Sottoposto alle molteplici tensioni del mondo digitale, il nostro linguaggio è cambiato radicalmente. Emoji, slang, abbreviazioni, ma non solo: fra sistemi di correzione automatica, proposte di inclusività e modelli linguistici capaci di prendere il nostro testo e riformularlo come meglio preferiamo, la scrittura di oggi è profondamente diversa da quella di ieri
La macchina che scrive: Come la scrittura digitale ha cambiato i nostri modi di esprimerci – Impoverimento del linguaggio. Più che un’affermazione una costante, usata in scuole come discussioni al bar per lamentarsi di una sempre presente e millantata deriva generazionale. Eppure, mai come nel periodo contemporaneo, si produce scrittura: la mole della nostra comunicazione contemporanea avviene per iscritto, via messaggi, email di lavoro, post e commenti.
L’era digitale e l’avvento dei social media hanno infatti causato un surplus di testi, una vera e propria esondazione di parole, nella spinta all’espressione e alla condivisione. E la lingua è cambiata, alterandosi secondo le tendenze di un mondo veloce e sempre soggetto a riverdersi e modificarsi.
Nel bene e nel male, la situazione del mondo attuale è quella di una lingua che richiede attenzione, invece che denigrazione, per osservare i suoi cambiamenti e, soprattutto, sapere come meglio comportarsi.
Scrittura digitale e oralità scritta
Partiamo con un’importante premessa: l’ambiente online è quello dove principalmente si esercita la scrittura. Post, commenti, messaggi, email sono i luoghi dove, esternamente al mondo del lavoro, avviene il fulcro della comunicazione contemporanea. A questo riguardo, la scrittura digitale presenta una forma particolare, rompendo molte regole del linguaggio scritto come precedentemente inteso.
L’adattarsi della lingua a uno specifico mezzo di comunicazione viene definito in linguistica come variazione diamesica. Si tratta, per farla breve, di quei cambiamenti nel sistema di linguaggio che differenziano il parlato (accompagnato da gestualità, suoni, accentuazioni) dallo scritto, ad esempio, di una lettera o di una email.
La scrittura digitale infrange in un certo senso molte delle regole che solitamente distinguono le due varianti: l’aspetto più evidente è quello che troviamo nei commenti a un post qualunque su, per dire, Facebook. Facciamo un esempio.
Il commento di sopra ha una serie di elementi in sé molto interessanti. Attraverso le emoji e la quantità industriale di punti di sospensione, precisa un intento e un livello di emotività del messaggio. Comunica, attraverso la scrittura, qualcosa di orale, usando la punteggiatura e le emoji come un surrogato di gestualità e di un sistema di pause.
Ma non solo: leggendo il commento, un lettore accorto può fare una serie di supposizioni su chi lo stia scrivendo, sulla sua età, sul suo livello di istruzione, su quanto competente sia relativamente all’etichetta degli ambienti online. Sappiamo, senza nemmeno pensarci, che l’uso sovrabbondante di segni diacritici (punti di sospensione, esclamativi, etc.) è quasi unicamente usato da chi non è un nativo digitale, presumibilmente nato prima degli anni ’90.
Il discorso si confonde ulteriormente se si considera che questo approccio all’oralità non è mai uniforme: prendiamo un post Instagram del quotidiano “Il Post”. La didascalia dell’articolo, anche se spesso più colloquiale di altri giornali, adotta un livello “più alto” di scrittura, pur usando i sistemi dei social media. Ma nei commenti è presente una mole variegatissima di oralità scritta che, pur non sfociando mai nel parlato un po’ sproloquiante del commento facebook sopra riportato, alterna la condizione di un uso consapevole della scrittura a un bisogno di comunicazione diretta e orizzontale. Differentemente dalle vecchie generazioni, le nuove presentano solitamente una grande attenzione all’essere, prima di tutto, concise, limitandosi a un’economia di messaggio.
Etichetta e feedback istantaneo
La comunicazione scritta online è quindi costantemente ibridata da una serie di fattori che si mischiano fra loro: differenti stili di conversazione si intercalano fra di loro in un caos ordinato. Il feedback diretto dei like permette infatti di premiare chi “meglio” esprime le proprie opinioni in una maniera non solo consona, ma in grado di far sì che altre persone si sentano rappresentate da ciò che si è scritto.
Una buona capacità di scrittura, concisa ed iconica, viene allora premiata quasi istantaneamente. Vari studi affermano che il sistema di like dei social media contribuisce a un rilascio di dopamina e a una sensazione di felicità e accomplishment. I like ottenuti dipendono da una molteplicità di fattori, fra cui la comunità in cui ci si trova (criticare un politico all’interno del suo gruppo Facebook avrà chiaramente un diverso tipo di reazione che in un altro ambiente), il pregio dell’utente (alcuni social media esplicitano il livello di engagement che un determinato individuo ha all’interno di un gruppo) ma anche e soprattutto il rispetto di alcune norme di comportamento online, la netiquette. Insultare altri membri del gruppo o usare termini offensivi sarà punito con un ban, ad esempio, così come una scrittura maldestra sarà pressoché ignorata.
Si tratta di regole insomma che, a livello teorico, dovrebbero permettere a chi scrivere di migliorare le proprie capacità comunicative in ambienti esterni a quello scolastico. Pur non osservando le stesse norme di un tema o di un elaborato, la valutazione orizzontale degli altri utenti ha un’indubbia utilità ad allenare alla comunicazione.
Un grosso danno però a questa concezione di educazione extrascolastica è la progressiva rimozione dei dislike dai social media, ossia di quel sistema di feedback in negativo che permette invece la critica a un determinato tipo di contenuto. La scelta, a livello corporativo, di togliere la possibilità ai propri utenti di devalorizzare determinati tipi di contenuto è dovuta a questioni di percezione esterna: i social media sono in primo luogo prodotti, fatti per vendere e vendersi, e la negatività di sicuro non aiuta nel farlo. Prospetti di utilità e di educazione risultano quindi sempre secondari e facoltativi. Un esempio lampante di ciò è la controversa rimozione su YouTube della “dislike ratio” ossia di quella parte dell’interfaccia che permetteva immediatamente allo spettatore di osservare quanto un video fosse stato accolto o meno dagli utenti sulla piattaforma.
Nondimeno, il feedback negativo, per via della natura stessa di internet (e forse, in generale, umana) trova sempre i suoi modi di espressione. La reazione “😂” su Facebook ha assunto il valore di una ridicolizzazione del messaggio, anche se resta molto confusa nel suo utilizzo.
Post-ironia e dog-whistle nella scrittura digitale
La netiquette si evolve e cambia a velocità a volte spaventose. Si prenda “🙂” La prima e più usata emoji in generale. Usata nel primo decennio del 2000 per esprimere felicità o tranquillità, il suo valore comunicativo adesso è quasi del tutto opposto: nel momento in cui alla scrittura si è integrato un sistema variopinto di immagini e GIF, la “smiling emoji” ha perso il suo originale significato ed è diventata sinonimo di passivo-aggressività.
Il cambiamento di significato dell’emoji è dovuto, in parte, al fatto che gran parte della scrittura digitale di oggi è di stampo post-ironico. La post-ironia è uno stato di comunicazione in cui risulta difficile capire se l’intento del messaggio scritto è o meno ironico. La difficoltà nel percepire se un testo sia o meno da prendersi sul serio è infatti fra i principali limiti della scrittura digitale.
Alcune netiquette contengono gli effetti della post-ironia prevedendo una segnalazione della serietà o meno del messaggio: su Reddit viene usata spesso a fine di frase la formula “/s” per indicare quando il messaggio scritto è inteso come sarcastico, ad esempio.
La post-ironia nella scrittura digitale funziona inoltre come un velo di negabilità plausibile per chi scrive, non troppo distante dal “stavo solo scherzando” o “prenditi meno sul serio” del parlato, può essere utilizzata per mascherare intenti e opinioni nelle maglie della viralità e della condivisione. Prova di ciò sono i numerosi commenti omofobici o transfobici scritti a mo’ di battute che circolano in rete o, per fare un esempio diretto, a certi tipi di meme che segnalano un’intesa fra membri di una determinata comunità, chiamati dog-whistle.
I dog-whistle sono forme di espressione di concetti reputati a livello sociale come inaccettabili, e dunque spesso – anche se non sempre – mascherati da forti livelli di post-ironia. Alcuni dog-whistle nazisti, ad esempio, prevedono di inserire la data di nascita di Hitler in contesti comici, o di codificare messaggi antisemiti come “caccia agli gnomi” sui social media.
Il linguaggio inclusivo nella scrittura digitale e l’influenza della lingua inglese
Il linguaggio inclusivo è fra i punti più controversi della società contemporanea. La maggiore sensibilità verso tematiche di inclusività, ad esempio, di individui gender-fluid o verso cui si preferisce non indicare il genere, ha causato spinte piuttosto radicali e veloci a livello di espressione, specialmente online. A smuovere le acque è stato l’inglese, lingua franca della comunicazione quotidiana e onnipresente nell’ambiente digitale.
La questione dei pronomi si è in seguito innestata sopra la lingua italiana in maniera pervasiva, tanto che non è raro trovare sulle biografie online la scelta di definirsi come “he/him” “she/her” o “they/them” (esistono in realtà numerosi altri pronomi, ma la questione risulterebbe troppo voluminosa da affrontare in questo articolo). L’inclusione del pronome neutro “They/them” (o “ze/zir”) è un elegante manifestazione di come la lingua inglese si adatti facilmente alla contemporaneità per via dello scarso impatto del genere a livello sintattico e grammaticale.
Non così per la lingua italiana. Nell’ inglese “He is a great friend, he came to my house yesterday” ad indicare il genere è solo il pronome, dove in italiano la stessa frase “lui è un grande amico, è venuto a casa mia ieri” integra il maschile in più parti.
Entra in gioco il suffisso neutro (di varie tipologie, fra le più usate l’asterisco, “*” o la schwa, “ə”). Proposto per la prima volta da Luca Boschetto è inteso come simbolo per indicare una non-identificazione nel genere maschile o femminile, ed è usato prevalentemente online. la frase di prima diventa allora “L*i è un* grande amic*, è venut* a casa mia ieri”. Teoricamente il neutro può corrispondere a varie pronunce, dall’ “u” (desinenza di origine latina) alla vocale muta già presente alcuni dialetti italiani, fra cui il campano.
Ciò che affascina del suffisso neutro è la sua adozione prevalentemente proprio a livello di scrittura digitale e il grado di meccanicità che invece richiede nel parlato. Anche se non impossibile, come segnalato nell’articolo Treccani citato poco sopra, l’utilizzo del neutro in lingua italiana prevede una sostanziale revisione del nostro approccio alla comunicazione, limitandoci all’uso del suffisso neutro quando necessario, e tentando di usare il più possibile un lessico che eviti riferimenti di genere.
Dove dunque prima si era detto di una non indifferente influenza della comunicazione orale nella scrittura digitale, è altrettanto vero che integrazioni come quella del neutro se ne allontanino, intendendo anzi integrarsi ad essa.
Iper-individualismo ed espressione del sé nella scrittura digitale
Il motto Express Yourself è emblema di un approccio comunicativo estremamente individualista. Uno dei concetti cardine della comunicazione online è infatti la relatability, ossia la capacità di contenuto di relazionarsi con chi lo sta consumando.
I Social Network vivono quindi di un sentimento di comunità particolare, dove l’Altro esiste in relazione a quanto vicino ciò che dice è al mondo emotivo dell’utente. La comunicazione digitale è fortemente orientata all’ “Io”, attraverso la cura di biografie e pagine personali, di condivisione della propria vita e del proprio mondo.
Per questo motivo, così come per il prima citato processo di valutazione dei pari attraverso like e visibilità, la lingua è diventata uno strumento di autodeterminazione, distanziandosi in maniera significativa dalle precedenti funzioni comunitarie.
Non soprende allora che il mondo dei social sia costellato di discussioni e litigi sterili, dove la comunicazione è raramente diretta a uno scambio di opinioni, ma a una valorizzazione del proprio punto di vista.
Correttori automatici, Grammarly e ChatGPT, aiutanti o sostituti?
Dove dunque si millanta una povertà di linguaggio delle nuove generazioni, la realtà effettiva è che i livelli di comunicazione scritta si sono stratificati a un livello tale da essere soggetto a un’infinità di confusioni. Il giovane di oggi si trova a bilanciare livelli di scrittura e comunicazione di complessità senza precedenti. Da un lato – quello scolastico e lavorativo – aderisce a forme di scrittura e comunicazione istituzionalmente intese, regolati da norme rigide e verticali, e dall’altro pratica costantemente forme di linguaggio e comunicazione che variano in continuazione e richiedono da parte sua un’attenzione a una molteplicità di contesti e situazioni.
A supporto di quest’architettura linguistica complessa, la scrittura contemporanea è costantemente coadiuvata da sistemi di correzione e revisione automatica, caratterizzati da diversi livelli di intrusività, e il cui effetto su come scriviamo e ci esprimiamo è tuttora piuttosto incerto. Per il computer, è onnipresente il review tool, che segnala quali parole non appaiono all’interno del suo vocabolario, o che suggerisce leggeri cambiamenti alla sintassi per una maggiore chiarezza. Gli strumenti di revisione sono tecnologie a cui siamo così abituati da non dubitare del loro funzionamento o della loro efficacia e, effettivamente, si dimostrano spesso utili al fine di rimediare nell’immediato ai problemi di digitazione o ai più banali errori di distrazione.
Già diverso è il ruolo del correttore automatico presente di default nella messaggistica su telefono, il quale prevede la parola digitata tanto da suggerire autonomamente quale sia il prossimo termine da utilizzare all’interno della frase. Nello scopo di ridurre il tempo di scrittura, lo strumento si sostituisce parzialmente all’input umano.
La diffusione dei Large Language Models permette in compenso di sostituire quasi integralmente il ruolo dello scrittore nella creazione di messaggi complessi. Applicazioni come Grammarly, uno strumento di revisione basato su modelli generativi, è capace di rielaborare un testo e proporre suggerimenti complessi al fine di renderlo più corente, leggibile, più adatto a un determinato tipo di contesto. Lo stesso discorso è valido per ChatGPT, che fra i primi utilizzi en masse è stato adottato da studenti di tutto il mondo occidentale per scrivere al posto loro testi scolastici.
Nonostante numerosi articoli discutano di come tali tecnologie abbiano un effetto benefico sulle capacità di scrittura dei ragazzi, non si può che considerare la questione dell’avere uno strumento capace di sostituirsi nella (quasi) totalità al lavoro di scrittura sia, per lo meno, discutibile. La scrittura ha valore esternamente alla produzione del testo stesso, e dovrebbe nel suo esercizio garantire un’autonomia di pensiero e ragionamento. Non solo: il fatto che sistemi come Grammarly siano freemium, ovvero permettano di essere usati pienamente solo attraverso un pagamento mensile, dovrebbe invitarci al considerare come il supporto tecnologico alle nostre capacità di comunicazione non dovrebbe essere ristretto a un pubblico pagante.
Scrittura digitale: ricchezza (e) impoverimento del linguaggio
Per tirare le somme di questa breve analisi di situazioni che richiederebbero ciascuna un saggio per essere osservate nel dettaglio, l’italiano di oggi è una lingua infinitamente più varia di come non fosse anche solo vent’anni fa. L’impianto digitale ha aggiunto una quantità quasi infinita di accezioni e di modi linguistici differenti, si è integrata alla tecnologia, ha ibridato l’italiano con altre lingue, con immagini e GIF, si è arricchita di tematiche squisitamente provenienti dal mondo digitale.
Nella varietà di ciò si è andata a perdere, forse, la profondità. Trattandosi di medium dal consumo veloce e subitaneo, il contenuto proposto online è caraterizzato da una mentalità di voracità e digestibilità. Regna online l’aforisma, la poesia breve e brevissima, la divulgazione in pillole, l’articolo giornalistico di cinquecento parole e dai periodi incisivi e corti.
Il mondo digitale è un mondo fatto di distrazione, dove fra le regole regnanti vi è quella di una retorica che deve fare di tutto per catturare l’attenzione dell’utente: se un link non apre una pagina in meno di cinque secondi, sarà chiusa. Se un saggio parte con un’introduzione troppo lunga, sarà abbandonato. La presenza di contenuti su contenuti ostacola la concentrazione su un singolo oggetto.
Ci troviamo allora davanti a un nuovo italiano colorato e variegatissimo, ma indisposto a dare e darsi tempo. Il rischio è di avere una comunicazione della vastità dell’oceano e della profondità di una pozzanghera, capace di abbracciare tematiche sociali importanti e allo stesso tempo di non dare la disponibilità di rifletterci sopra, di presentarle nella maniera complessa che un argomento complesso, in sé, merita.