Se Assange muore, la verità pure

“Se la gente viene bombardata di idiozie patriottiche è facile che maturi una visione di sé stessa e del mondo che diventa pericolosa per l’umanità intera” ha detto Noam Chomsky.

Non è un caso, purtroppo, se chi ha contro-bombardato la gente con la verità nuda e cruda, come Julian Assange, oggi marcisca in galera.

Julian, fondatore ed editore di WikiLeaks, dopo un calvario di sette anni rinchiuso nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, dove gli era stato riconosciuto l’asilo politico ma era stato filmato e intercettato 24 ore su 24 dai servizi segreti americani, non ha potuto mai curarsi adeguatamente né difendersi legalmente e gli è stato negato anche il diritto più elementare: quello di esporre la faccia al sole. Oggi è rinchiuso come un criminale nel carcere di alta sicurezza di Belmarsh, nel Regno Unito, in attesa di essere estradato e processato negli Stati Uniti. Per aver scoperto e resi di pubblico dominio migliaia di documenti top secret sulle guerre degli angloamericani in Afghanistan e in Iraq, -a testimonianza che in entrambe quelle guerre si trattò quasi di un genocidio-, o per aver pubblicato le mail in entrata e in uscita della Clinton quando era segretaria di Stato, Julian Assange rischia dai 175 anni di carcere fino alla pena capitale.

Questo quarantottenne che resterà nella storia del giornalismo di tutti i tempi, se verrà giudicato colpevole e ulteriormente condannato, porterà sulla croce anche il nostro diritto a essere informati su tutto, sempre, con trasparenza e con la massima verità possibile. In quanti rischieranno in futuro la galera o il boia per informarci come lui sui crimini di guerra e sui casi di tortura? Non si può più tacere né lasciarsi abbindolare dagli imbonitori degli Stati complici della sua detenzione forzata. Ma che mondo oscuro e orribile stiamo tramandando ai nostri figli? La verità va difesa e pretesa, sempre, perché nessuno ce la regala, tanto meno i servizi segreti di governi in servizio di guerra permanente.

Nils Melzer, l’inviato speciale delle Nazioni Unite contro la tortura, dopo avere indagato il caso del reporter pericolo pubblico N.1, ha scritto:

“Mi sono reso conto che ero stato accecato dalla propaganda e che Assange è stato sistematicamente denigrato per distogliere l’attenzione dai crimini che ha denunciato. Una volta spogliato della sua umanità tramite l’isolamento, la diffamazione e la derisione, come si faceva con le streghe bruciate sui roghi, è stato facile privarlo dei suoi diritti più fondamentali senza suscitare l’indignazione dell’opinione pubblica mondiale. (…) In vent’anni di attività a contatto con vittime di guerra, violenza e persecuzione politica, non ho mai visto un gruppo di Paesi democratici in combutta per deliberatamente isolare, demonizzare e violare i diritti di un singolo individuo così a lungo e con così poca considerazione per la dignità umana e lo Stato di diritto”

Quando scrivo per sensibilizzare la nostra fuggevole attenzione sulle prepotenze del potere (quella perpetrata su Julian Assange non è soltanto un abominio nei suoi confronti ma comporta una ricaduta catastrofica sulla libertà di stampa) in molti mi rispondete: «Sì ma noi che possiamo farci?». È umanamente comprensibile ma denuncia l’inconsapevolezza della forza che la volontà popolare ha sui governi per farli soprassedere dai loro soprusi. La Storia ce lo ha dimostrato tante volte. Ma prima ancora di questo, ritengo fondamentale non distogliere mai lo sguardo dagli orrori del nostro tempo, anche se fa male, perché tenere aperta questa finestra interiore sui soprusi, sul martirio degli altri, sulla prepotenza dei singoli o delle istituzioni, contribuisce a dotarci di una muscolatura civile e spirituale.

Senza questa forza interiore restiamo da soli ai margini della Storia e cadiamo in un letargo fatale. In tempi così neri e disperanti come i nostri, dovremmo tutti ispirarci, invece, al modello della “persona esemplare” descritto da Confucio, chiave di ogni rivolta interiore, ossia “Colui che continua a provarci, pur sapendo che non c’è più speranza”. E provare a liberare Julian Assange, prima di tutto dal carcere del nostro cuore indifferente, è il primo passo di una rivolta contro la sua ingiustificata detenzione.

 

Diego Cugia
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