Tra scorciatoie, un filo rosso lega il dibattito, violento, apodittico, su Greta e i ragazzi del venerdì, sul voto a 16 anni, sul crocifisso in classe.
È una combinazione di sconcerto e inadeguatezza che ci prende nei confronti di questi giovani uomini e di queste giovani donne e che vorremmo risolvere con decisioni visibili, evidenti, con posizionamenti immediati, quali che siano a seconda delle diverse sensibilità, che ribadiscano la nostra posizione, il nostro status di adulti.
Riconoscimento immediato di maturità, con diritto di voto, consegna subitanea delle chiavi del mondo, delle scelte etiche, politiche, spirituali, o dismissione di un ruolo di cerniera, di trasmissione per manifesta incapacità di operare la guida generazionale, insomma cosa è davvero tutto ciò? Una fuga a gambe levate dalle responsabilità dell’educazione e della formazione della generazione di prima o un premio meritato sul campo dalla generazione di dopo?
Se avessi 16 anni il voto non lo vorrei. Non vorrei la patata bollente con due anni di anticipo da chi avrebbe dovuto prendersi cura di me e del mondo. Vorrei rivendicare il diritto di fare domande e richieste senza dover dare anche le risposte. Almeno, senza essere costretta a darle. Non vorrei trovarmi questo regalino disinteressato come il Cavallo di Troia, in un contesto di totale svalutazione della politica e del voto in tutte le fasce di età, e avere la responsabilità di ridare valore e senso a questo diritto/dovere così distante nell’immaginario corrente.
E mi seccherebbe molto che la contingente scaramuccia politica col totem di Gesù (perché la questione della libertà religiosa è ben altra faccenda) fra due governi e i loro ministri si giocasse sul campo di battaglia della scuola e dell’adolescenza.
Sul crocifisso vorrei una moratoria, bocce ferme.
È stato improvvido il ministro dell’istruzione a rilanciare questo vecchio tema a inizio mandato, quando la croce richiamava ancora troppo da vicino gli abusi superstiziosi di Salvini, più che la fede cattolica. Davvero una inutile pretestuosità, una accelerazione boomerang.
Non vorrei essere il bidello che schioda un crocifisso dall’aula, impalato come uno stoccafisso sulla sedia del prof, a dare fiato a un conservatorismo di facciata per molti degli stessi cattolici, mentre il mondo cambia così velocemente che quel crocifisso potrebbe scomparire anche da solo, in poco tempo, o per una decisione condivisa e non polemica, nel quadro delle relazioni concrete che si costruiscono in classe. Magari classe per classe, ufficio per ufficio, senza la ceralacca dell’ordine ministeriale.
La realtà è che il modello di cittadinanza rappresentato in questi scampoli di dibattito fatto per semplificazioni, per sì e per no, è del tutto indefinito, incerto. E non c’entra l’età.
Se si deve rivedere la composizione dell’elettorato attivo, allora bisogna farlo in grande, a partire dall’inclusione nei processi decisionali e di partecipazione di tutte le persone che vivono nel territorio italiano, bisogna fare lo ius soli, bisogna discutere anche degli italiani all’estero, non dare una paghetta ai ragazzi perché hanno fatto una cosa bella, più grande di noi, che ci mette in condizione di balbettare. È una risposta inadeguata, sostitutiva.
Forse mettersi a ragionare davvero sull’insostenibilità del modello di sviluppo, attivare alternative strutturali e di grande prospettiva per il futuro, e farlo dando senso alla politica praticata a tutte le età, con autentica e profonda condivisione, senza paternalismi né atteggiamenti melensamente concessivi, riprendere parte a una autentica dialettica sociale, in cui tutti, giovani e meno giovani, sentano di costruire e di lottare insieme contro le diseguaglianze nei diritti, nelle condizioni di vita, nelle prospettive lavorative, forse, forse, sarebbe più interessante e più produttivo.