“ Il giudice è quindi solo, solo con le menzogne cui ha creduto, le verità che gli sono sfuggite, solo con la fede cui si è spesso aggrappato come naufrago, solo con il pianto di un innocente e con la perfidia e la protervia dei malvagi. Ma il buon giudice, nella sua solitudine, deve essere libero, onesto e coraggioso.” Antonino Scopelliti.
La vita di Antonino Scopelliti è stata escalation continua nel mondo della magistratura: vinto il concorso alla giovane età di 24 anni, diventa pm a Bergamo, Roma e Milano, e infine Sostituto Procuratore Generale presso la Suprema Corte di Cassazione. Si è occupato di alcuni dei processi più importanti della nostra storia recente, sempre su quel filo che collega attentati di mafia e di terrorismo: il primo processo Moro, il sequestro dell’Achille Lauro, l’omicidio di Rocco Chinnici, la Strage di Piazza Fontana, la Strage del Rapido 904, e anche quelli riguardanti la Nuova Camorra Organizzata.
Ennesimo servitore di uno Stato che prima riconosce la bravura di un uomo e poi lo lascia morire da solo, l’assassinio di Scopelliti si inserisce in quella scia di sangue che macchia e collega la storia dei grandi eventi e dei grandi uomini che hanno cercato, nel loro piccolo e quotidianamente, di fare semplicemente il proprio dovere e la propria parte all’interno della società.
Per quest’ultimo processo, che si concluse in Cassazione nel marzo del 1991, il procuratore Scopelliti aveva chiesto la conferma degli ergastoli inferti al boss della mafia Pippo Calò e a Guido Cercola, nonché l’annullamento delle assoluzioni di secondo grado per altri mafiosi.
Contemporaneamente, Scopelliti si stava preparando a rigettare i ricorsi presentati dalle difese dei grandi mafiosi condannati al Maxi-Processo, dato che aveva accetta la carica di giudice istruttore nel processo di Cassazione.
Nonostante non ci sia una verità giudiziaria, la morte di Scopelliti è stata ricostruita grazie alle parole dei pentiti.
In particolare, i pentiti Giacomo Lauro e Filippo Barreca affermarono che il giudice fu ucciso dalla ndrangheta per volere della Mafia che, in una sorta di scambio criminale, si impegnò a far cessare la sanguinosa guerra che si stava combattendo tra le ndrine di Reggio Calabria.
Nonostante i grandi successi professionali, Antonino Scopelliti viene ricordato come una persona schiva, quasi triste, dovuta alla consapevolezza che quello stato che lui serviva lo aveva abbandonato, solo contro un mondo criminale di dimensioni inimmaginabili, che lo ha portato, come tanti altri suoi colleghi prima e dopo di lui, a morire ammazzati.
Scopelliti però non alzò mai la voce, andò sempre avanti, fiero e impaurito, rimanendo sempre ciò che era: un uomo qualunque che lottava per avere un mondo migliore.