Lo spirito del Buddhismo Zen è famoso per essere applicabile a ogni genere di attività umana. Inclusa la scrittura. Ne parla Natalie Goldberg, autrice americana, poetessa e pittrice. È studiosa e praticante zen da decenni; è stata allieva di Dainin Katagiri Roshi. Tiene corsi di scrittura creativa, che ha trasformato in tecnica di meditazione. Dalla sua esperienza, è nato: Scrivere zen. Manuale di scrittura creativa, Roma 1987, Astrolabio-Ubaldini Editore.
“Dedicarsi alla pratica della scrittura significa, in ultima analisi, occuparsi della propria esistenza nella sua interezza. Se qualcuno ci spiega come si fa a ridurre una frattura alla gamba, non si possono usare quelle stesse spiegazioni per fare un’otturazione a un dente cariato. […] Certe tecniche sono adatte a certi momenti, altre ad altri momenti. Ogni istante è diverso. Cose diverse funzionano ugualmente. Non è affatto detto che una sia giusta e l’altra sbagliata.” (p. 13)
Il libro comincia con la “vertigine della prima volta”: quella che prende non solo i principianti, ma anche chi si appresta a insegnare loro. Si tratta, in ogni caso, di ricominciare: prendere carta e penna e cominciare un nuovo viaggio senza mappe. Ciò che importa, nella scelta dei materiali, è la confidenza: debbono darci l’idea di poter scrivere le peggiori schifezze e che vada bene così, di poter riempire un quaderno e passare a un altro, di poterli portare con noi ovunque.
Molto raccomandato dalla Goldberg è l’esercizio a tempo: l’incombere della scadenza fa sì che non si indugi nei perfezionismi e che, sulla carta, si fissino pensieri autentici, così carichi di energia da farci male.
“I primi pensieri hanno un’energia incredibile. Sono il modo in cui la mente illumina qualcosa con un improvviso lampo di luce. Il censore interno poi di solito si affretta a reprimerli, ed è così che viviamo nel mondo dei secondi e terzi pensieri, pensieri a proposito di pensieri, a due o tre livelli di distanza dalla connessione immediata stabilita dal primo lampo. Mettiamo ad esempio che mi sia balenata alla mente la frase: ‘Mi tagliai la margherita della gola’. Ora, il mio secondo pensiero, grazie a un costante addestramento alla logica dell’1+1=2, per educazione, paura o imbarazzo di fronte alla spontaneità, sarebbe: ‘È ridicolo. Suona come un suicidio, come una che si taglia la gola. Non si può. Ti prenderebbero per pazza.’” (p. 19)
I “primi pensieri” sono l’ispirazione, l’illuminazione. Possono farci piangere e farci attraversare le lacrime, per poi vedere il mondo più vivo di prima. Per fissarli su carta, occorre dare fiducia alla propria mente e al proprio corpo e anche non spaventarsi, se non riusciamo a estrarre meraviglie. Bisogna anche accettare il fatto che occorra tempo, prima che le esperienze di vita si sedimentino dentro di noi e siano pronte per venir scritte. Anche le “schifezze” accumulate dentro di noi hanno bisogno di essere ascoltate e guardate in faccia. Il talento e le capacità sbocciano solo con l’esercizio. Affrontata in questo modo, la scrittura conduce all’equilibrio interiore.
Siamo abituati a dire verba volant, scripta manent. Ma la Goldberg ci mostra che anche gli scripta volant, eccome.
“Noi scriviamo nell’attimo presente. […] io e le mie poesie non siamo la stessa cosa, anche se parlo in prima persona. Erano i miei pensieri, la mia mano, la situazione e le emozioni del momento in cui scrivevo. Osserviamoci. Noi cambiamo in continuazione. È una grandissima opportunità. In qualsiasi momento possiamo abbandonare la nostra personalità irrigidita, le nostre vecchie idee e ricominciare da capo. Ecco cosa vuol dire scrivere. […] Quelle parole rappresentano un momento importante che ci ha attraversati. Eravamo desti, e scrivendone siamo riusciti a catturarlo.” (pp. 40-41)
Questa percezione fluida della realtà dà senso anche alla metafora, espressione della capacità di “vedere in trasparenza”. La metafora è coraggio di uscire dal modo preconcetto di vedere le cose. La Goldberg invita continuamente a darsi tempo, a dare spazio alle proprie ossessioni, a non forzare la mano nel voler creare libri o poesie. Anche i dettagli concreti contano: cambiare il giubbotto o il rossetto che portiamo può darci un’altra prospettiva da cui scrivere. “Stare dentro” le situazioni, notare i dettagli, esprimere i nostri sogni segreti, fare liste di semplici argomenti… sono tutti suggerimenti per “scrivere zen”. A volte, bisogna anche “usare la spada dei samurai” per tagliare fronzoli e divagazioni.
Affrontata in questo modo, la scrittura diviene un modo di stare al mondo. Un modo fondato sull’aprirsi a ogni aspetto dell’esistente, vedendolo intero e vedendosi interi. Scrivere come religione, nel senso pieno del termine. Non a caso, il titolo originale del manuale è Writing Down the Bones. Freeing the Writer Within: “Scrivere fino alle ossa. Liberare lo scrittore dall’interno”.
Erica Gazzoldi