruttamento di numerosi braccianti africani che alloggiavano nella baraccopoli di Borgo Mezzanone in Puglia. Insieme alla Bisceglia, la misura cautelare ha raggiunto altre 15 persone che operavano in dieci aziende agricole con un volume d’affari complessivo che superava i 5 milioni di euro l’anno.
Gli schiavi, perché è di questo che stiamo parlando, vivevano in pessime condizioni igienico sanitarie e percepivano, in cambio delle loro fatiche in mezzo ai campi, 5 euro per ogni cassone di pomodori riempito. Inoltre, è stato accertato che, una volta trasportati sul luogo di lavoro attraverso mezzi non idonei e pericolosi per la circolazione stradale, lavoravano privi dei previsti dispositivi di sicurezza e sotto controllo serrato senza possibilità di concedersi una pausa.
Le 16 persone indagate, erano riuscite a creare un apparato che partiva dall’individuazione della forza lavoro necessaria per la lavorazione dei campi e arrivava al sistema di pagamento, risultato palesemente discordante rispetto alla retribuzione stabilita dal CCNL.
Le indagini continuano, ma secondo la procura non ci sono dubbi: Rosalba Bisceglia era consapevole delle modalità delle condotta di reclutamento e sfruttamento dei migranti.
Per quanto riguarda Michele Di Bari, vorrei confrontare alcune sue dichiarazioni che permettono di sottolineare ulteriormente la tragicità di un sistema che fatica a scindere i cattivi dai buoni e che implacabilmente continua a opprimere migliaia di persone.
Nel novembre 2016, riferendosi alle condizioni tuttora invariate nella tendopoli di San Ferdinando a Gioia Tauro, l’allora prefetto di Reggio Calabria Michele Di Bari dichiarava:
“La scommessa dello Stato è estirpare le sacche di illegalità come lo sfruttamento della manodopera. Una sfida avviata da tempo e portata avanti in modo sinergico per concretizzare soluzioni e azioni di prevenzione incisive, soprattutto in contesti caratterizzati da endemici fenomeni di illegalità”
Oggi, a seguito della vicenda che vede implicata la moglie si dice desideroso di precisare il dispiacere per la moglie, che ha sempre assunto comportamenti improntati al rispetto della legalità.
Vedremo come evolveranno le indagini, intanto, caro Di Bari, le uniche vere vittime di questa vicenda rimangono i soliti schiavi mercificati dalle crudeli regole del caporalato.
Forse avresti potuto spendere qualche parola anche su questo.