Scozia alle urne: la premier Sturgeon le ha definite le “elezioni più importante della storia” e sul voto pesano diverse incognite. Dalla pandemia al voto per posta, dai sedicenni che votano per la prima volta alla Brexit. La vittoria del partito al governo – lo Scottish National Party – non sembra essere in discussione, ma la misura del consenso sarà fondamentale per gli scenari del dopo voto.
Da William Wallace alla Brexit
Quello tra Inghilterra e Scozia è un rapporto secolare e turbolento. Terra di frontiera, difficilmente conquistabile e spesso contesa. Da quando Robert Bruce sconfisse il re inglese Edoardo II Plantagento nella battaglia di Bannockburn nel 1314, fino al 2014. In quell’anno un referendum sancì la permanenza all’interno della Gran Bretagna con il 55,3% dei voti. Politicamente sembra un’epoca fa, lontana quanto le lotte tra scoti, angli, pitti e britanni e dalle rivolte guidate da William Wallace. Scozia alle urne dunque, oggi – 6 maggio – per rinnovare il suo Parlamento. Sui risultati, secondo tutti gli analisti e i politologi, peseranno sicuramente gli effetti della Brexit.
Quando nel 2016 la Gran Bretagna votò per uscire dall’Unione Europea, le urne scozzesi diedero un responso differente. La maggioranza – oltre il 60% – votò “stay”, ma dovette conformarsi al verdetto nazionale che diede inizio al processo di Brexit. Da allora la rivalità tra il premier inglese Boris Jhonson e il capo della maggioranza scozzese, la premier Nicola Sturgeon, si è fatta sempre più aspra. La Sturgeon guida il partito SNP (Scottish National Party), gli indipendentisti scozzesi, initerrottamente al governo da tre mandati. Fondato nel 1934, lo Scottish National Party ha sempre seguito una linea politica che consiste nello sfruttare tutte le possibilità offerte dal sistema politico britannico, soprattutto la partecipazione alle elezioni – amministrative, politiche, europee – per ottenere sempre più autonomia.
Il suo consenso è andato in crescendo, soprattutto negli ultimi anni, fino al già citato referendum, che segnò una battuta d’arresto per lo SNP. L’idea di una indipendenza da Londra sembrava essere finita in soffitta. Fino alla Brexit. Da quando il processo di separazione dall’Unione Europa è iniziato, gli scozzesi favorevoli ad una Scozia indipendente sono aumentati. La Scozia alle urne quest’oggi potrebbe confermare in modo decisivo questa tendenza.
La premier scozzese fa all-in
La Sturgeon, senza mezzi termini, ha definito quelle di oggi le “elezioni più importanti della storia” contribuendo a sottolineare come queste elezioni si presentino quasi come un “referendum sul referendum”. D’altra parte la Sturgeon ha già affermato di voler chiedere un altro referendum, facendo leva proprio sulla chiara volontà degli scozzesi di voler continuare ad essere parte dell’Unione Europea. ‘La Gran Bretagna non può trascinarci fuori dall’Europa’: questo, sostanzialmente, il concetto espresso più volte dalla premier scozzese.
Europeisti vs. unionisti
Il sentimento europeista degli scozzesi ha radici antiche e ragioni sociali. La sua collocazione comunque periferica all’interno del territorio britannico, in un contesto che, in un passato nemmeno troppo lontano, si è configurato come un vero e proprio sfruttamento, fa sì che la Scozia aspiri ad un’integrazione all’interno di dinamiche politiche ed economiche maggiori. Inoltre, la possibilità di gestire in autonomia – qualora si verificasse la scissione – i rapporti con l’UE, sia dal punto di vista politico che da quello economico, funziona da incentivo per una separazione da Londra.
D’altra parte, gli unionisti, ribadiscono la volontà di confermare un’unità a loro dire imprescindibile: sia per tradizione, che per senso di appartenenza, sia – soprattutto – come collocazione politica ed economica sicura e stabile. In sostanza, Londra viene vista dai conservatori come un partner più affidabile dell’Europa. Per questo motivo la Scozia alle urne richiama l’attenzione di tutti i politici europei. Si tratta non più del tradizionale scontro tra unionisti ed indipendentisti, ma di un più politicamente rilevante europeisti contro anti europeisti.
Non chi, ma quanto
La vittoria dello SNP non sembra in discussione. Ma ad essere importante sarà quanto larga sarà l’affermazione del partito della Sturgeon. Nel caso conquistasse la maggioranza assoluta, il referendum sarà in cima alle voci dell’agenda politica. In caso di governo di coalizione, la questione sarebbe decisamente più complicata.
Gli avversari della Sturgeon non sono perciò tanto i conservatori, quanto i possibili partiti che potrebbero eroderne il consenso. Tra i moderati, così come alla sua sinistra. Quegli stessi partiti con cui sono condivisi alcuni aspetti dell’agenda politica e con i quali condividerebbe il cammino della legislatura.
Verdi e laburisti
I più probabili alleati dello SNP sono infatti i Verdi, che viaggiano stabilmente intorno al dieci per cento nei sondaggi pre-elettorali. Quello ambientale è un tema piuttosto sentito in Scozia: anche se la stragrande maggioranza della popolazione risiede nelle città, una parte degli scozzesi abita in zone rurali, spesso remote; l’equilibrio ambientale – anche per i suoi aspetti turistici – è un aspetto estremamente importante per la Scozia. Per quanto i Verdi su alcuni temi superino a sinistra anche lo SNP e i laburisti, le priorità del loro programma politico sono perciò diverse da quelle del partito al governo. E i loro leader si sono tenuti abbastanza lontani dal dibattito sull’indipendenza, per non allontanare potenziali elettori moderati.
Anche i laburisti – al governo per diversi mandati prima di essere scalzati dallo SNP – sono in crescita nei sondaggi. Il loro leader, Anas Sarwar gode di una popolarità in continuo aumento. Di lui si dice che «Davanti alle telecamere è rilassato, ha il senso dell’umorismo e comprende la forza di parlare in maniera empatica». La sua è un’agenda progressista, in chiara contrapposizione al premier britannico Johnson, ma su temi come il referendum per l’indipendenza è decisamente più tradizionalista e continua a ribadire come le priorità per il prossimo governo debbano essere altre: disoccupazione, gestione dell’uscita dalla pandemia, ripresa economica.
Infine c’è Alex Salmond. Ex leader del SNP, travolto da uno scandalo sessuale – da cui però è stato scagionato – e dimessosi dopo il fallito referendum del 2014, ha fondato un nuovo partito nazionalista, Alba. Il peso elettorale di questo partito è tutto da decifrare.
Le incognite sul voto
Alcune incognite pesano sui risultati delle elezioni. Certamente il dibattito sul referendum è stato uno dei temi centrali. Ma anche la gestione della pandemia è entrata in campagna elettorale. Su questo punto, la Sturgeon ha ricevuto consensi piuttosto ampi e potrebbe passare all’incasso. D’altra parte però, lo SNP è il partito che guida la Scozia da più di un decennio e alcuni analisti segnalano che potrebbe registrare un fisiologico calo dei consensi.
Durante l’ultimo mandato i risultati in campo economico e sociale hanno segnato dei progressi. La disoccupazione è tornata sui livelli del 2010, prima della crisi economica. I fondi statali (gestiti al 60% dal governo scozzese) sono stati usati efficacemente per l’incremento delle politiche sociali. Ma su alcuni dei problemi che affliggono la Scozia da diverso tempo, le politiche della Sturgeon hanno raccolto risultati limitati. Quello scozzese è un paese paese piccolo, periferico e piuttosto povero, dove un bambino su quattro vive in una famiglia sotto la soglia di povertà; e i dati indicano che la cifra non è cambiata molto negli ultimi dieci anni. Anche la tossicodipendenza resta un’emergenza in Scozia, un territorio in cui in cui ogni anno muore per cause connesse alla tossicodipendenza un numero di persone altissimo e imparagonabile rispetto al resto dell’Europa.
Infine, quelle che si stanno svolgendo oggi, sono le prime elezioni che portano alle urne la cosiddetta generazione SNP, cioè quei giovani che hanno vissuto la loro vita interamente sotto al governo dello Scottish National Party. Una delle riforme introdotte dal partito della Sturgeon è quella di abbassare l’età per il voto a sedici anni. Una fetta di popolazione della quale è difficile inquadrare le preferenze politiche; elettori dei quali può esssere più complicato del previsto intercettare il consenso.
Scozia alle urne: sognando l’Europa?
La popolarità della Sturgeon non è ai suoi massimi storici, ma – secondo recenti sondaggi – si aggira ancora intorno al 60% di gradimento. Un dato elevato che fa ben sperare i sostenitori dello SNP. Anche il consenso intorno alle istanze indipendentiste è dato in calo, ma resta forte e diffuso il desiderio di un nuovo referendum. La chiave sembra essere proprio l’Europa. Quell’Europa alla quale, all’indomani della Brexit, Sturgeon aveva twittato “ci rivedremo presto”. Il premier britannico Johnson insiste con il sostenere che sia possibilie fare un solo referendum per ogni generazione e che questa abbia già avuto il suo nel 2014. Ma tra allora ed oggi c’è un grosso ma: Brexit, appunto. Uno degli aspetti che sfavorirono l’indipendenza nel 2014 fu proprio il fatto che, in caso di approvazione del referendum, la Scozia si sarebbe trovata fuori non solo dalla Gran Bretagna, ma anche dall’Europa. Ora, invece, uno dei punti più forti a sostegno dell’indipendenza è proprio il ritorno della Scozia nell’UE.
Per contro, la gestione dell’indipendenza resta comunque un punto programmatico piuttosto nebuloso nella linea politica dello SNP. Aspetti come la gestione dei confini e la moneta sono di tutt’altro che facile soluzione. Aggiungere incognite in un momento di grande incertezza globale potrebbe non essere politicamente vantaggioso. D’altra parte, per lo SVP, l’uscita dalla pandemia sarebbe meglio gestirla in modo completamente indipendente da Londra e in collaborazione con l’UE.
Politica interna, coronavirus, problemi sociali, ideali antichi: la Scozia alle urne si porta dietro tante istanze e incognite che rendono incerto l’esito del voto.
Un complesso sistema elettorale
Non ultimo, a complicare il lavoro dei sondaggisti, c’è l’intricato sistema elettorare scozzese, che mescola uninominale maggioritario, che assegna 73 seggi – uno per circoscrizione – ed un sistema regionale che assegna i restanti 56 seggi attraverso un calcolo matematico che privilegia i partiti che ottengono meno seggi all’uninominale. Va da sé che un movimento di poche centinaia di voti può cambiare l’assegnazione di un seggio e fare la differenza. Inoltre gli elettori hanno a disposizione due diverse schede, sulle quali esprimere preferenze: una per l’uninominale ed una per votare un partito a livello regionale. Il voto disgiunto è frequente e spesso si presenta con forbici molto ampie.
La pandemia, la campagna vaccinale (un successo che si intestano i conservatori e che va a favore del premier Johnson e degli unionisti), il sistema elettorale e l’incremento dei voti per posta, rendono incerto fino all’ultimo il risultato di queste elezioni scozzesi dal sapore epocale.
L’alba di una nuova storia?
Proprio il voto per posta ha convinto il governo scozzese a posticipare la conta all’indomani delle elezioni. I primi risultati inizieranno perciò ad arrivare domani e solo in serata sapremo com’è andata.
La Scozia alle urne rappresenta un banco di prova importante non solo per i partiti che si sfidano sul territorio, ma anche per il premier Johnson e – indirettamente – per l’Unione Europea.
Simone Sciutteri