La socialità. Gestire correttamente le proprie relazioni sociali. Non è così facile come sembra. Tanti sono i fattori che influiscono sul “proprio modo di interagire con l’altro e nei confronti dell’altro”.
E non si parla di preferire una serata nella solitudine più totale, in compagnia al massimo del proprio animale domestico, con l’unico obiettivo di farsi una maratona di film e serie tv piuttosto che uscire e conoscere nuove persone. Questo tipo di “asocialità” la viviamo tutti. Chi più, chi meno.
Si parla, nel più grave dei casi ovviamente, di persone che non si sentono “socialmente abili in nessun tipo di contesto”, persino quello familiare che solitamente viene considerato un po’ come un solido e accogliente nido in cui trovare conforto quando tutto sembra andare storto.
Insomma, tanti i fattori che influiscono sulle relazioni e interazioni con l’altro: il carattere, la personalità, le esperienze di vita, la propria infanzia.
Tanti i fattori come tantissime sono le teorie e gli studi in merito.
E se dipendesse da un gene? E più nello specifico dal gene della socialità?
Ebbene, si è scoperto che la causa che sta alla base della riuscita o meno dei rapporti interpersonali dipenda in realtà dall’ossitocina, considerato l’ormone dell’amore, o meglio dall’OXT, denominato il “gene della socialità”, il quale produce ossitocina.
Almeno questo è ciò che è stato riscontrato da una ricerca condotta da un team di esperti dell’Università della Georgia e pubblicata sulla rivista “Proceedings of the National Academy of Sciences”. Gli studiosi, infatti, hanno constatato che ad avere difficoltà a relazionarsi e di conseguenza a costruire rapporti sociali e familiari “normali” sono proprio quei soggetti in cui l’OXT non funziona correttamente. La conseguenza di questo malfunzionamento del “gene della socialità” consiste proprio nell’avere grande difficoltà a creare relazioni e amicizie, solitamente viste più che altro come fonti di ansia e stress, ad esternare determinate emozioni e di conseguenza a comprendere e ad intuire quelle delle altre persone.
Ad essere state coinvolte in questo studio ben 120 persone le quali sono state sottoposte ad una serie di prove sperimentali. Prelevando per ognuna di esse un campione di saliva per analizzare il loro Dna e, successivamente, effettuando su ognuno dei partecipanti un’analisi della struttura e della funzione del cervello attraverso una risonanza magnetica, si è andati alla ricerca del gene OXT. I risultati dell’indagine hanno evidenziato che gli individui in cui il gene della socialità mancava o aveva dei valori minimi, erano proprio quei soggetti in cui risultavano poco attive anche le aree del cervello collegate alla socialità e all’elaborazione di stimoli relativi ad essa.
Dopo queste scoperte, il team di studiosi dell’Università della Georgia ha pensato bene di non fermarsi e, anzi, di approfondire i propri studi sulla questione in merito, cercando dei modi per poter intervenire sul gene OXT e migliorare, così, il livello di socialità di tutte quelle persone che hanno grandi difficoltà ad approcciarsi e a relazionarsi all’altro e ai propri cari.
Giulia Simeone