I tempi della guerra al fascismo sulle montagne sono finiti. Ma la memoria della Resistenza è viva, grazie anche agli scrittori partigiani.
Sono stati molti gli scrittori partigiani che ci hanno raccontato i tristi tempi del fascismo, ma più di una menzione la meritano Calvino, Pavese e Fenoglio.
Italo Calvino è stato partigiano in giovane età, essendo nato nel 1923. Nonostante questo, come ben sappiamo, c’erano combattenti ancora più giovani negli schieramenti dei guerrieri delle montagne. A seguito della chiamata alle armi da parte della Repubblica Sociale Italiana, Calvino decise di rimanere nascosto, per poi unirsi alle formazioni partigiane, cambiando diverse volte formazione. Fino al 1944, quando venne arrestato ma per un caso fortuito riuscì a salvarsi. Costretto ad arruolarsi nell’esercito repubblichino, riuscì poi a fuggire e raggiungere la quinta brigata Garibaldi.
Questa esperienza autobiografica forte lo ha senza dubbio segnato, e spinto a parlare di quella che è stata la resistenza sia nei numerosi articoli di giornale, sia all’interno della sua produzione letteraria.
Si pensi in primo luogo al suo romanzo d’esordio, Il sentiero dei nidi di ragno, scritto nel 1946 e pubblicato nel 1947. Nell’interessantissimo intreccio tra neorealismo e dimensione fantastica, la lotta partigiana è vista attraverso lo sguardo di un bambino di dieci anni, Pin. Uno sguardo che ci racconta di un mondo fatto di adulti, con tutte le difficoltà legate alla vita umane e, di più, a quelle della storia. Incontriamo così personaggi che sposano la causa con religiosità, come Lupo Rosso, e altri che invece tradiscono i compagni, come Pelle. La resistenza è sia lo sfondo delle vicende che la protagonista, senza che ci sia tra quest’ultima e la vita di Pin una lotta di supremazia.
Un altro autore che ha lasciato traccia è senza dubbio Beppe Fenoglio, che si unì alle formazioni partigiane nel 1944, passando dalle brigate Garibaldi agli autonomi del primo gruppo divisioni alpine.
E’ ricordato anche per aver preso parte alla breve esperienza della Repubblica Partigiana di Alba, tra il 10 Ottobre e il 2 Novembre 1944. Oltre ad aver combattuto, grazie alla sua conoscenza della lingua inglese svolse il ruolo di interprete con le forze angloamericane.
Parlandoci della resistenza, ci racconta le ideologie che guidavano i combattenti, e allo stesso modo ci descrive uomini tanto determinati quanto fallaci, restituendoci romanzi considerati capisaldi come Una questione Privata e Il Partigiano Johnny, entrambi pubblicati postumi.
Quando il pensiero va agli scrittori partigiani, non può non incappare anche in un altro nome più che autorevole della letteratura italiana: quello di Cesare Pavese. Sebbene non abbia partecipato attivamente ai combattimenti, ha restituito uno sguardo dei tempi, ed è stato antifascista. Tanto che è stato visto un interessante parallelismo proprio con Fenoglio.
Nato nel 1908, appartiene ad una generazione più matura rispetto a quella di Calvino e Fenoglio. Arrestato perché in possesso di un documento antifascista, che per altro non era sua, fu mandato per tre anni al confino. Romanzi come La Casa in Collina e la Luna e i Falò ci permettono di avere uno spaccato dell’Italia degli anni ’40. La Luna e i Falò è un romanzo di memoria, di nostalgia, di vita. E la lotta partigiana ne è parte fondamentale e integrante. Il portavoce di quei tempi è Nuto, che spiega l’inevitabilità di questa:
Non avrebbe mai chiesto se quella guerra era servita a qualcosa. Bisognava farla, era stato destino così. Nuto l’ha molto quest’idea che una cosa che deve succedere interessa a tutti quanti, che il mondo è mal fatto e bisogna rifarlo.
Per far sì che questa guerra sia servita a qualcosa, bisogna ricordare il potere della memoria, soprattutto quella scritta. Per questo è doveroso ringraziare gli scrittori partigiani, e non dimenticarci mai né di loro né di chi ha combattuto e combatte contro il fascismo, ieri come oggi.
Sofia Dora Chilleri